Riprende la battaglia di Mosul, fuga dei jihadisti
E’ tornata a infuriare la battaglia di Mosul dopo settimane di pausa nei combattenti determinata dalle difficoltà dell’Esercito di Baghdad a sostenere la sanguinosa offensiva nei quartieri occidentali della città. Lo Stato Islamico batte in ritirata e i jihadisti iniziano a uscire da Mosul, o per arrendersi. O per combattere altrove.
E’ tornata a infuriare la battaglia di Mosul dopo settimane di pausa nei combattenti determinata dalle difficoltà dell’Esercito di Baghdad a sostenere la sanguinosa offensiva nei quartieri occidentali della città. Ufficialmente il governo iracheno aveva sospeso l’offensiva per non provocare alte vittime tra i civili utilizzati come scudi dai miliziani dello Stato Islamico nella Città Vecchia.
Secondo dati resi noti la scorsa settimana dall'Onu, circa 500.000 persone rimangono intrappolate a Mosul ovest, di cui 400.000 nella parte vecchia della città, fatta di antichi edifici e vicoli e densamente popolata. I civili soffrono, oltre che per i combattimenti e i bombardamenti, anche per la mancanza di cibo, acqua e medicinali. In realtà come era già accaduto alla fine del 2016, le elevate perdite hanno costretto le truppe irachene (esercito e Polizia Federale)- a sospendere l’offensiva in attesa di rimpiazzi affidabili addestrati dai consiglieri militari statunitensi e della Coalizione.
Il contributo alleato all’offensiva su Mosul non è limitato ai raid aerei e all’addestramento delle forze di Baghdad ma l'artiglieria americana e francese coopera strettamente con le truppe irachene mentre le forze speciali franco-anglo-americane sembrano coinvolte in prima linea nei combattimenti. Ieri è stata resa nota la morte di un militare americano, l’ottavo caduto statunitense quest’anno e il 25mo nelle operazioni contro l’Isis. Il militare è morto in seguito alle ferite riportate per l'esplosione di un ordigno improvvisato (Ied) poco fuori Mosul.
Sono 600.000 i civili che sono stati costretti a lasciare le loro case a Mosul e nella circostante provincia di Ninive, in Iraq, dall'inizio di un'offensiva governativa per strappare la città all'Isis, lo scorso ottobre, ma di questi 133.000 hanno già potuto fare ritorno alle loro case nei quartieri orientali liberati. Lo ha reso noto il ministro per la migrazione e gli sfollati, Jassem Mohammad al Jaff. Circa 467.000 persone rimangono nei campi profughi allestiti dal governo con la cooperazione delle agenzie internazionali. Di queste, 425.000 sono fuggite dalla parte occidentale di Mosul, che dal febbraio scorso le forze lealiste stanno cercando di riconquistare.
La zona industriale di Wadi Eqab, nell'ovest di Mosul, è stata strappata ieri all'Isis dalle forze governative irachene, che continuano faticosamente ad avanzare verso il centro della città vecchia. Il generale Abdul Amir Yarallah, a capo delle operazioni, ha annunciato anche la riconquista dell'area vicina di Ghanim al Sayyid. Le forze hanno avviato da febbraio un'offensiva per riprendere anche la parte ovest di Mosul e dalla settimana scorsa hanno aperto un nuovo fronte avanzando da nord-ovest con l’obiettivo di accerchiare le forze dello Stato islamico occupando nei giorni scorsi i villaggi di Hasuna e Dijla, i quartieri di Mesherfa e Kanis. Nonostante la tenace resistenza l’Isis pare in difficoltà a reggere la pressione nemica al punto che molti foreign fighters starebbero cercando di fuggire. Non è chiaro se si tratti di diserzione (gira voce che l’Isis abbia fucilato propri combattenti che avevano tentato di fuggire) o se, come è già accaduto in molte battaglie, i miliziani jihadisti cerchino di esfiltrare pochi per volta dalla città sfuggendo all’accerchiamento delle truppe irachene per continuare a combattere altrove. In ogni caso le previsioni irachene più ottimistiche confidano di completare la liberazione di Mosul non prima della fine di giugno.
Allo Stato Islamico resta ancora il controllo di aree estese in Siria Orientale ma di meno del 7% del territorio iracheno. Stefan Aristidou, citato dal Guardian, da due anni viveva nel territorio del Califfato insieme alla moglie, dopo essere nato e cresciuto ad Enfield, a nord di Londra. Aristidou assieme ad altri la scorsa settimana si è arreso alla polizia di frontiera turca, che lo ha identificato, mentre provava ad attraversare il confine a Kilis. Secondo le autorità turche Aristidou avrebbe dichiarato di essere venuto in Siria per viverci, e non per combattere. Avrebbe anche ammesso di aver vissuto prima a Raqqa e poi ad al-Bab, sotto il controllo dell'Isis.
Il procuratore turco che si occupa dei casi chiede per lui e per altri - tra cui l'americano Kary Paul Kleman, della Florida - una pena tra i sette e i quindici anni di prigione. Aristidou rischia anche l'estradizione nel Regno Unito, dove andrebbe incontro a una possibile condanna all'ergastolo previsto dal Terrorism act, che punisce i cittadini britannici che sono andati a combattere in Siria e Iraq.
Fonti interne all'Isis avrebbero confermato che l’esercito del Califfato sta perdendo molti suoi effettivi, specie in seguito all'inizio dell'offensiva di terra da parte delle forze ribelli curdo-arabe delle Syrian Democratic Forces (milizie curde e arabo-sunnite) nella provincia di Raqqa e nella città di Tabqa, dove sarebbe dispiegata la gran parte dei foreign fighters. Fonti diplomatiche sia turche che europee affermano che un numero crescente di combattenti unitisi al gruppo a partire dal 2013 è in contatto con la propria ambasciata per provare a fare ritorno in Patria. Altri cercherebbero invece di tornare in Europa e Turchia per compiere attentati.
Il numero dei foreign fighters europei è stato recentemente stimato in oltre 30.000 da fonti USA (la Ue ne stimava fino l’anno scorso non più di 5mila) ma secondo Washington circa 25 mila sarebbero stati uccisi in battaglia.