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BOKO HARAM

Rilasciati i bimbi rapiti. Ma non sanno più chi sono

Sono ormai al sicuro in un orfanotrofio gli 80 bambini e ragazzi rapiti dai terroristi islamici della Nigeria, i Boko Haram, e liberati nel nord del Camerun. Ma ora i bambini sembrano aver subito una cancellazione totale della loro identità. Non hanno più memoria dei loro genitori né di chi erano prima del sequestro.

Esteri 13_03_2015
Una manifestazione contro Bpko Haram

La buona notizia è che sono ormai al sicuro in un orfanotrofio. Sono gli 80 bambini e ragazzi di età compresa tra i 5 e i 18 anni rapiti dai terroristi islamici della Nigeria, i Boko Haram, e liberati nel nord del Camerun grazie a una soffiata che ha consentito ai militari di individuare il luogo in cui erano tenuti prigionieri. Ma la buona notizia finisce lì. I bambini, infatti, sia per l’indottrinamento all’ideologia jihadista a cui devono essere stati sottoposti sia, probabilmente, per il periodo molto lungo di prigionia sono quasi del tutto incapaci di interagire con il personale che li assiste e, quel che è peggio, sembra che la loro identità sia stata interamente cancellata. 

Il fatto stesso che siano stati a lungo nelle mani dei terroristi è solo una supposizione perché loro, i bambini, non ricordano quando sono stati rapiti. In realtà non ricordano più niente della loro vita passata: dove vivevano prima del sequestro, chi sono i loro genitori, il nome del loro villaggio o della loro etnia. Non sanno neanche più come si chiamano. La loro è una delle innumerevoli tragedie umane di una crisi che coinvolge ormai milioni di persone e quattro paesi: oltre alla Nigeria, il Ciad, il Niger e il Camerun dove si sono riversati centinaia di migliaia di nigeriani, fuggiti in gran parte senza portare con sé quasi nulla e quindi bisognosi di assistenza in tutto. In Nigeria, inoltre, l’esodo disperato dalle aree rurali più minacciate dai terroristi ha fatto crescere la popolazione urbana di diverse città del nord est, alcune delle quali hanno visto raddoppiare la popolazione: quella di Maiduguri, ad esempio, la capitale del Borno, è passata in pochi mesi da uno a due milioni, ponendo oneri di accoglienza e assistenza insostenibili. 

Il governo nigeriano però in questi giorni ha dichiarato che la crisi finalmente volge al termine, che i Boko Haram hanno i giorni contati. L’esercito elenca vittorie militari, località da mesi in mano ai terroristi riconquistate. Peccato che da quasi 20 giorni il governo abbia proibito a giornalisti e osservatori di avvicinarsi al fronte per controllare la veridicità delle notizie ufficiali. Intanto, il 7 marzo Boko Haram, che ad agosto aveva fondato un proprio Califfato, ha annunciato con un video di aver stretto un’alleanza con l’Is, il califfato di al Baghdadi in territorio siriano e iracheno. Anche questa, tuttavia, per il governo è una conferma dell’imminente disfatta dei terroristi. La decisione di associarsi all’Is «è un segnale di disperazione» è stato il commento del portavoce governativo il 10 marzo. 

Ma per la popolazione quel che conta è la sicurezza e Boko Haram nelle ultime settimane ha moltiplicato gli attentati riuscendo a colpire addirittura più volte nella stessa giornata, come è successo a Maiduguri il 7 marzo quando tre attentati suicidi in due mercati e in una stazione degli autobus hanno ucciso 50 persone e ne hanno ferite 56. Due giorni prima, i terroristi avevano assaltato e completamente distrutto un villaggio con il fuoco, uccidendo 68 persone tra uomini adulti, ragazzi e bambini. Quello che tutti temono è che le cose non stiano andando come vuol far credere il governo. Il 28 marzo si svolgeranno le elezioni generali. Il presidente Goodluck Jonathan ha perso terreno nei sondaggi mentre salgono i consensi per il suo principale avversario, Muhammadu Buhari. Spera quindi di recuperare voti dimostrando di voler difendere la popolazione e di saperlo fare. Né sarebbe la prima volta che il governo inventa successi e vittorie e che mente ai suoi cittadini. 

Già in clima elettorale, il 18 ottobre scorso il comandante in capo delle forze armate, Alex Badeh, aveva annunciato un accordo di cessate-il-fuoco deciso, a suo dire, dopo incontri tra delegati governativi e portavoce di Boko Haram con la mediazione del Camerun: accordo che, come il maresciallo aveva assicurato, includeva il rilascio delle oltre 200 studentesse cristiane rapite mesi prima a Chibok. Il 31 ottobre, però, dopo due settimane di attentati e attacchi ininterrotti, Abubakar Shekau, il leader di Boko Haram, con un video aveva accusato il governo nigeriano di aver mentito, aveva detto di non aver sottoscritto nessun accordo ed escluso l’eventualità di futuri negoziati. Quanto alle studentesse cristiane rapite, aveva spiegato che ormai si erano convertite all’Islam e si erano sposate.

Il presidente Jonathan è cristiano. Il suo più temibile avversario, Muhammad Buhari, ex dittatore al potere dal 1983 al 1985, è musulmano. Qualcosa doveva inventarsi lo staff del presidente, oltre alla disfatta di Boko Haram, per acquistare credibilità e favore presso la metà della popolazione di fede islamica. Così l’11 marzo il portavoce governativo ha informato il paese che il presidente Jonathan aveva avuto un lungo colloquio telefonico «su questioni di reciproco interesse» con il re del Marocco, Mohammed VI, prestigiosa e autorevole personalità del mondo musulmano in quanto discendente diretto del profeta Maometto.  

Ma non era vero, il colloquio telefonico non c’è mai stato. Il ministero degli esteri marocchino ha emesso un comunicato ufficiale in cui si chiarisce che «il re hdeclinato la richiesta del governo nigeriano (di un colloquio con il presidente Jonathan) perché parte di una campagna elettorale interna». Il Marocco ha quindi richiamato in patria il proprio ambasciatore in Nigeria per consultazioni e ha accusato le autorità nigeriane di «comportamento non etico» nei confronti del sovrano.  Bella alternativa si prospetta e un’ardua scelta per i nigeriani al voto: tra Buhari, un ex dittatore, e Jonathan, che mente, e che mente male.