Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
DOPO LE PAROLE DEL PAPA

Rifugiati, una questione di numeri e accordi

Visitando i campi profughi dell’Acnur si può avere l'impressione che siano campi di concentramento, come ha detto il Papa, perché sono recintati e presidiati da personale armato. Ma è per impedire infiltrazioni di gruppi armati. Nel campo di Dadaab in Kenia, con centinaia di migliaia di somali vivono anche molti jihadisti al Shabaab.

-IL RE DELLA MOVIDA (CHE PAGHIAMO) di Rino Cammilleri

Politica 24_04_2017

Lo scorso gennaio la rivista “Mondo e Missione” ha pubblicato il “Decalogo di realismo per capire l’“immigrazione clandestina””, un articolo scritto da padre Giorgio Licini: nelle sue intenzioni un elenco di “dati di fatto per un dibattito oltre le semplificazioni”, esente da strumentalizzazioni e superficialità. Dati di fatto: cioè elementi certi, basati sull’osservazione della realtà, dati e fatti, se no si parla, ragiona, progetta e opera a caso, quasi sicuramente sbagliando, perdendo tempo e sprecando risorse. 

Il primo fatto sono i numeri, l’entità del problema. Il Papa il 22 aprile, salutando i fedeli sulla soglia della Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina a Roma, si è rammaricato per la sorte degli immigrati che arrivano sui barconi. Basterebbe che “in Italia si accogliessero due, due migranti per municipio – ha detto – ci sarebbe posto per tutti”. Magari fosse così semplice. Dal 1° gennaio 2017 al 21 aprile, data dell’ultimo rapporto sull’emergenza Europa pubblicato dall’Acnur, sono sbarcati in Italia 36.637 stranieri che si aggiungono ai 181.045 entrati illegalmente nel 2016 e ai 153.842 del 2015 per un totale di 371.524 persone. Non tutte, ma la maggior parte vivono attualmente in Italia. I comuni italiani sono 7.982. Se ogni comune ne accogliesse due, in tutto gli immigrati ospitati sarebbero 15.964, neanche la metà dei nuovi arrivati quest’anno. 

Visto che durante l’omelia aveva parlato di campi di rifugiati, forse però per “migranti” il Papa intendeva “profughi” e allora bisogna dire che per quelli che hanno chiesto asilo in Italia – 3.555 nel 2015 e 4.940 nel 2016 – finora il posto si è trovato.  

Dei campi profughi, Papa Francesco all’omelia aveva detto che tanti sono dei campi di concentramento, “per la folla di gente che è lasciata lì” e che non riesce a uscirne. Lo ha fatto parlando di un uomo, un musulmano incontrato nell’aprile del 2016 nel corso della sua visita a Lesbo, l’isola greca “porta” d’Europa prima che il 4 aprile 2016 entrasse in vigore l’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia in base al quale gli emigranti illegali che raggiungono la Grecia vengono fermati e riportati in Turchia. 

Il Papa ha raccontato che l’uomo aveva assistito alla morte della moglie, cristiana, sgozzata dai terroristi per aver rifiutato di buttare per terra la croce che indossava: “Non so se è stato capace di uscire da quel campo di concentramento – ha concluso Francesco – perché i campi di rifugiati, tanti, sono di concentramento”. 

Lesbo a parte, dove vengono bloccati non i rifugiati, ma gli emigranti illegali, in effetti visitando i campi profughi allestiti dall’Acnur si può avere questa impressione per il fatto che di solito sono recintati e presidiati da personale armato. Ma bisogna capire che è per proteggerli e per impedire infiltrazioni di gruppi armati e di altri malintenzionati, cosa che peraltro non si riesce a evitare del tutto. Secondo le autorità del Kenya, ad esempio, nel campo di Dadaab che ospita alcune centinaia di migliaia di persone per lo più provenienti dalla vicina Somalia vivono anche molti jihadisti somali al Shabaab che lì organizzano i loro attentati. I campi accolgono e concentrano i profughi per assisterli. La quasi totalità degli ospiti hanno bisogno di tutto: cibo, acqua, cure mediche, abiti, un riparo che possano chiamare casa e sentirsi famiglia. Più che “lasciati lì”, lì devono restare, finché non potranno tornare alla vita normale, perché fuori, privi di mezzi di sussistenza, non possono vivere.  

Il Papa ha anche detto, a proposito dei rifugiati, che “gli accordi internazionali sembra siano più importanti dei diritti umani” e, per questo motivo, “i popoli generosi che accolgono i rifugiati devono portare avanti anche questo peso”. Forse pensava alle norme internazionali che impongono ai profughi di chiedere asilo nel primo paese straniero in cui mettono piede. In effetti è quanto prevede la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e, d’altra parte, è quel si aspetta la quasi totalità dei profughi che non hanno i mezzi per andare più lontano e soprattutto vogliono allontanarsi da casa il meno possibile e solo per il tempo necessario. 

Ne consegue che più di tre quarti dei rifugiati sotto mandato dell’Acnur sono ospitati in paesi a basso e bassissimo livello di sviluppo dal momento che guerre e conflitti sono concentrati in Africa e in Asia, i due continenti più arretrati. È questo un dato di fatto, ma non lo è invece la considerazione che sempre lo accompagna: che cioè i poveri – le popolazioni di Uganda, Kenya e di altri stati – sono assai più generosi e ospitali di noi ricchi, pronti a spartire quel poco che hanno.

In realtà, però, il “peso” dei rifugiati, ovunque siano accolti e assistiti, grava quasi interamente sui paesi ad alto livello di sviluppo, principali finanziatori dell’Acnur, delle altre agenzie dell’Onu e di migliaia di organizzazioni non governative. Nel 2015 il 73% degli oltre sette miliardi di dollari messi a disposizione dell’Acnur è stato fornito da Stati Uniti, Unione Europea e stati UE. È davvero ingiusto non riconoscere il contributo enorme, essenziale di questi paesi all’assistenza dei profughi, sfollati e rifugiati, e anzi accusarli di egoismo. Non c’è in Italia una persona che rimpianga il denaro donato per alleviarne la condizione, per renderli sicuri di non essere abbandonati.