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INTERVISTA

«Riforma giustizia, polemiche fuori luogo»

La riforma è ancora lontana dal risolvere i veri problemi della giustizia in Italia. Parla il magistrato Francesco Mario Agnoli.

Attualità 11_03_2011
aula tribunale
«Una riforma della giustizia è necessaria e fino a venti anni fa era d’accordo anche la sinistra, basti ricordare la Bicamerale presieduta da D’Alema. Servirebbe discutere sui punti della riforma, invece si fanno polemiche assurde su problemi inesistenti confondendo anche le idee alla gente». Non è molto tenero Francesco Mario Agnoli con chi ha trasformato il dibattito sulla giustizia in una rissa politica. Agnoli è un magistrato in pensione, presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, ex presidente di sezione alla Corte d’Appello di Bologna ed ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) tra il 1986 e il 1990, anni in cui il Csm si scontrò duramente con l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Agnoli ha dunque una grande esperienza della macchina della giustizia, e con lui discutiamo della riforma appena approvata dal Consiglio dei Ministri.


Professor Agnoli, lei ha una lunghissima esperienza di magistratura. Quali sono i veri problemi della giustizia?
Ci sono soprattutto due problemi sentiti dai cittadini: il primo è l’estrema lunghezza dei processi, specie quelli civili; il secondo la certezza della pena: l’opinione pubblica si meraviglia di vedere persone condannate per gravi reati tornare in circolazione dopo poco tempo o pene definitive che vengono scontate solo in minima parte. Il che non vuol dire che l’opinione pubblica abbia sempre ragione, ma questa è la percezione.


E in che cosa l’opinione pubblica sbaglia?
Ad esempio, i cittadini sono portati a ignorare o dimenticare che le pene hanno anche una dimensione rieducativa. Ma soprattutto è poco attenta ad altri aspetti sostanziali della giustizia.


Di cosa si tratta?
Il problema più grosso riguarda l’equilibrio costituzionale, che peraltro è un problema comune nei paesi occidentali. Vale a dire che negli anni il potere giudiziario ha finito per occupare spazi che all’origine erano di altri poteri dello Stato.


In altre parole, lei dice che la giustizia ha invaso il campo della politica.
E’ evidente, e ripeto non è un caso soltanto italiano, è una tendenza comune. Però in Italia una svolta decisiva si è avuta quando sull’onda di Tangentopoli è stata cancellata l’immunità parlamentare: è stato l’inizio di uno squilibrio andato sempre crescendo. E’ vero che il Parlamento aveva abusato dell’immunità parlamentare negando autorizzazioni a procedere anche quando avrebbe dovuto rilasciarle, ma quella riforma costituzionale ha turbato l’equilibrio dei poteri. A proposito, chi parla sempre in nome della Costituzione dovrebbe ricordare che l’immunità parlamentare era prevista proprio dalla Costituzione. Ripeto, c’erano stati degli abusi, ma quell’istituto era un prezioso filtro per bloccare iniziative politiche del potere giudiziario. E di questa invasione di campo fanno parte anche le sentenze creative in fatto di bioetica.


A questo la riforma presentata dal governo pone rimedio?
Direi proprio di no, però dobbiamo tenere presente che si tratta di una evoluzione che è in corso in tutto il mondo occidentale. Basti ricordare che quando era presidente, George Bush jr avrebbe voluto introdurre una legge per limitare l’aborto, ma non poté farlo perché sapeva che la Corte Suprema gli avrebbe annullato qualsiasi legge in tal senso. In pratica, le Corti hanno acquisito un diritto di veto. E’ un dato di fatto a cui è veramente difficile porre rimedio.


Ma almeno la riforma varata dal governo risponde ai problemi dei processi lunghi e della incertezza della pena?
Non risponde a questi problemi, però si mettono le basi per riformare il sistema giudiziario. E’ un peccato che l’opposizione in Parlamento si sia lanciata in una polemica completamente fuori luogo. Questa è una riforma costituzionale che non ha niente a che vedere con i problemi giudiziari del presidente del Consiglio. Peraltro, se abbiamo presente quale sia l’iter di un progetto di legge di riforma costituzionale dovremmo sapere che, ammesso che vada in porto, diventerà esecutivo quando Berlusconi sarà ormai a fine mandato.


Ma lei come giudica i punti fondamentali di questo progetto di legge? Cominciamo dalla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri: è davvero una riforma così importante?
Io direi che non è affatto fondamentale. Se il timore è quello di una “complicità” tra il giudice e il pm, magari perché hanno dato insieme il concorso o perché insieme hanno lavorato, mi sembra un rischio minimo. Nella mia carriera ho visto cose di questo genere molto sporadicamente, ho visto molto più spesso dei pm arrabbiatissimi con il giudice.


Sono previsti anche due Csm, uno per i giudici, l’altro per i pubblici ministeri…
E’ la conseguenza della separazione delle carriere, che sarà a sua volta rafforzata da questo articolo. I pm si ritroveranno ad avere una posizione inferiore rispetto al giudice e saranno sullo stesso piano degli avvocati difensori. Il rischio è che i pm perdano la loro autonomia e siano controllati dal governo, un rischio che negli Stati Uniti, ad esempio, è già molto alto.

Veniamo a un secondo punto qualificante della riforma: inappellabilità in caso di assoluzione. Così si dovrebbero tagliare molti processi…
L’inappellabilità è esagerata, perché può creare profonde ingiustizie: pensiamo a un’assoluzione data per un clamoroso errore, sarebbe impossibile riparare. D’altra parte non è corretto neanche procedere con appelli generalizzati. Probabilmente la soluzione sta in un sistema sul modello di quello statunitense, dove è la Corte d’Appello a decidere se il ricorso a una sentenza è ammissibile oppure no.


Altro punto caldo è quello della responsabilità civile stabilita per i giudici.
In linea di principio sono d’accordo con la responsabilità civile. Non si capisce perché il medico, l’insegnante, tutti siano chiamati a rispondere dei loro errori, mentre i magistrati no. Però poi bisognerà vedere come questa legge sarà attuata. Gli errori sono facili, basti pensare ai processi indiziari nel codice penale. La responsabilità dei giudici dovrebbe essere prevista solo nei casi di dolo e di colpa grave, altrimenti si rischia di paralizzare la giustizia.

Ma la responsabilità civile dei giudici non era già stata decisa da un referendum negli anni ’80?
Sì, è vero ma è un percorso che rende veramente difficile arrivare alla condanna di un giudice. Di casi conclusisi con un successo ne ricordo 3 o 4 in 20 anni. In ogni caso il danneggiato può ricorrere ma contro lo Stato e non contro il giudice responsabile, come prevederebbe l'attuale riforma. Lo Stato potrebbe poi rivalersi, ma dal punto di vista della carriera. Ma ripeto, è accaduto in casi rarissimi.

Polemiche ha suscitato anche la questione dell’obbligatorietà dell’azione penale.
L’obbligatorietà resta ma vengono posti dei limiti. Ora, bisogna vedere attentamente cosa si intende. Se si deciderà di indicare le priorità, ebbene questo viene già fatto. Siccome non è possibile perseguire tutti i reati, i giudici già oggi fanno una scaletta per calendarizzare le udienze. Certo, anche qui si corre il rischio che il Parlamento decida che i reati più urgenti siano quelli dei ladri di polli, mentre fatti più gravi non sono in cima alle priorità. Insomma, è ancora tutto da vedere come verrà attuata questa disposizione.