Rifare le chiese distrutte dall'Isis per un controesodo cristiano
Il 6 giugno 2014 cominciò la conquista dell'Iraq da parte del Daesh che distrusse uno dei più grandi tesori dello Stato, la chiesa di Al-Saa. Don Paolo Thabit Mekko, della comunità cristiana di Karamles, ha dichiarato: «Le ferite fra comunità cristiana e muslmana restano, è in atto una battaglia contro la corruzione, ma con la ricostruzione dei luoghi di culto e la ripresa delle attività commerciali lanciamo un messaggio forte: cristiani tornate a casa!».
Il 6 giugno l’arcivescovo di Mosul, monsignor Najib Mikhael Moussa, accompagnato da leader religiosi musulmani e capi tribù locali, ha visitato i quartieri cittadini in cui sorgono gli edifici storici e i più importanti luoghi di culto, nel sesto anniversario della presa della città da parte dell’Isis, lo Stato Islamico.
La seconda città irachena era caduta il 9 giugno 2014 nelle mani dei jihadisti guidati da Abu Bakr al Baghdadi che alla fine del mese avrebbero proclamato il Califfato sui territori conquistati in Siria e in Iraq. Il Califfato ha “regnato” con la violenza dal 2014 all’estate del 2017. In quel periodo i jihadisti hanno danneggiato e distrutto diversi luoghi di culto tra i quali la chiesa di Al-Saa, Nostra Signora dell’Ora, e la moschea di al-Nouri, quella in cui il 29 giugno 2014 il leader dell’Isis al Baghdadi aveva proclamato il califfato e che è stata interamente distrutta insieme al vicino Minareto pendente il 21 giugno 2017, mentre era in corso la riconquista della città da parte delle truppe irachene e della coalizione internazionale.
Moschea e minareto risalivano al XII secolo ed erano tra i monumenti più antichi di Mosul. L’Isis aveva accusato della distruzione i raid americani. La coalizione internazionale invece l’ha attribuita ai jihadisti: «Le nostre forze erano in procinto di avanzare – aveva riferito il generale Abdulamir Yarallah, capo dell’Operazione Ninive – quando siamo arrivati a 50 metri dalla moschea Al-Nouri, Daesh (Isis) ha commesso un nuovo crimine storico facendo esplodere la moschea e la Hadba (il minareto)». Anche il comandante delle forze terrestri, il generale Joseph Martin, aveva confermato questa versione dichiarando: «Il Daesh ha distrutto uno dei più grandi tesori dell’Iraq e di Mosul».
La chiesa di Al-Saa risale alla fine del XIX secolo. Per chi arriva da Ninive, il minareto pendente e il campanile della chiesa appaiono insieme, emblemi della diversità culturale di Mosul e della coesistenza per secoli delle sue diverse comunità. La chiesa, oltre a essere un edificio di grande valore storico e architettonico, è stata un importante centro di attività spirituali, culturali ed educative.
Un progetto finanziato dall’Unesco e dagli Emirati Arabi Uniti prevede la ricostruzione dei due luoghi di culto, cristiano e musulmano. Questa si inserisce in un più vasto programma denominato “Ravvivare lo spirito di Mosul ricostruendo i suoi monumenti storici” che provvederà anche al restauro della chiesa siro-cattolica di Al-Tahera, anch’essa gravemente danneggiata nel 2017. La chiesa era stata costruita nel 1859 e inaugurata nel 1862. L’Unione Europea finanzierà un’altra parte del programma, avendo recepito i suggerimenti della Comece, la Commissione delle conferenze episcopali dell’Ue, nella prospettiva di una strategia europea per l’Irak per offrire opportunità di lavoro e di futuro economico a tutta la popolazione.
Commentando per l’agenzia AsiaNews la visita di monsignor Moussa, don Paolo Thabit Mekko, responsabile della comunità cristiana di Karamles, nella piana di Ninive, ha spiegato che la ricostruzione dei due luoghi di culto, cristiano e musulmano, oggi è il simbolo della rinascita della città. «Da mesi stiamo ascoltando notizie che parlano della ricostruzione della moschea, del minareto e della chiesa dell’orologio dei domenicani. Vie è un movimento condiviso – spiega don Paolo – che preme per il ripristino di questi luoghi significativi, simbolo di una città vecchia che è stata vittima della distruzione jihadista. Con la ricostruzione delle chiese e delle moschee e la ripresa delle attività commerciali lanciamo un messaggio forte, diciamo a tutti i cristiani che se ne sono andati di tornare, di essere presenti».
Don Paolo, che da anni si occupa delle migliaia di famiglie cristiane fuggite nell’estate del 2014 in seguito all’instaurazione del Califfato, precisa che i lavori sono solo all’inizio. Il governatore «sta combattendo per ricostruire la città, è in atto una battaglia a tutto campo contro la corruzione che resta molto forte. Poi serve ripristinare le strutture, partendo dagli ospedali e da servizi che sono ancora scadenti».
La visita di monsignor Moussa vuole incoraggiare i cristiani e la città tutta, «invita ad andare avanti, a ricostruire prima l’uomo e poi la pietra quali fondamenta del nuova Mosul». I cristiani devono tornare, insiste don Paolo, «ma la situazione non è ancora adeguata per un loro ritorno». Servono sicurezza, sviluppo, garanzie di stabilità, fiducia perché i cristiani «si sono sentiti traditi da [una parte dei] musulmani che hanno collaborato con Daesh alla cacciata e alle violenze». Ancora oggi vi è una «ferita aperta a livello psicologico» che va guarita. Dare un volto nuovo, moderno alla città diventa essenziale «nell’opera di contrasto al fondamentalismo. Siamo ancora all’inizio – conclude don Paolo – ma sono obiettivi da raggiungere per un vero cambiamento». Fondamentale è riuscire a consolidare la fiducia e la volontà di convivenza delle diverse confessioni.