Riecco il Ddl Zan, un pericolo per famiglie e insegnanti
Ieri è ripreso alla Camera l’esame del disegno di legge sulla cosiddetta “omotransfobia”. Respinte le pregiudiziali di costituzionalità presentate dall'opposizione e iniziato il voto sugli emendamenti. Una nota del Centro Studi Livatino e dell’associazione Non si tocca la famiglia sottolinea le principali minacce per la libertà di educazione dei genitori e quella di insegnamento.
Ripreso in Aula, alla Camera dei deputati, l'esame del Ddl Zan. Nella giornata di ieri sono state respinte le due pregiudiziali di costituzionalità presentate da Lega e Fratelli d'Italia e appoggiate da una parte di Forza Italia; e si è iniziato a votare sugli emendamenti, circa 400 quelli proposti (red.)
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Il Centro Studi Livatino e l’associazione Non si tocca la famiglia hanno pubblicato una nota dal titolo «T.u. Zan omotransfobia: pericoloso per l’educazione e l’insegnamento». Il Ddl Zan, che ieri ha ripreso il suo iter alla Camera, prevede, come è noto, particolari sanzioni per alcune condotte ritenute illecite perché discriminatorie per motivi legati «al sesso, al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere».
Il Centro Livatino e l’associazione Non si tocca la famiglia chiariscono che il reale intento del Testo unico è «quello di favorire l’ideologia gender, ossia quella teoria che nega la dimensione sessuata dell’essere umano fin dalla sua costituzione, ritenendo che la differenza fra uomo e donna sia soltanto una “costruzione sociale”». La portata liberticida di questo disegno di legge appare evidente allorché si traduce l’articolato normativo nella prassi. Ad esempio «si potrebbe essere visti con sospetto o indicati come “omofobi” [e dunque incorrere in sanzioni penali] per il solo fatto di affermare la propria convinzione circa la necessità che un bambino, per una sana ed equilibrata crescita psicofisica, si relazioni con due figure genitoriali di sesso diverso».
Un ambito in cui il Ddl Zan farebbe sentire tutto il suo peso sarebbe quello scolastico: «Se il T.u. Zan diventasse legge, i genitori non potrebbero più invocare la loro libertà educativa per evitare l’introduzione nelle scuole di insegnamenti fondati sulla teoria gender, in quanto questi insegnamenti sarebbero persino “legittimati” come strumenti per la diffusione della conoscenza della “legge contro l’omofobia”. […] Tutto ciò determinerebbe una grave violazione dei diritti dei genitori in merito alle scelte educative riguardanti i figli, diritti riconosciuti dall’art. 30 Cost. e sanciti anche in ambito internazionale». I genitori avrebbero le mani legate dal momento che sarebbe un obbligo giuridico la formazione al credo Lgbt perché strumento necessario per opporsi ad atteggiamenti discriminatori: «La visione antropologica su cui esso [il T.u. Zan] si basa, pur se non condivisa dalle famiglie, sarà comunque ritenuta obbligatoria nei percorsi educativi proposti nelle scuole, veicolata dalla presunta esigenza di combattere le discriminazioni di genere».
Se da una parte i genitori vedranno grandemente limitata la loro libertà educativa, su altro fronte lo stesso accadrà ai docenti relativamente alla libertà di insegnamento: «Si pensi […] alla situazione difficile in cui potrebbe trovarsi un insegnante di filosofia, o di religione o di scienze nel trattare tematiche legate alla sessualità, laddove trattasse della differenza biologica tra uomo e donna: potrebbe essere denunciato e sottoposto a un procedimento penale per aver manifestato pensieri omofobi secondo il disegno tracciato dal testo unificato Zan, soprattutto in considerazione dell’indeterminatezza delle fattispecie di reato ivi previste. Ciò in violazione della libertà riconosciuta agli insegnanti dall’art. 33 Cost.».
Ma ulteriori danni si possono registrare a carico della scuola. Ad esempio, si logorerebbe il rapporto scuola-famiglia «rendendolo più formale e distaccato. Tutto ciò avrebbe delle ricadute anche sulla formazione dei minori in termini di impoverimento sotto il profilo culturale, relazionale e valoriale». Inoltre, vi sarebbero effetti negativi anche sul piano psicologico: «Non poter manifestare liberamente le proprie idee, sia per gli insegnanti che per i genitori, determinerebbe frustrazione e insoddisfazione, insieme col timore di denunce per “omofobia”». Si aggiungerebbe poi una disparità di trattamento tra docenti, «dal momento che alcuni - quelli favorevoli all’ideologia gender - sarebbero liberi di manifestare il proprio pensiero in materia, mentre ad altri - quelli in disaccordo con l’ideologia gender - ciò sarebbe di fatto precluso per non incorrere in una sanzione penale».
La nota così si chiude: «La scuola può favorire la formazione alla parità tra i sessi, ma non può agire sull’identità delle persone, contraddicendo l’intervento educativo familiare ed esperienziale. È fondamentale il ruolo dell’Istituzione scolastica nell’educare alla parità di dignità, diritti e opportunità di ogni persona, ma non può essere strumentale all’introduzione dell’indifferentismo sessuale, né fare da apripista all’indebita decostruzione degli archetipi fondanti la vita e le tradizioni familiari».