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MUSICA D’AVVENTO

Respighi, una Lauda per contemplare il presepe

In tempi di smarrimento religioso e morale, il richiamo dell’Admirabile signum sul valore del presepe è molto bello. In campo musicale, poi, va ricordata la Lauda per la Natività del Signore, composta da Ottorino Respighi. Che in apertura e chiusura vede l’angelo annunciare con grande gioia la nascita del piccolo Gesù, il Salvatore. E nel mezzo, Maria, Giuseppe e i pastori.

Cultura 12_12_2019

La Lettera apostolica Admirabile signum, pubblicata da papa Francesco l’1 dicembre 2019, sul significato e il valore del presepe, è molto bella. «Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia», recita l’esordio. Sulla scia di san Francesco, che a Greccio volle il presepe vivente nel Natale del 1223 (cfr. n. 2), il testo dice che rappresentare l’evento della nascita di Gesù è un atto di evangelizzazione da riscoprire: il presepe suscita stupore e commozione per il Dio che si fa piccolo (cfr. n. 3).

Segue una presentazione sommaria dei vari segni del presepe e del loro «senso che portano in sé» (cfr. nn. 4-5): il cielo stellato nel silenzio della notte, i paesaggi, gli angeli, la stella cometa, i poveri; «dal pastore al fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche dacqua ai bambini che giocano…», a rappresentare «la santità quotidiana» (n. 6); Maria, a testimoniare «come abbandonarsi nella fede alla volontà di Dio», e san Giuseppe, «il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia» (n. 7); Gesù Bambino: l’Incarnazione, da cui «si ordina la numerazione degli anni, prima e dopo la nascita di Cristo» (n. 8); infine i Magi che «insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo» (n. 9). In conclusione il presepe ci educa a sentire quanto Dio voglia la felicità delluomo (cfr. n. 10).

In tempi di «politicamente corretto», di smarrimento religioso e morale, in cui si epurano di riferimenti cristiani i canti di Natale (quando non si sostituiscono con altri pezzi), in cui si ripudiano i presepi nel nome di una malintesa neutralità religiosa e di una travisata laicità, questo richiamo a «sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe, come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze» (n. 1) non può che riscaldare il cuore.

Particolarmente adatta a contemplare il presepe è la Lauda per la Natività del Signore di Ottorino Respighi (1879-1936), per soli, coro, strumenti pastorali e pianoforte a quattro mani, completata nel 1930. Questa cantata natalizia, articolata in quattro parti collegate tra loro ed una coda, è scritta per un soprano lirico leggero (l’angelo), un mezzosoprano (Maria), un tenore (un pastore), un coro misto (di angeli e di pastori), e un organico strumentale molto sobrio (ottavino, due flauti, oboe, corno inglese, due fagotti, triangolo, pianoforte a quattro mani). Il testo, una miscela di Italiano, in parte anche con influssi dialettali, e latino, è una selezione delle 47 strofe della Lauda pro Nativitate Domini, attribuita al poeta francescano Jacopone da Todi (ca. 1230-1306).

L’oboe, seguito prima dal corno inglese e poi dagli altri legni, inizia una dolce nenia, motivo principale della cantata, che già ci introduce nel grande mistero dell’Incarnazione. L’angelo, poi, rivolgendosi ai pastori, che custodiscono le greggi nei pascoli di quella regione, annuncia con grande gioia la nascita del piccolo Gesù, il Figlio di Dio, il Salvatore.

Segue il coro angelico, che offre ai pastori i segni necessari per riconoscere la venuta del Messia: una «vile stalla», un povero bambino indifeso che riposa tra un bue e un asino, una madre semplicemente vestita, china sulla mangiatoia. In chiusura della prima sezione della Lauda l’angelo e il coro degli angeli ripetono i loro interventi intrecciandosi.

Attraverso un interludio strumentale andiamo alla sezione dei pastori. Dapprima uno solo di essi esprime al Signore, disceso dal cielo secondo le parole dell’angelo, il desiderio ardente di trovarlo «in così vile stalla» per vederlo rivestito di carne mortale. Poi tutti i pastori, giunti alla grotta santa, trovano quanto annunciato dagli angeli: il povero Bambino che giace; la Vergine beata, che non ha cibo né vestiti per avvolgerlo; Giuseppe, a dirla tutta rappresentato in modo non veritiero, come vecchio, debole e di scarso aiuto; e un Signore che non ha nulla.

Ecco Maria, sostenuta dal corno inglese, contemplare il suo Bambino, nato in povertà, mentre il vecchio custode Giuseppe prende sonno. Suo figlio è gioia perfetta, presenza che dona «gaudio eterno». Anche il coro dei pastori si rivolge con affetto a quella fonte di bontà che si offre con «tanta povertà».

Viene poi un dialogo tra Maria e i pastori, in cui si inserisce il coro degli angeli. Maria riconosce nel figlio nato «tanta povertà», il Dio infinito che si è incarnato e rassicura il «figliuolo poverello», promesso dal Padre celeste, di avvolgerlo nel suo manto. I pastori offrono alla Madre santa i loro mantelli, pur sfilacciati dal lavoro nei campi con le greggi, e la invitano ad avvolgere il Bambino affinché la «sua carne pura» non odori di fieno. Gli angeli cantano lode, gloria e onore all’onnipotente Signore del cielo.

I pastori, che secondo il Vangelo cognoverunt de Verbo, hanno conosciuto che la Parola era vera, ora in un bellissimo episodio corale invocano Colui che si è degnato di «nascere oggi sì poveramente» di illuminare l’umanità affinché tutti possano apprezzare un tale dono. Dopo un momento strumentale in cui continua l’adorazione, i pastori chiedono umilmente a Maria di poter toccare per un momento il Bambino, prima di partire contenti. Maria è disposta a consolarli, affinché possano tornare con gioia alle loro greggi, perché ora è stabilito che il servo sarà riscattato.

Proprio sulle parole di Maria inizia un canto di gloria (Gloria in excelsis Deo) e l’atmosfera pastorale cede il passo a un canto di esultanza, favorito da  pianoforte e triangolo che si aggiungono ai legni in un solenne contrappunto in stile barocco. Poi, in un episodio più disteso, i pastori, glorificando la Sua maestà, lodano Colui che si è presentato a un mondo malvagio non per dovere ma per piacere.

E si giunge alla coda di questa Lauda, in cui Maria, cantando in estasi su di una sola nota, medita sull’essere madre di un Figlio che è il Dio eterno. Tanta è la gioia divina mentre la madre culla e bacia il caro figlio, più bello di qualunque giglio, che il suo cuore si gonfia ed ella prova «un gaudio nuovo». E prima dell'Amen conclusivo l’angelo innalza la sua voce per ribadire l’annuncio iniziale della nascita del Salvatore.