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SUDDITI DEGLI USA

Renzi, Obama, la finanza mondiale e i “senza potere”

L’episodio dell’amabsciatore americano che si è espresso a favore del “Sì” al referendum costituzionale è “spia” di un fenomeno preoccupante: la docilità del nostro attuale governo nei riguardi di alcuni grandi centri di potere internazionale cui la presidenza Obama è legata. Da qui deriva pure la svolta di Renzi sulle unioni civili.

Editoriali 16_09_2016
Il premier Matteo Renzi

In sé e per sé il maldestro intervento dell’ambasciatore americano in Italia, John  R. Phillips -- che ha pubblicamente perorato la causa del “Sì” al referendum sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi tirandosi in testa l’inevitabile accusa di ingerenza negli affari interni del nostro Paese -- finirà per avere un effetto contrario a quello cui il diplomatico puntava. Al di del suo esito immediato, l’episodio è comunque significativo come “spia” di un fenomeno assai preoccupante, anche se finora non molto avvertito dal grande pubblico. 

Ci riferiamo alla sempre più evidente docilità del nostro attuale governo nei riguardi di alcuni grandi centri di potere internazionale cui la presidenza Obama è molto legata. È una storia che inizia nell’aprile 2015 quando il presidente Obama esce con una grande dichiarazione di appoggio a Matteo Renzi. Dice di essere impressionato dalla sua energia, «dalla sua volontà di sfidare lo status quo, dalla visione per le riforme che servono a scatenare il potenziale economico dell'Italia». 

Da quel momento in avanti si susseguono con una certa regolarità, sia al di qua che al di là dell’Atlantico, cordiali vertici bilaterali tra i due, cui ogni volta fanno seguito in Italia passi avanti sulla via del progetto politico di quei grandi centri di potere di cui si diceva: un progetto che tipicamente punta da un lato all’indebolimento di tutte le aggregazioni umane che nascono e persistono al di fuori della sfera del potere politico, quindi in primo luogo della famiglia, e dall’altro all’accentramento del potere politico stesso. Segue, ad esempio, di pochi giorni a un incontro con Obama la svolta di Renzi riguardo alle unioni civili. 

Impegnato com’era nel dibattito sulla riforma costituzionale, per la quale aveva bisogno di raccogliere ampi consensi, al premier non conveniva affatto schierare il governo su una questione su cui il Paese era molto diviso. Perciò se ne era fino ad allora tenuto abbastanza lontano. Ciononostante, tornato da Washington, Renzi cambia  registro all’improvviso impegnando a testa bassa il governo a favore delle unioni civili fino a bloccare per questo il dibattito sulla riforma costituzionale. 

D’altra parte, ci sono delle prossimità impressionanti tra il riaccentramento dello Stato e l’annichilimento delle autonomie territoriali e sociali, che è il nocciolo della sua riforma costituzionale, e quanto viene auspicato per i Paesi “della periferia meridionale dell’Europa” in un documento strategico del 2013 della grande banca d’affari internazionale Jp Morgan. Nel documento si legge, infatti, che non si può uscire dalla crisi in corso se questi Paesi non procedono a modificare le loro Costituzioni, troppo legate al clima politico degli anni seguiti alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dando più forza ai governi nazionali e meno ai territori e ai Parlamenti. Ciò considerato, non sorprende che le grandi agenzie di “rating” comincino adesso ad agitare lo spettro di effetti deleteri sull’economia italiana in caso di vittoria del “No” al referendum (clicca qui).

L’uscita dell’ambasciatore Phillips -- che come si diceva essendo maldestra ha finito per diventare controproducente – è comunque nulla rispetto alla pagina di avvertimento che il quotidiano la Repubblica pubblicò lo scorso 17 agosto a firma di Federico Rampini. La pagina si apriva con questo titolo: “Il caso. Dal Wall Street Journal al New York Times, dal Financial Times al Pais la stampa internazionale mette l’Italia al centro della crisi e vede nella chiamata autunnale alle urne il possibile epicentro di un nuovo shock politico per l’Unione. L’allarme negli Usa e in Europa: «Quel voto pesa più della Brexit». 

Come tutti sanno (o dovrebbero sapere) i giornali citati non sono “la stampa internazionale”, bensì in pratica le edizioni  in varie lingue, redatte in vari luoghi, di un medesimo organo di stampa: il quotidiano unico trans-continentale che dà voce alla politica della grande finanza planetaria. La pagina, dove non a caso si cita in apertura George Soros, è a suo modo un capolavoro. In particolare l’ultima colonna va letta con grande attenzione: si tratta di un vero e proprio telegramma di istruzioni a Matteo Renzi, che probabilmente sarà molto utile per decifrare la sua politica in questi mesi. 

É stato ora annunciato che il premier Renzi tornerà da Obama il prossimo 17 ottobre «per una visita che non sarà solo di commiato». A pochi giorni dalle presidenziali Usa (8 novembre), Renzi sarà ospite a cena degli Obama insieme alla moglie Agnese, omaggio non frequente per la Casa Bianca. Come mai a poche settimane da quando cesserà dalla sua carica il presidente americano riceve Renzi «per una visita che non sarà solo di commiato»? E d’altro canto come mai a pochi giorni dalla fine della sua presidenza il suo ambasciatore a Roma è sceso così temerariamente in campo a favore del “Sì” al referendum sulla riforma Renzi-Boschi? L’unica risposta possibile è che tutto questo rientra in un disegno politico che va ben oltre Obama e la sua presidenza. 

C’è da scandalizzarsi? C’è da temere di essere di fronte a un gigantesco e invincibile complotto? Non è questo il punto. In un mondo ormai globalizzato è ovvio che si formino grandi centri di potere, grandi gruppi di pressione di dimensioni internazionali caratterizzati da progetti del genere. Si tratta di tenerne conto, di capirne la cultura e di contrastarli in nome della libertà con quello che Vaclav Havel chiamava “il potere dei senza-potere”.