Renzi, il leader dei catto-furbi
In una lettera a Repubblica, Renzi per attaccare Bersani fa un lungo sermone sul significato dell'essere cattolico in politica. Disegnando però quella visione riduttiva della fede, figlia del relativismo culturale, già contestata dal Magistero.
La lettera che ieri il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha inviato a Repubblica e legata alla corsa per il Quirinale ha sollevato un grande polverone all’interno del Partito Democratico. Non varrebbe dunque la pena parlarne se non fosse che tutta la lettera ha per argomento l’impegno dei cattolici in politica, e che Renzi è ormai un’icona anche per una parte consistente dell’elettorato cattolico che non vede l’ora che sia candidato premier per poterlo votare.
In realtà a leggere bene la lettera si capisce che la questione cattolica non è il vero motivo del contendere: il sindaco di Firenze fa infatti riferimento all’espressione “Ci vuole un presidente cattolico” che sarebbe tornata in voga in questi giorni. Al che si potrebbe pensare che siano stati i vescovi oppure politici di centro destra a invocare tale soluzione, ma non è così: è semplicemente che Bersani, nella ricerca di un candidato comune con il centrodestra, ha proposto una personalità – dice lui – cattolica: Franco Marini. Che subito viene infilzato da Renzi: ma come, non è stato neanche eletto al Senato in Abruzzo e lo vogliamo fare presidente della Repubblica? Con che autorità potrebbe rivestire tale carica? Il ragionamento – bisogna ammetterlo - non fa una grinza, tanto che viene da chiedersi: ma come, il sindaco di Firenze è stato sconfitto alle primarie del suo partito, non è riuscito a rientrare neanche nei grandi elettori del presidente della Repubblica, e vuole guidare il Paese? Con quale autorità?
In ogni caso si capisce che il vero motivo della lettera è la guerra che Renzi sta conducendo con Bersani, nient’altro. E però è l’occasione per spiegare la propria concezione dell’impegno del cattolico in politica, ovviamente senza tralasciare l’entusiastico riferimento a Papa Francesco e addirittura citando il vangelo del giorno. Renzi spiega che è orgoglioso di essere cattolico ma che da politico agisce laicamente, anche se l’ispirazione religiosa – qualsiasi religione – è utile per la società. Invece i “politici che si richiamano alla tradizione cattolica sono spesso propensi a porsi come custodi di una visione etica molto rigida”, proponendo soltanto “precetti, norme etiche (…) che il buon cristiano dovrebbe difendere dalle insidie della contemporaneità”.
A cosa si riferisca è facile capirlo, tanto è vero che sui princìpi non negoziabili la sua proposta ricalca perfettamente quella di Bersani. Insomma è la solita riproposizione di una fede ridotta a pratica privata: se ne può parlare apertamente, anche con orgoglio come fa Renzi, ma di fatto non incide sulla realtà, non ha da dire nulla sulla costruzione di una società umana se non un po’ di buoni sentimenti. Così anche la frase “non si è cattolici perché si vuole essere eletti, ma perché si vuole essere felici”, su cui non si può non concordare, assume nella concezione di Renzi un significato riduttivo. E’ il contrario di quanto richiama il Magistero e nella fattispecie la Nota dottrinale sull’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (2002), che contesta proprio la visione relativista fatta propria da Renzi:
È oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale naturale. A seguito di questa tendenza non è inusuale, purtroppo, riscontrare in dichiarazioni pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo etico è la condizione per la democrazia. Avviene così che, da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa autonomia mentre, dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi dell’etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali transitori, come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore. Nel contempo, invocando ingannevolmente il valore della tolleranza, a una buona parte dei cittadini — e tra questi ai cattolici — si chiede di rinunciare a contribuire alla vita sociale e politica dei propri Paesi secondo la concezione della persona e del bene comune che loro ritengono umanamente vera e giusta, da attuare mediante i mezzi leciti che l’ordinamento giuridico democratico mette ugualmente a disposizione di tutti i membri della comunità politica. La storia del XX secolo basta a dimostrare che la ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono del tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una norma morale, radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello Stato.
E siccome proprio le letture di domenica scorsa, citate da Renzi, dicono molto chiaramente che “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”, il sindaco di Firenze non se ne avrà a male se alla sua concezione del cristianesimo non presteremo attenzione. Anche perché, la cosa bella della fede è proprio il fatto che abbraccia la totalità della vita, che nulla rimane fuori malgrado il nostro limite, che c’è un punto di partenza nuovo per giudicare ogni cosa. Per chi è in politica, essere felici non può non avere a che fare con questo lavoro. E curiosamente a spiegarlo e viverlo fu un altro sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, che non deve essere però un modello per Renzi.
Anche perché un modello per Renzi, anzi il modello cui rifarsi per scegliere il prossimo presidente della Repubblica, è Giorgio Napolitano. Ed è qui il secondo aspetto che vale la pena accennare, perché tale scelta è conseguente all’impostazione iniziale. Torneremo nei prossimi giorni a fare un bilancio di questo settennato, ma intanto bisogna dire subito che no, Napolitano non è un modello virtuoso, anche se a vedere i nomi che girano in questi giorni, potrebbe andare anche peggio. Non solo Napolitano ha enormemente allargato a proprio piacimento i poteri del presidente della Repubblica, ma non potremo mai dimenticare il gesto più vile del suo settennato, l’aver impedito di forza che il governo salvasse la vita di Eluana Englaro. Sul piatto della bilancia della giustizia e della verità un milione di provvedimenti giusti – ammesso che li abbia fatti – non valgono quell’unico gesto di odio della vita.