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EDITORIALE

Religioni e pace, recuperiamo la prospettiva cristiana

Le parole del Papa sull'islam vanno lette nella prospettiva della prudenza, per evitare che la situazione degeneri; ma prese alla lettera possono essere fuorvianti. Piuttosto è bene ricordare che la vera pace è un dono di Cristo, ben diverso dalla pace che intende il mondo. Come spiega sant'Agostino...

Editoriali 28_07_2016
Papa in aereo

«Non è una guerra di religione» e «Tutte le religioni sono per la pace». Queste affermazioni perentorie di papa Francesco ieri sull’aereo che lo portava in Polonia, a commento dell’uccisione in chiesa di un anziano prete francese, faranno discutere per giorni. E non è la prima volta. Certamente le parole di Francesco vanno lette anche nella prospettiva della prudenza, del desiderio di evitare che una situazione già incandescente degeneri. Oltretutto poche ore prima il rettore della prestigiosa università islamica al-Azhar aveva fermamente condannato l’orrore di Rouen parlando di «attacco contro i valori dell’islam». Si può capire dunque che in una situazione così drammatica ci sia tutta l’attenzione di non dire parole che possano chiudere anche quel piccolo canale di dialogo che resta aperto.

Tutto ciò detto, però, è chiaro che queste affermazioni, se prese alla lettera, sono oggettivamente fuorvianti e diverse (se non nelle intenzioni, sicuramente nella lettera) da quel «Non si può uccidere in nome di Dio», che ripetevano spesso i predecessori di papa Francesco. Difficile negare che una minaccia grave oggi viene da un certo mondo islamico, che fa proprio leva sulla motivazione religiosa per spargere il terrore nel mondo. Non c’è un problema con le religioni in generale, c’è un problema con l’islam. Come scriveva martedì su Asia News il famoso islamologo padre Samir Khalil Samir, riferendosi ai politici europei, «si deve anche avere il coraggio di dire che l’islam ha elementi di violenza nel Corano e nella vita di Maometto. Se invece si continua a dire che “l’islam è una religione di pace”, creiamo solo confusione e mistificazione».

Nelle sue brevi frasi il Papa ha voluto fare una distinzione netta tra l’aspetto esclusivamente spirituale delle religioni e gli interessi economici, di potere, di dominio su altri popoli che spingono alla guerra e riguardano non meglio specificati «altri». Ma il problema dell’islam è proprio qui, nell’unità inscindibile tra l’aspetto religioso e quello politico, nella sovrapposizione tra attesa escatologica e conquista militare. Per questo la guerra è anche interna al mondo islamico, ma ciò è tutt’altro che consolante. Che l’islam diventi una religione di pace è un doveroso auspicio ma è ben lontano dalla realtà attuale. 

Le parole del Papa però ci costringono anche a farci qualche domanda sulla pace. Di che pace stiamo parlando? In cosa consiste?. Da un punto di vista umano siamo portati a pensare la pace in termini estremamente riduttivi, all’assenza di guerra e violenza, alla possibilità di convivere tra diversi senza tentare di eliminarsi a vicenda.

Questo è il massimo cui può aspirare il mondo, ma non è questa la pace cristiana: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27). La pace vera dunque è un dono di Gesù, ben diverso da ciò che il mondo intende. Dice Sant’Agostino commentando questo versetto del Vangelo: «Ci lascia la pace al momento di andarsene, ci darà la sua pace quando ritornerà alla fine dei tempi. (…) In lui è la nostra pace, e da lui viene la nostra pace, sia quella che ci lascia andando al Padre, sia quella che ci darà quando ci condurrà al Padre. Ma cos'è che ci lascia partendo da noi, se non se stesso, che mai si allontanerà da noi? Egli stesso, infatti, è la nostra pace, egli che ha unificato i due popoli in uno (cf. Ef 2, 14). Egli è la nostra pace (…)».

La pace dunque è Cristo, c’è se permaniamo in Lui. Dice ancora Sant’Agostino: «Chi desidera la vera pace e la vera felicità deve levare la sua speranza da beni perituri e transeunti e riporla nella Parola del Signore».

Questa dunque è la pace che siamo chiamati a portare nel mondo, senza la quale nessuna costruzione umana potrà avere consistenza. Non è il frutto di un nostro sforzo, ma il riconoscimento di un dono che Gesù ci ha lasciato, che detta «una nuova visione del mondo e un nuovo modo di avvicinarsi all'altro, sia esso una singola persona o un popolo intero» (Compendio dottrina sociale della Chiesa, no. 516). Ed è solo in questo orizzonte che ha senso la collaborazione con altre religioni, laddove i credenti si riconoscono cercatori della vera pace.

Quello che propone la tradizione cristiana dunque è la missione, l’evangelizzazione, il rendere presente a tutti gli uomini quel Cristo per cui ogni uomo è fatto. È tutt’altra cosa dall’«ONU delle religioni» che purtroppo affascina anche tanti prelati cattolici.