Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni Evangelista a cura di Ermes Dovico
UE

Regole del Web, la multa a Google riapre il dibattito

L'Unione Europea dà una super-multa a Google (2 miliardi e mezzo di euro) per abuso di posizione dominante. In pratica, il colosso americano promuoveva i suoi stessi prodotti nel mercato online a scapito di altri, approfittando del suo semi-monopolio nel settore. E però il Web è un settore ancora tutto da regolare.

Economia 29_06_2017
La commissaria Vestager

Due giorni fa una tegola non da poco si è abbattuta su Google. Il motore di ricerca è infatti stato multato per 2,42 miliardi di euro dalla Commissione europea per avere violato le regole sulla concorrenza. Secondo l'Antitrust Ue guidato dal commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager, il colosso di Mountain View avrebbe manipolato le ricerche su internet per favorire i suoi prodotti, "abusando della sua posizione dominante" e penalizzando quelli della concorrenza. 

E’ l’ultima tappa di un’indagine avviata nel novembre 2010 sulla soluzione di e-commerce Google Shopping, che offre un servizio per mettere a confronto caratteristiche e prezzi dei prodotti che vengono cercati e mettere in comunicazione diretta venditore e acquirente. Si tratta di un’attività distinta da quella principale di Google, che è prima di tutto un motore di ricerca. Una nota della Commissione europea spiega che Google avrebbe sistematicamente dato un posto di primo piano al suo servizio di confronti di prezzi, relegando invece i servizi concorrenti nelle pagine successive dei risultati della ricerca, indirizzando di conseguenza il traffico degli utenti. Secondo la Commissione, infatti, i risultati presenti nella prima pagina ricevono il 95% dei click degli utenti. Google avrebbe quindi avuto un comportamento illegale secondo la normativa Ue, impedendo ai concorrenti di competere e negando allo stesso tempo ai consumatori la possibilità di scegliere liberamente.

In base alle norme europee, Google ha tre mesi di tempo per pagare la multa e modificare i termini del servizio, cambiando l'algoritmo che seleziona e ordina i risultati delle ricerche, altrimenti potrebbe ricevere altre sanzioni, pari al 5 per cento del suo fatturato giornaliero mondiale, che corrisponde a circa 10,6 milioni di euro.

Dopo la decisione di Bruxelles, Google ha pubblicato una replica in cui difende la sua posizione e annuncia che considererà la possibilità di fare ricorso. C’è chi ha ipotizzato che si tratti di una guerra Usa-Europa: tuttavia sembra che molti dei competitor minori di Google che hanno subito danni dalla sua posizione dominante e che potrebbero avanzare cause di richiesta di risarcimento siano proprio americani. Dunque non è tanto una disputa di natura territoriale, tra Usa ed Europa, quanto una questione legata alla regolamentazione del business nel web, con relativo auspicio di evitare condotte di concorrenza sleale e di favorire la trasparenza e la correttezza dei comportamenti di chi trae profitto dal traffico online.

All’indomani della multa Ue a Google, il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella ha affermato che “la concorrenza favorisce l’innovazione, ma va sanzionato chi sfrutta una situazione di controllo per bloccare l’innovazione di altri o impedisce ad altri di affermarsi e acquisire quote importanti di mercato”. Secondo il presidente dell’Antitrust, ”la posizione dominante non è di per sé negativa. Il nodo sta in quella speciale responsabilità che deve avere chi ha uno status di controllo del mercato”, che, nel caso dei motori di ricerca, comporta “l’obbligo di avere lo stesso trattamento nei confronti di tutti i siti, senza appunto dare un vantaggio alle ricerche legate ai siti ‘di casa’”. 

La lucida analisi di Pitruzzella è condivisibile e pone l’accento, con un approccio equilibrato e di buon senso, sulla necessità di trovare una sintesi virtuosa tra l’esigenza regolatoria e la libertà di mercato nel territorio digitale. I paletti vanno messi con equilibrio, senza frenare l’innovazione.

Proprio due giorni fa, in occasione della presentazione a Milano del Libro bianco sulla comunicazione digitale, figlio di un’iniziativa congiunta di otto associazioni di operatori del settore (Fieg, Upa, Assocom, Fcp, Fedoweb, Iab, Netcomm, Unicom), è stata sottolineata l’esigenza di trasparenza nel mondo virtuale, soprattutto nel campo dei fatturati pubblicitari dei cosiddetti Over the top, cioè i giganti della Rete come Facebook, Google e Amazon, che continuano ad operare da questo punto di vista nella più assoluta opacità.

Urgono nuove regole, sia sul piano fiscale che del copyright, anche al fine di valorizzare le opere creative, non solo di natura giornalistica, prodotte dagli editori tradizionali. Per assicurare uno sviluppo sano e una crescita bilanciata della Rete occorrono regole giuridiche ma anche forme di autodisciplina da parte delle varie professionalità in campo. I legislatori nazionali, attraverso la web tax, puntano ad obbligare i colossi della Rete a pagare le tasse negli Stati nei quali producono fatturati cospicui. In Italia il Ministro dell’economia, Padoan starebbe pensando ad una sorta di bit tax, basata su una tassazione commisurata al numero di clic che un sito riceve. Sono tutti tentativi per indurre i giganti del web a contribuire alla filiera di produzione e distribuzione dei contenuti in una logica di condivisione. Basteranno?