AFRICA
Regione contesa, è già guerra tra i due Sudan
Lo stato del Sud nascerà ufficialmente il 9 luglio, ma intanto il Nord occupa Abyei, dove si combatte per il controllo dei giacimenti petroliferi.
Attualità
27_05_2011
Si moltiplicano gli scontri nella regione di Abyei, Sudan centrale, mentre si avvicina la data del 9 luglio, giorno in cui nascerà ufficialmente la Repubblica del Sud Sudan. Il nuovo Stato, con capitale Juba, comprende i territori meridionali del Sudan, popolati da etnie nilotiche di religione cristiana e animista, vittime per decenni del Nord arabo e islamico.
In base agli accordi di pace firmati nel 2005 da Khartoum e dall’Spla, il movimento leader della resistenza del Sud, le popolazioni meridionali sono andate alle urne lo scorso gennaio per decidere se mantenere lo status semiautonomo ottenuto con gli accordi del 2005 oppure costituirsi in Stato indipendente. Quasi il 99% degli elettori hanno scelto la secessione liberandosi finalmente di un governo spietato al quale si devono due milioni di morti e quattro milioni tra sfollati e profughi: tante si stima siano state le vittime del conflitto che ha contrapposto Nord e Sud, iniziato l’anno prima dell’indipendenza, nel 1955, e durato appunto fino al 2005, con un’unica tregua tra il 1972 e il 1983.
Il periodo peggiore della guerra è iniziato con l’avvento al potere dell’attuale presidente, Omar Hassan el Bashir, che nel Sud prima e nella regione occidentale del Darfur poi, a partire dal 2003, ha avviato un processo di arabizzazione del paese, dopo che già nel 1983 era stata decisa l’imposizione della shari’a, la legge coranica, su tutto il territorio nazionale, incluse le regioni abitate dai cristiani e dagli animisti.
Ma a rendere il conflitto ancora più cruento sono stati la scoperta e poi l’inizio, nel 1999, dello sfruttamento dei giacimenti di petrolio situati quasi tutti al Sud ed è proprio il petrolio la causa degli attuali scontri di Abyei. La regione è infatti anch’essa ricca di petrolio. Per questo, contesa dal Nord e dal Sud, avrebbe dovuto decidere tramite un referendum a quale stato intendeva appartenere dopo l’eventuale secessione del Sud. Ma la consultazione è stata rimandata a tempo indeterminato da Khartoum, evidentemente convinto che Abyei sceglierebbe il sud. Nei giorni scorsi, malgrado un accordo in base al quale la sicurezza della regione dovrebbe essere garantita da un corpo militare composto da personale misto Nord-Sud, l’esercito di Khartoum ha occupato la città mettendola a ferro e a fuoco e costringendo la popolazione a fuggire verso sud: per lo più a piedi, sprovvista di tutto e quindi, come la solito, bisognosa di assistenza immediata.
Come è noto, con la scissione, il Nord perde gran parte dei propri introiti derivanti dal petrolio, ma il Sud, almeno per alcuni anni, vale a dire finché non saranno costruiti dei nuovi oleodotti, dipenderà da quelli che portano il greggio ai terminali di Port Sudan, nel Nord dove inoltre si trovano le raffinerie di Khartoum, Port Sudan e El-Obeid. Juba ha già annunciato la costruzione di raffinerie e di un oleodotto lungo 3.600 chilometri che raggiungerà il porto di Lamu, in Kenya. Ma ci vorranno anni per realizzarli.
Nel frattempo tutto fa pensare che Khartoum intenda rendere difficile la vita del nuovo stato. L’Splm sostiene che l’esercito del Nord ha approfittato di un pretesto per decidere l’occupazione militare di Abyei e accusa el Bashir di sostenere militarmente le truppe irregolari guidate da alcuni ex generali dell’Spla che da gennaio creano disordini nel Sud: si tratterebbe della stessa strategia adottata in Darfur, dove il governo ha sostenuto e armato le milizie arabe contro le popolazioni di origine africana.
Ma la lotta per Abyei non è l’unica ombra che incombe sul nuovo stato. Perplessità sta suscitando la costituzione provvisoria che regolerà le istituzioni politiche del sud per i prossimi quattro anni. Le critiche vertono sull’accentramento dei poteri nelle mani del presidente, giustificato dalla necessità di guidare i primi passi del paese con mano sicura, ma che già viene giudicato un tradimento delle promesse di democrazia che hanno indotto quasi tutti i sud sudanesi a scegliere la secessione. Prima ancora ha creato insoddisfazione il fatto che la redazione della carta fondamentale sia stata affidata a un comitato composto per oltre due terzi da esponenti dell’Splm. Un ulteriore motivo di preoccupazione deriva proprio dalla supremazia dell’Splm nelle istituzioni politiche, il che equivale a consegnare il governo del paese all’etnia Dinka a scapito delle altre. La volontà e la capacità dell’Splm di condividere il controllo dell’apparato statale è una delle condizioni necessarie per il buon funzionamento del Sud Sudan che ha un bisogno disperato di stabilità e di pace. La seconda altrettanto indispensabile condizione è che i suoi leader sappiano resistere alla tentazione di gestire disinvoltamente le ricchezze della regione trasformando ancora una volta in maledizione la disponibilità eccezionale di preziose risorse naturali.
Il periodo peggiore della guerra è iniziato con l’avvento al potere dell’attuale presidente, Omar Hassan el Bashir, che nel Sud prima e nella regione occidentale del Darfur poi, a partire dal 2003, ha avviato un processo di arabizzazione del paese, dopo che già nel 1983 era stata decisa l’imposizione della shari’a, la legge coranica, su tutto il territorio nazionale, incluse le regioni abitate dai cristiani e dagli animisti.
Ma a rendere il conflitto ancora più cruento sono stati la scoperta e poi l’inizio, nel 1999, dello sfruttamento dei giacimenti di petrolio situati quasi tutti al Sud ed è proprio il petrolio la causa degli attuali scontri di Abyei. La regione è infatti anch’essa ricca di petrolio. Per questo, contesa dal Nord e dal Sud, avrebbe dovuto decidere tramite un referendum a quale stato intendeva appartenere dopo l’eventuale secessione del Sud. Ma la consultazione è stata rimandata a tempo indeterminato da Khartoum, evidentemente convinto che Abyei sceglierebbe il sud. Nei giorni scorsi, malgrado un accordo in base al quale la sicurezza della regione dovrebbe essere garantita da un corpo militare composto da personale misto Nord-Sud, l’esercito di Khartoum ha occupato la città mettendola a ferro e a fuoco e costringendo la popolazione a fuggire verso sud: per lo più a piedi, sprovvista di tutto e quindi, come la solito, bisognosa di assistenza immediata.
Come è noto, con la scissione, il Nord perde gran parte dei propri introiti derivanti dal petrolio, ma il Sud, almeno per alcuni anni, vale a dire finché non saranno costruiti dei nuovi oleodotti, dipenderà da quelli che portano il greggio ai terminali di Port Sudan, nel Nord dove inoltre si trovano le raffinerie di Khartoum, Port Sudan e El-Obeid. Juba ha già annunciato la costruzione di raffinerie e di un oleodotto lungo 3.600 chilometri che raggiungerà il porto di Lamu, in Kenya. Ma ci vorranno anni per realizzarli.
Nel frattempo tutto fa pensare che Khartoum intenda rendere difficile la vita del nuovo stato. L’Splm sostiene che l’esercito del Nord ha approfittato di un pretesto per decidere l’occupazione militare di Abyei e accusa el Bashir di sostenere militarmente le truppe irregolari guidate da alcuni ex generali dell’Spla che da gennaio creano disordini nel Sud: si tratterebbe della stessa strategia adottata in Darfur, dove il governo ha sostenuto e armato le milizie arabe contro le popolazioni di origine africana.
Ma la lotta per Abyei non è l’unica ombra che incombe sul nuovo stato. Perplessità sta suscitando la costituzione provvisoria che regolerà le istituzioni politiche del sud per i prossimi quattro anni. Le critiche vertono sull’accentramento dei poteri nelle mani del presidente, giustificato dalla necessità di guidare i primi passi del paese con mano sicura, ma che già viene giudicato un tradimento delle promesse di democrazia che hanno indotto quasi tutti i sud sudanesi a scegliere la secessione. Prima ancora ha creato insoddisfazione il fatto che la redazione della carta fondamentale sia stata affidata a un comitato composto per oltre due terzi da esponenti dell’Splm. Un ulteriore motivo di preoccupazione deriva proprio dalla supremazia dell’Splm nelle istituzioni politiche, il che equivale a consegnare il governo del paese all’etnia Dinka a scapito delle altre. La volontà e la capacità dell’Splm di condividere il controllo dell’apparato statale è una delle condizioni necessarie per il buon funzionamento del Sud Sudan che ha un bisogno disperato di stabilità e di pace. La seconda altrettanto indispensabile condizione è che i suoi leader sappiano resistere alla tentazione di gestire disinvoltamente le ricchezze della regione trasformando ancora una volta in maledizione la disponibilità eccezionale di preziose risorse naturali.