Reddito di cittadinanza: ci rovina l'estate, ma ce lo chiede l'Ue
Le località turistiche, d'estate, vivono soprattutto sull'opera dei lavoratori stagionali. Ma il Reddito di Cittadinanza, come prevedibile, sta facendo "concorrenza". Quasi a parità di somma, meglio restare a casa. Il punto è che l'Ue ha sdoganato il concetto di RdC ed ora raccomanda un salario minimo anche per i Paesi che non ce l'hanno.
Le località turistiche italiane si preparano a vivere un’estate più o meno normale. Gli operatori del settore nutrono grandi aspettative verso i mesi di giugno, luglio e agosto, perché confidano nel boom di turisti stranieri, liberi di viaggiare senza green pass e probabilmente desiderosi di prendere d’assalto anche le località di villeggiatura italiane. Tra le incognite, però, rimane quella dell’utilizzo della mascherina sui mezzi di trasporto, che il Ministro della Salute, Roberto Speranza, vorrebbe mantenere anche nei prossimi mesi e, soprattutto, quella dell’organizzazione del lavoro nelle aziende turistiche.
Il turismo in Italia si regge anche su manodopera stagionale, cioè su persone che durante i mesi estivi fanno i bagnini, lavorano negli stabilimenti balneari, negli alberghi e nelle altre strutture ricettive, nei ristoranti all’aperto sulle spiagge o nelle località di montagna. Nel 2020 e 2021, con l’incertezza relativa all’evoluzione epidemiologica, non si è percepito fino in fondo il danno enorme che sul mercato del lavoro produce l’erogazione del reddito di cittadinanza. Quest’anno l’effetto deleterio di quel sussidio si potrà toccare con mano in tutta la sua drammatica virulenza.
Si sa già, infatti, che moltissimi percettori del reddito di cittadinanza, piuttosto che lavorare per tre mesi guadagnando poco più di quanto ricevono attualmente, preferiranno continuare a rimanere a casa. Soprattutto in alcune regioni del sud questo fenomeno è molto accentuato e dunque diventa difficile per le aziende turistiche reperire forza lavoro stagionale. Chi, senza far nulla, si vede accreditare mensilmente più di 700 euro al mese, ben difficilmente accetta di guadagnarne 900 o 1000 sgobbando sotto il sole per un’intera giornata. È un meccanismo devastante per il mercato del lavoro, perché non incentiva l’impegno, non valorizza le professionalità, penalizza il business delle imprese, accrescendo contestualmente gli oneri per la finanza pubblica.
Nonostante questo, l’Unione Europea ha di recente richiamato tutti gli Stati, Italia compresa, a varare politiche del lavoro basate proprio sul reddito di cittadinanza e il salario minimo garantito, altro argomento divisivo tra le forze politiche e sociali e anche nell’opinione pubblica.
Nei dettagli, pare che a Bruxelles siano intenzionati a pubblicare entro settembre una Raccomandazione sul reddito minimo, invitando i Paesi membri a introdurre nelle rispettive legislazioni una misura in favore di un sostegno universale, nel rispetto del principio di adeguatezza. Tale identikit risponde tristemente proprio all’attuale reddito di cittadinanza. E’ evidente che la Raccomandazione non è una legge vincolante ma solo uno strumento di “moral suasion”, ma appare alquanto difficile che il nostro Paese possa disattenderla e addirittura abolire del tutto quel sussidio. I due Matteo da tempo ne chiedono la cancellazione. Salvini vorrebbe destinare quelle somme all’aumento delle pensioni minime, Renzi ha annunciato un referendum per chiedere la cancellazione del reddito di cittadinanza. Intanto, però, il governo Draghi si è addirittura impegnato a rivedere il meccanismo che vieta agli stranieri residenti da meno di dieci anni in Italia di percepirlo.
Sul salario minimo, inoltre, si sta consumando uno scontro assai aspro tra centrodestra e centrosinistra e tra governo e industriali. L’Ue, anche in questo caso, vuole dettare criteri da applicare in maniera uniforme a tutti gli Stati, non rendendosi conto che una misura del genere andrebbe a impattare in maniera molto devastante su Paesi come l’Italia, con un alto tasso di disoccupazione e un altissimo costo del lavoro. Occorre intervenire sul cuneo fiscale, lo si dice da anni, anche perché i balzelli che gravano sulle imprese sono assai più alti che altrove.
L’Ue in queste sue imposizioni ricorda davvero modelli di organizzazione statuale e sociale di stampo sovietico che credevamo di aver archiviato per sempre. Il rischio di misure del genere è quello di una crisi di rigetto da parte di strutture socio-economiche come quella italiana già fortemente penalizzate dalla crisi degli ultimi anni. Lo fanno sommessamente notare gli industriali, che aprono al salario minimo ma solo per i più fragili e che ricordano come la paga di 9 euro lordi all’ora che si vorrebbe garantire a tutti è inferiore a quella che già attualmente i contratti siglati da Confindustria garantiscono ai salariati.
In più, se con metodi dirigistici come quelli usati dall’Ue si imporrà il salario minimo senza accrescere la competitività delle imprese e senza ridurre il cuneo fiscale, evidentemente ci saranno meno assunzioni e il mercato del lavoro entrerà in crisi. Si scatenerà quella che il governatore della Banca d’Italia ha già paventato nei giorni scorsi, cioè la rincorsa tra prezzi e salari, che impoverirà ulteriormente la società.
Nonostante questo, il Ministro del lavoro, Andrea Orlando preannuncia entro l’estate un intervento sul “lavoro povero”. La sinistra punta a esibire questo “trofeo” in campagna elettorale e a ricostituire su questo tipo di politiche del lavoro il cosiddetto fronte largo Movimento 5 Stelle-Pd-estrema sinistra. Nel centrodestra, invece, si guarda con forte sospetto a questa ennesima incursione di Bruxelles nelle dinamiche socio-economiche dei singoli Stati nazionali e con un certo scetticismo alla possibilità che l’abbinata salario minimo-reddito di cittadinanza possa generare quella auspicata ripartenza socio-economica dell’Italia dopo la pandemia.