Reazionario, conservatore, tradizionalista: non basta il passato
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Reagire, conservare, trasmettere: tre diverse azioni dietro tre parole spesso confuse tra loro. L'elemento chiave sta nella Tradizione ma – si badi bene – con la maiuscola.
Che differenza c’è tra reazionario, conservatore e tradizionalista? Diversi mi hanno fatto questa domanda; cerchiamo di rispondere in questo articolo.
Partiamo dalla prima parola – reazionario –, in voga fino alla fine del secolo scorso e adesso un po' in disuso, e lo facciamo con le parole di Giovannino Guareschi:
Postero mio diletto, un giorno ti diranno certamente: «Tuo padre fu un reazionario» e tu non dovrai adontartene perché questa è la sacrosanta verità, tanto che io, oggi, mi onoro di essere un fiero reazionario. Reazionario – dicono i vocabolari – è chi si oppone al progresso e vuol far rivivere le cose del passato. Qui occorre che ci mettiamo d’accordo sul significato da dare alle cose del passato.
Io mi guardo attorno e mi domando: come vanno oggi le cose in questo disgraziato mondo?
Quante persone in una volta sola poteva uccidere la più potente macchina infernale di mezzo secolo fa? Quaranta o cinquantamila volte di meno della più potente diavoleria bellica del giorno d’oggi.
Siamo d’accordo che, grazie alla penicillina e ad altre mirabili cose, è molto più facile salvare un malato di quanto non fosse cinquant’anni fa: ma questo è un porco progresso che salva dieci malati e ammazza centomila sani e quindi io sono contrario al progresso. Evviva quindi la reazione!
Sono un reazionario, postero mio diletto, perché mi oppongo al progresso e voglio far rivivere le cose del passato. Ma un reazionario molto relativo, perché il vero bieco reazionario è chi, in nome del progresso e dell’uguaglianza sociale, vuol farci retrocedere fino alla selvaggia era delle caverne e poter così dominare una massa di bruti progrediti ma incivili.
Postero mio diletto, quando vedrai sulla terra che coprirà lo chàssis di tuo padre il marmo recante inciso «fu un uomo probo» cancella e scrivi: «Fu un bieco reazionario». Non lasciare che si calunni la memoria di tuo padre. Quando ti diranno che sei un bieco reazionario come tuo padre, sghignazzerai e io mi sentirò vivo, nella mia libera tomba di onesto defunto.
Le parole di Guareschi chiariscono in modo esemplare il significato di reazione: è la risposta a una azione. Il progresso (diremo: la modernità) fa schifo? E io la rifiuto, voglio tonare al passato. Non perché il passato fosse perfetto ma, appunto, per reazione al presente. Posizione comprensibile ma, appunto, non significa che il passato fosse perfetto; è che il presente fa ancora più schifo. La reazione è un meccanismo psicologico e politico interessante e, forse, merita un successivo approfondimento.
Il conservatore – etimologicamente – è colui che «conserva». Potremmo dire che il conservatore è un rivoluzionario al quale va bene il punto al quale la Rivoluzione è giunta oggi e non desidera che il processo prosegua. È chi, in poche parole, si getta dal quinto piano ma desidera fermarsi al secondo e non schiantarsi al suolo come, invece, è logico che avvenga. Il conservatore è, in genere, un liberista (quindi un rivoluzionario) moderato e, tra i suoi modelli, ci sono i tories anglosassoni; i quali, appunto, erano sì conservatori, ma solo perché i whigs erano più radicali di loro. Il conservatore è colui che Plinio Corrêa de Oliveira chiamava «rivoluzionario a marcia lenta» perché finiva, prima o poi, per giungere sulle posizioni del rivoluzionari più estremisti, «a marcia veloce».
Il tradizionalista è colui che desidera trasmettere ciò che ha ricevuto, ossia chi desidera che il passato non muoia ma resti vivo nelle nuove generazioni. Il punto è quello che riguarda anche il reazionario: è sufficiente che una cosa venga dal passato per essere buona? Ovviamente no, come non necessariamente una cosa nuova è migliore di una vecchia. Ci aiuta a capire questo punto un brano del Vangelo (Mc 7, 1-13):
Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame - quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
E aggiungeva: «Siete veramente abili nell'eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Voi invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me, non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre, annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».
Questo è ciò che pensava Gesù della tradizione.
Eppure – obietterà qualcuno – il Catechismo spiega come Tradizione e Scrittura siano i fondamenti del Magistero della Chiesa. Esatto, ma – si badi bene – si tratta di Tradizione apostolica (maiuscolo), non del «si è sempre fatto così»: «La Tradizione di cui qui parliamo è quella che proviene dagli Apostoli e trasmette ciò che costoro hanno ricevuto dall'insegnamento e dall'esempio di Gesù e ciò che hanno appreso dallo Spirito Santo» (CCC, n. 83).
Tradizione, il vero significato da rifare nostro
Oggi nella Chiesa ci sono due visioni della “tradizione”. Quella classica e quella della teologia moderna, influenzata da Gadamer e ormai dominante, che vede la tradizione come una reinterpretazione continua. Ma solo la prima è corretta e la Chiesa ha bisogno di riscoprirla.
La tradizione è una casa che richiede solide fondamenta
Il film "Il violinista sul tetto" suscita domande su "ciò che si è sempre fatto" (o almeno da qualche secolo): le tradizioni plasmano l'identità, offrono rifugio, ma rischiano di dare una stabilità soltanto illusoria se non poggiano sulla roccia di Dio fatto uomo.