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MEDIO ORIENTE

Raqqa e Mosul, canto del cigno dell'Isis

Poche centinaia di miliziani del Califfato oppongono ancora una strenua resistenza alle truppe irachene nella città vecchia di Mosul, ormai quasi interamente liberata. Il Califfato è alle corde anche nella sua "capitale" Raqqa, in Siria. Resistenze che possono durare anche settimane o mesi, ma che non cambiano l'esito. L'Isis è sconfitto. Semmai inizia già a vedersi lo scontro che ci sarà fra i vincitori sciiti, curdi e sunniti.

Esteri 03_07_2017
Mosul, bandiera irachena sull'ospedale

Poche centinaia di miliziani del Califfato oppongono ancora una strenua resistenza alle truppe irachene che hanno riconquistato le rovine della simbolica moschea di al-Nouri, nel cuore di Mosul, da dove Abu Bakr al-Baghdadi aveva proclamato il Califfato tre anni or sono.

Una battaglia infuocata, combattuta nella Città Vecchia casa per casa a temperature superiori ai 40 gradi. Il comandante delle forze anti-terrorismo, generale Abdul Ghani Al Asaadi, ha detto che saranno necessari ancora alcuni giorni per 'ripulire' gli stretti vicoli e gli antichi edifici della Città vecchia dai 200/300 jihadisti che si stima vi siano ancora trincerati, decisi a fermare in ogni modo le forze lealiste, facendo ricorso a cecchini, autobomba e attentatori suicidi. Una resistenza a oltranza già vista in altre città irachene (Ramadi, Fallujah…) e nella città libica di Sirte che non può mutare l’esito della battaglia.

Il comandante della polizia federale, generale Raed Shaker Jawdat, ha annunciato che le sue forze hanno riconquistato altri settori dei quartieri di Bab Lakash e Bab al Jadid, compresa la moschea di Kaab bin Malik. Ma le operazioni procedono tra mille cautele a causa della presenza di civili e di trappole esplosive lasciate dai jihadisti prima di ritirarsi, che richiedono lunghe operazioni di bonifica del territorio riconquistato. Nelle ultime ore è caduto il quartiere di al-Shifa, ultimo in mano all’IS fuori dalla Città Vecchia.

E' "la fine del falso Stato dell'Isis" ha detto nei giorni scorsi il premier iracheno Haidar al-Abadi anche se l’euforia per la caduta di Mosul ormai imminente ha fatto dimenticare che l’IS controlla ancora ampie aree in territorio siriano ma anche in Iraq dove mantiene il possesso di un’area di 500 chilometri quadrati ad Hawija, a ovest di Kirkuk, e una fascia di territorio lunga 400 chilometri alla frontiera con la Siria, settore dove operano le milizie sciite filo iraniane congiuntesi con le truppe di Bashar Assad. In molte aree i miliziani del Califfo sono di fatto circondati mentre lo stesso al-Baghdadi potrebbe essere stato ucciso dai raid aerei russi a fine maggio.

Nelle zone liberate cresce il timore di rappresaglie contro i sunniti sospettati di essere fiancheggiatori o simpatizzanti dello Stato islamico. Vendette dietro le quali si nascondono anche rancori interetnici, interconfessionali e tribali. L'Onu ha espresso "estrema preoccupazione" per le minacce già ricevute da "centinaia di famiglie" di presunti membri dell'Isis o loro parenti. Il portavoce dell'Alto commissariato per i diritti umani, Rupert Colville, ha parlato di "segnalazioni di cosiddette lettere notturne lasciate presso le abitazioni o distribuite nei quartieri" che intimano alle persone di lasciare le abitazioni a una data particolare, pena l'espulsione forzata. L'Onu ha quindi esortato il governo iracheno a prendere provvedimenti per fermare questi sgomberi imminenti o qualsiasi tipo di punizione collettiva, che renderebbe ancora più difficile il già arduo percorso della riconciliazione nazionale.

La sconfitta militare dell’Isis, alle corde anche a Raqqa dove i jihadisti combattono casa per casa (e hanno lanciato con successo un paio di contrattacchi) contro le milizie curdo-arabe delle Forze Democratiche Siriane sostenute dagli USA e che hanno liberato il 25% per cento del centro urbano, potrebbe infatti non garantire la pacificazione nel nord dell’Iraq. La “questione sunnita” resta infatti aperta e se ampi settori dell’opinione pubblica sunnita hanno sostenuto il Califfato domani il governo sciita di Baghdad dovrà varare un’ampia opera di inclusione politica di quella comunità se vorrà evitare nuovi moti insurrezionali. Anche i curdi sono in fermento e dopo aver sostenuto inizialmente quasi da soli il peso della guerra all’Isis sul fronte iracheno oggi aspirano alla piena indipendenza, obiettivo perseguito in un secolo di lotte.

Il governo regionale del Kurdistan iracheno ha infatti fissato per il 25 settembre il referendum sull'indipendenza dall'Iraq che riguarderà anche le regioni contese di Kirkuk, Khanqin, Sinjar e Makhmor in cui la presenza curda è mista con quella araba. Baghdad ha però respinto la “decisione unilaterale presa dalle autorità del Kurdistan iracheno” mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha definito l’ipotesi dell'indipendenza curda “una minaccia all'integrità territoriale dell'Iraq". Del resto il principale obiettivo di Ankara nel conflitto iracheno-siriano è scongiurare la nascita di uno Stato curdo e oggi Baghdad teme soprattutto che i curdi mettano le mani sulla regione petrolifera di Kirkuk da cui hanno cacciato senza troppi clamori gran parte della comunità araba.