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Giornata mondiale del rifugiato

Rapporto Unhcr: profughi raddoppiati in dieci anni

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Dai 59,2 milioni del 2014 agli attuali 117,3 milioni di persone in fuga da conflitti armati, persecuzione, sistematiche violazioni dei diritti umani. Il dato positivo è che nel 2023 un milione di rifugiati e più di 5 milioni di profughi interni hanno potuto far ritorno a casa.

Attualità 20_06_2024
Shareef Sarhan IMAGOECONOMICA

Tutti gli anni il 20 giugno si celebra la Giornata mondiale del rifugiato. In effetti le Nazioni Unite l’hanno istituita nel 2001 per ricordare tutti i profughi, ovvero tutte le persone in fuga da conflitti armati, persecuzione, sistematiche violazioni dei diritti umani sotto mandato dell’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati: sia quelle che per mettersi in salvo lasciano i loro Paesi e chiedono asilo sia quelle che restano entro i confini nazionali e vengono per questo chiamate profughi interni o sfollati.

In crescita costante, sono quasi raddoppiati in dieci anni. Erano 59,2 milioni nel 2014 e adesso sono 117,3 milioni. È questo il dato generale riportato nell’ultimo rapporto, relativo al 2023, che come ogni anno è stato presentato dall’Unhcr nei giorni precedenti al 20 giugno. Anche per l’anno trascorso i profughi di gran lunga più numerosi sono gli sfollati, 68,3 milioni; i rifugiati sono 31,6 milioni e altri 5,8 milioni di persone sono titolari di protezione internazionale anche se non con status giuridico di rifugiato. Infine i richiedenti asilo in attesa di sapere l’esito della loro richiesta sono 6,9 milioni. Ci sono inoltre 6 milioni di rifugiati palestinesi dei quali però si occupa l’Unrwa, United Nation relief and works agency for palestine refugees, l’agenzia Onu creata nel 1949 per assisterli (nei mesi scorsi oggetto di indagini dopo la denuncia che diversi suoi dipendenti hanno rapporti di collaborazione con i terroristi di Hamas).

Un dato molto positivo che emerge dal rapporto, l’unico però, è che nel corso del 2023 un milione di rifugiati e più di cinque milioni di profughi interni hanno potuto fare ritorno a casa perché si sono create le condizioni di sicurezza necessarie, la crisi che li aveva indotti a fuggire è stata risolta. È un “importante spiraglio di speranza” ha commentato l’Alto commissariato, tanto più in un momento estremamente critico come l’attuale. Il 2023 ha infatti visto aprirsi e crescere la più grave crisi umanitaria della storia recente, quella provocata dalla guerra scoppiata lo scorso aprile in Sudan tra due generali per il controllo del paese, responsabile di 10,8 milioni di profughi, circa un milione dei quali rifugiati nei paesi vicini. Segue per numeri e gravità la Repubblica Democratica del Congo, dove gli sfollati, molti dei quali da anni e senza quasi speranza di ritorno, sono più di sette milioni, causati soprattutto dall’instabilità persistente delle province orientali devastate da decine di gruppi armati che infieriscono sulla popolazione pressoché incontrastati. 

Per quanto riguarda i rifugiati, come nel 2022 circa il 70% di loro ha chiesto e ottenuto asilo nei Paesi confinanti con quelli di origine. Lo impone la Convenzione di Ginevra e rispecchia l’intenzione della quasi totalità dei profughi espatriati di allontanarsi il meno possibile da casa nella speranza di potervi fare ritorno. Il 73% dei rifugiati proviene da cinque paesi: Afghanistan, Siria, Venezuela, Ucraina e Sudan. Le popolazioni di rifugiati più numerose vivono in Iran (3,8milioni), Turchia (3,3 milioni), Colombia (2,9 milioni), Germania (2,6 milioni) e Pakistan (2 milioni). Ma, in rapporto alla popolazione, i Paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati sono l’isola di Aruba (uno ogni cinque abitanti) e il Libano (uno ogni sei). Invece gli Stati Uniti sono il Paese che nel corso del 2023 ha ricevuto più richieste di asilo (1,2 milioni), seguiti dalla Germania (239.000). 

«Dietro questi crudi numeri purtroppo in aumento – ha commentato l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi nel presentare il nuovo rapporto Unhcr – si celano innumerevoli tragedie umane. Queste sofferenze devono spronare la comunità internazionale ad agire con urgenza per affrontare il problema, per risolvere le cause profonde di così tanti profughi». Affrontare il problema dei profughi è effettivamente tra i doveri ai quali è chiamata la comunità internazionale e sono tanti i paesi non vi si sottraggono. Oltre che ospitando i rifugiati, lo fanno finanziando l’Unhcr che per il 2023 ha presentato un bilancio di quasi 11 miliardi di dollari e altrettanti ne ha richiesti per far fronte ai propri impegni nel 2024. Invece, risolvere le cause all’origine di così tanti profughi richiede volontà di pace, di buon governo, di tolleranza e, dove queste mancano, la comunità internazionale ha poca o nulla facoltà di intervenire utilmente. Le stesse missioni di pace delle Nazioni Unite, attualmente 11, possono al meglio contenere la violenza e fare da scudo ai civili, cosa che oltre tutto non sempre accade.

«È giunto il momento che le parti in conflitto rispettino il diritto bellico e il diritto internazionale», ha aggiunto l’Alto commissario Grandi. Non ha detto se si riferiva a qualche situazione in particolare, ma doveva per forza pensare al Sudan dove i contendenti ostacolano e ritardano la distribuzione di aiuti essenziali, alimentari e sanitari, ai 25 milioni di civili, metà della popolazione, che hanno assoluto bisogno di assistenza. Negli ultimi mesi in effetti la fame è usata come arma di guerra. I soldati governativi e i paramilitari non mostrano pietà neanche per i bambini.

Sono proprio i bambini sfollati a patire maggiormente, non soltanto in Sudan. Quelli rifugiati è più facile che ricevano cure e attenzioni necessarie a renderne tollerabile l’esilio. Se si prolunga il soggiorno lontano dal paese di origine, quasi sempre si riesce anche a far sì che possano andare a scuola. Ma quello che, al di là dei crudi numeri, forse rende l’idea delle tragedie umane evocate dall’Alto commissario Grandi, dell’ingiustizia intollerabile di essere esuli senza colpa è il fatto che il 40% dei profughi – rifugiati e sfollati – sono minorenni, nonostante che costituiscano solo il 30% della popolazione umana. 



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