Rania di Giordania, a Cernobbio, porta la sua proposta per la pace
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Rania di Giordania condanna l'offensiva israeliana a Gaza e il doppiopesismo europeo nel Medio Oriente. Ed ha illustrato un piano in cinque punti per tentare di porre fine alla guerra.
Aveva varcato il celebre portone di Villa d'Este a Cernobbio, sul lago di Como, ben diciannove anni fa, non immaginando di ritornarvi in tempi ben più difficili e complicati. Palestinese di origine, Rania al-Yasin, andata in sposa al futuro re di Giordania, Abdullah II bin Al Hussein, forte di un’immagine accattivante e impegnata in varie iniziative a livello internazionale, è giunta al forum di Cernobbio intervenendo sulla questione delle ostilità tra Israele e Gaza e riconducendole a quello che lei stessa definisce come “razzismo antipalestinese”. Ha parlato, in perfetto inglese, davanti ad un pubblico attento di ospiti illustri sia della politica, che della finanza, sul conflitto in Medio Oriente e sulla causa palestinese. Ha condannato, in modo inequivocabile, la politica del doppiopesismo, esercitata dalla comunità internazionale nei confronti di Israele, riguardo ai palestinesi e illustrando un piano in cinque punti per tentare di porre fine alla guerra. Ha, tra l’altro, affermato che le voci estreme devono essere escluse, perché «il futuro non può essere ostaggio di coloro che sostengono gli stermini e le punizioni». Ed ha concluso: «Incitare contro un’intera popolazione è una violazione di una decente condotta umana, non un esercizio di libertà di espressione».
La regina più amata del Medio Oriente è convinta che la giustizia possa prevalere se il potere verrà sottoposto a severi controlli e sanzionati gli illeciti. «A Gaza - ha detto - vediamo le conseguenze catastrofiche di questo squilibrio: una nazione potente, che crea condizioni di fame e sfollamento di massa e agisce in modo impunito». E ha concluso dicendo che il futuro non può essere tenuto in ostaggio da coloro che affamano un popolo, praticano lo sterminio e l'espulsione, e che applaudono alla punizione collettiva.
Che, in effetti, nella Striscia di Gaza si viva senza speranza è un dato di fatto. La gente vaga da un luogo all'altro, di quel piccolo lembo di terra, in cerca di un posto sicuro, mentre proseguono a ritmo serrato i bombardamenti dell'aviazione israeliana. «Non sappiamo dove andare. Siamo per strada - ha scritto su X un insegnante della scuola beduina Amr Ibn al-Aas, in uno dei pochi istanti che Israele concede per il collegamento alla rete -. Non c’è alcun rispetto per moschee, scuole e nemmeno per le case in cui viviamo». La situazione umanitaria è al collasso: il valico di Erez, tra Gaza e Israele, è chiuso, da oltre quattro mesi, mentre alla frontiera di Rafah, al confine con l’Egitto, si formano file interminabili di mezzi carichi di aiuti per la popolazione stremata. Dallo scorso 7 ottobre gli abitanti della Striscia non hanno più un lavoro, preoccupati a mettersi al sicuro, vivono alla giornata sperando negli aiuti della comunità internazionale. Il Patriarcato di Gerusalemme dei Latini e la Custodia di Terra Santa sono in prima linea nel sostegno alle famiglie più bisognose, preoccupati di far giungere tutta l'assistenza possibile.
Ma la vita è dura anche in Cisgiordania, dove gli assalti dei coloni e le operazioni dei militari proseguono in modo incalzante. Ieri mattina, un gruppo di ebrei ultraortodossi, armati e con il volto coperto, ha impedito ai bambini del villaggio di al-Kabana, della comunità di Mlihat, di raggiungere la scuola, minacciandoli con le armi e ordinando loro di ritornare nelle tende. Anche i soldati hanno lanciato bombe assordanti per impedire ai bambini di raggiungere il plesso scolastico. Sempre i militari, preceduti dai loro mezzi meccanici, hanno abbattuto una struttura agricola, sradicando anche un palmeto nel villaggio di Marj Na'ia a nord di Gerico. Il tutto nell'indifferenza totale del governo guidato da Benjamin Netanyahu.
Ma chi si rallegra di questa situazione è il ministro delle Finanze, Bezalel Yoel Smotrich, che sta portando avanti, senza alcun ostacolo, il programma di annessione della Cisgiordania. «Innanzitutto, è necessario che l'Autorità palestinese collassi - ha dichiarato -. Solamente così non ci sarà più la possibilità della creazione di uno stato palestinese. I sette milioni di palestinesi devono scegliere: o lasciare la Palestina per emigrare all'estero o rimanere in quella terra come cittadini di seconda classe».
Parole pesanti che non fanno altro che aumentare l'odio contro gli ebrei.
Tra i palestinesi stanchi, sfiduciati e demoralizzati si va diffondendo il rancore, il livore verso Israele che ha raggiunto il massimo storico. «Oggi in Terra Santa - ha detto il patriarca Pierbattista Pizzaballa - tutto parla di divisioni, di solitudini, di odio, di rancore, di vendetta; quando sembriamo vicini ad una conclusione si deve ricominciare daccapo. Sembra che il diavolo voglia fermare ogni iniziativa di bene, ma il bene si compie ugualmente. Il bene, l’amore e il desiderio di costruire relazioni si realizzano sempre nei piccoli contesti, poco alla volta, con fatica. Non dobbiamo attendere l’esito da quello che facciamo, ma lavorare solo per amore».
E gli attentanti, dentro il territorio dello Stato ebraico, sono in aumento. L’ultimo, in ordine di tempo, si è verificato ad un posto di blocco sul ponte di Allenby, vicino a Gerico. La scorsa domenica, nel corso di controlli, un cittadino giordano è sceso dal camion che stava guidando e ha aperto il fuoco contro le forze di sicurezza del valico, uccidendo tre agenti di frontiera, per poi essere ammazzato. I militari israeliani, che hanno controllato il veicolo, hanno affermato che non trasportava esplosivi.
Il gruppo terroristico di Hamas, in una nota, ha dichiarato che l'attacco è una risposta naturale all'olocausto compiuto dal nemico sionista-nazista contro il popolo di Gaza e della Cisgiordania occupata, e ai suoi piani per la giudaizzazione della moschea di Al-Aqsa. Israele ha chiuso immediatamente il ponte di Allenby, al confine tra Palestina e Giordania e gli altri valichi di frontiera con il paese hashemita, i valichi di Rabin vicino a Eilat e quello del fiume Giordano vicino a Beit She'an, su richiesta delle autorità di sicurezza.
I colloqui per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio degli ostaggi sono ad un punto morto. Mentre Hamas e Israele sono fermi nelle loro posizioni, Biden, impegnato a predisporre la strategia degli Stati Uniti, intende proseguire nelle trattative, premendo per un accordo, anche se i suoi consiglieri ritengono che una nuova proposta, al momento, non porterebbe a nulla. Sicuramente non agevola i negoziati la recente uccisione degli ostaggi da parte dei terroristi di Hamas e la richiesta della liberazione di cento prigionieri palestinesi che stanno scontando l'ergastolo per l’uccisione di cittadini israeliani. Nemmeno la presa di posizione di Netanyahu della scorsa settimana che ha ribadito la richiesta di mantenere il pieno controllo militare israeliano lungo il corridoio di Filadelfia, al confine tra Egitto e Gaza, facilita un onesto confronto con la parte avversa. «Continueremo a lavorare il più rigorosamente possibile con gli altri mediatori perché non c'è alternativa al raggiungimento di un accordo per gli ostaggi e il cessate il fuoco. Ciò che è in gioco qui sono gli ostaggi che sono ancora vivi nei tunnel di Gaza e le vite di civili innocenti a Gaza», ha detto il capo della Cia, William Burns.
Proseguono nel frattempo le incursioni fuori confine dell’aviazione israeliana. È di 25 morti, tra cui 5 civili, il bilancio di una serie di raid aerei israeliani condotti nella notte tra domenica e lunedì nella Siria centrale. Ad annunciarlo è stato il ministero degli Esteri iraniano che ha accusato Israele per l'attacco “criminale”. «L'Iran condanna con la massima fermezza l'attacco criminale israeliano in Siria», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Nasser Kanani, in riferimento ai bombardamenti nella città di Masyaf.