Ramadan in parrocchia e delazione dei razzisti: benvenuti nel "Reggistan"
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Polemiche a Reggio Emilia per l'apertura di uno sportello antirazzismo che raccoglierà le segnalazioni di discriminazioni. Dietro c'è l'assessore Pd Marwa Mahmoud, che minaccia di querelare chi critica il suo islamo-femminismo. E che fa propaganda persino in parrocchia dove si celebra il Ramadan.

Il Pd ha così tanta nostalgia del fascismo che l’Ovra se la costruisce in casa: si chiama sportello antirazzista ed è la nuova iniziativa del Comune di Reggio Emilia per segnalare i casi di discriminazioni basate su nazionalità, origine, provenienza, religione e appartenenza culturale. Farà a capo al Comune e sarà gestito da due realtà del terzo settore vicine alla sinistra, una cooperativa sociale chiamata Dimora D’Abramo che campa di commesse pubbliche con i richiedenti asilo e l’associazione interculturale Mondinsieme, anch’essa foraggiata dal Comune.
Accanto a questo sportello, dal discutibile sentore antidemocratico perché si basa sostanzialmente sulla delazione di cittadini e lobby, le quali non si sa su quali presupposti accusano il prossimo di razzismo, il Comune ha pure creato un Osservatorio permanente sul razzismo che costituirà una sorta di banca dati sui razzisti reggiani.
Ma chi deciderà che cosa è razzismo? E come si interverrà dato che nelle sue intenzioni il Comune ha persino previsto una consulenza legale per le presunte vittime? Per certe accuse non c’è la Procura? L’iniziativa sembra una sorta di polizia politica per schedare le idee, tanto che il giornalista Pierluigi Ghiggini, direttore di Reggioreport, non ha mancato di far notare che l’iniziativa «è viziata da una radice antidemocratica e potenzialmente lesiva dei diritti dei cittadini che potrebbe slittare verso una deriva estremistica». E non poteva passare inosservata e non ricevere le critiche dell’opposizione. Così l’avvocato Giovanni Tarquini, capogruppo in Consiglio comunale della Lista Civica per Reggio e presidente dell’associazione Reggio Civica: «Iniziativa faziosa e propagandistica di un partito ormai alla deriva e alla ricerca di un appiglio immigratorio per recuperare quei numeri che non ha più». Ma ma anche della stampa libera che ha subito sentito puzza di bruciato.
Complice il fatto che dietro questa operazione c’è l’assessore, donna e islamica, cittadinanza italiana, ma di origini egiziane, Marwa Mahmoud, portata in palmo di mano da Elly Schlein che l’ha voluta nella segreteria nazionale del partito come responsabile “Partecipazione e formazione”, la quale deve avere il razzismo come chiodo fisso: porta il velo e a chi la critica per questo risponde dando dell’islamofobo. Ed è dichiaratamente femminista, tanto che per sostenere il lancio del progetto sullo sportello antirazzista, domenica ha partecipato alla presentazione del libro L’Italia è un paese razzista, scritto dalla militante, di sinistra ovviamente, Anna Curcio, che affronta il tema del razzismo da una posizione strutturale. Della serie: non è che ci sono i razzisti, è proprio il Paese che è strutturalmente costruito per esserlo.
Inaccettabile e decisamente troppo, anche per la “progredita” e progressista Reggio Emilia. E così che il giornalista e direttore di 24emilia Nicola Fangareggi ha vergato un editoriale molto critico contro l’attivismo della Mahmoud dal titolo Quindi i razzisti saremmo noi: «Notevole contributo al tema proviene dall’assessora islamista-femminista Marwa Mahmoud, di origini egiziane, una signora che indossa regolarmente un copricapo in segno dell’appartenenza religiosa, ma che sostiene apertamente, senza avvertirne il minimo segnale di contraddittorietà, tesi legate al femminismo estremo e, ovviamente, una lotta continua verso il patriarcato che a suo avviso è ancora assai diffuso in Italia, che è a suo avviso un “paese razzista”».
Così è partita una indignazione in stile Ventotene di tutto il Pd locale, sindaco Marco Massari e giunta compresi che hanno difeso a spada tratta l’assessore dai «volgari attacchi di stampo qualunquista, confusamente e grevemente intolleranti», assegnando così a Fangareggi, giornalista di lungo corso e direttore di giornali, ma in passato anche assessore socialista di giunte targate Pds, la prima segnalazione per razzismo del nuovo ufficio in stile Ovra democratica.
La replica di Fangareggi non si è fatta attendere: «La signora Mahmoud sostiene che gli italiani e i reggiani siano razzisti, sino al punto paradossale di aprire (sempre con soldi pubblici) uno sportello che raccolga denunce, perfino - rendiamocene conto - espressioni linguistiche sgradite al demenziale registro degli asterischi e delle schwə. Al contrario, io credo che la rieducata dovrebbe essere lei. Che dovrebbe essere grata di essere stata accolta in un paese democratico che le ha consentito di crescere, di studiare e perfino di ottenere ben remunerati incarichi pubblici».
Parole che non sono pronunciate da un leghista, ma che provengono da chi a Sinistra ci è sempre stato più o meno comodamente. Forse è per questo che il sindaco è sbottato, perché la dissidenza da queste parti si paga sempre caro. Infatti, l’assessore, forte della solidarietà della giunta di cui fa parte, ha persino annunciato di voler ricorrere alle vie legali contro il giornalista, dimostrando quanto sia pericoloso confondere l’attacco politico con le accuse personali. E di personale in questo caso non c’è proprio nulla.
Ma alla Mahmoud evidentemente si stanno aprendo le porte. Il suo attivismo, infatti, è capace di sconfinare anche in luoghi, che non dovrebbero essere di sua pertinenza.
Proprio venerdì, l’assessore ha partecipato all’interruzione del digiuno del Ramadan, chiamato Iftar, nientemeno che in un salone parrocchiale.
A Roncadella, frazione alle porte di Reggio, il parroco ha dato il benvenuto alla comunità tunisina e, in spregio alle leggi canoniche che vietano di prestare locali ad altre religioni, ha concesso volentieri salone e cucina per il pasto rituale degli islamici, in una confusione sconcertante tra la Quaresima cristiana e il ritualismo musulmano che mischia le solite belle parole della paccottiglia del conoscersi e della condivisione.
Presente pure il console tunisino a Bologna, segno che queste iniziative non hanno nulla a che fare con una supposta socialità, ma sono funzionali alla penetrazione dell'Islam politico, che vive un tutt'uno la religione con la vita civile. Questo i gonzi della parrocchia non lo sanno, ma lo sa sicuramente l'assessore col turbante. Che infatti era presentissima alla cena rituale.
Attovagliata, assieme al direttore di Mondinsieme, c’era infatti anche lei, Marwa Mahmoud, che in favore di telecamera ha dichiarato le meraviglie di queste conquiste interculturali.
Quello del Ramadan in parrocchia non è una novità reggiana, puntualmente arrivano segnalazioni su iniziative sparse per l’Italia (l’ultima nell’Oratorio di Romano di Lombardia), ma è la prima dove la parrocchia viene occupata non solo per il pasto serale islamico, ma anche per la propaganda islamista sostenuta dal Comune.
E già che ci siamo pure femminista, perché l’islamo-femminismo si radica anche così, anche se forse l’assessora non ha fatto visita alle cucine della parrocchia. Lì, uno stuolo di donne ha preparato per i maschi i piatti della cena rituale (nelle foto dal frame di Telereggio/Reggionline).
Che ovviamente nessuno si è ben guardato dallo stigmatizzare utilizzando lo stereotipo della donna che, poveretta, sta sempre dietro ai fornelli, perché quello è uno stereotipo di altre culture, quella occidentale e cristiana, ad esempio. Ma si vede che per l’Islam si chiude un occhio volentieri.