Rajoy vince, ma non ha la maggioranza
Elezioni in Spagna. Contrariamente a tutti i sondaggi e agli exit polls, vince il Partito Popolare di Mariano Rajoy mentre Podemos (sinistra massimalista) non riesce a superare i Socialisti e rimane terza forza politica del paese. Ma la maggioranza non la raggiunge nessuno. E quindi continua, a sei mesi dalle ultime elezioni, lo stallo politico. Rajoy pronto a guidare un governo in condizioni difficili
Risultati a sorpresa nelle elezioni parlamentari spagnole: gli exit polls, anche questa volta, hanno sbagliato tutto.
A vincere è stato il Partito Popolare di Mariano Rajoy, che aumenta la sua pattuglia parlamentare di 13 deputati, raggiungendo quota 136 seggi. E’ più forte rispetto alle scorse elezioni e consegue un successo maggiore rispetto a quel che gli attribuivano i sondaggi (exit polls inclusi), ma non ottiene comunque la maggioranza assoluta, che è di 176 seggi. L’altro risultato sorprendente, che spiazza tutte le previsioni, è il mancato sorpasso di Unidos Podemos (Podemos più i comunisti di Izquierda Unida) sul Partito Socialista (Psoe). Tutti se lo aspettavano, ma il giovane partito di sinistra massimalista, guidato da Pablo Iglesias, ha preso appena 2 seggi in più rispetto alle elezioni del dicembre 2015, aggiudicandosene 71. Mentre il Psoe resta il secondo partito di Spagna, con 86 seggi.
Queste elezioni, dunque, confermano uno stallo politico. Il Partito Popolare è l’unico vincitore di questa tornata elettorale, ma non abbastanza da formare un suo governo. Si dovrà scendere a patti per formare alleanze, ma non è facile. Vediamo perché. La coalizione che è più capace di garantire un esecutivo stabile sarebbe una “grande coalizione”, sul modello di quella tedesca: Popolari e Socialisti. Il problema è che il Psoe non ha alcuna intenzione di accettare un posto in un esecutivo guidato da Mariano Rajoy. Lo ha dichiarato a più riprese il leader socialista Pedro Sanchez. Una seconda possibilità, meno stabile, è quella di un governo di minoranza. Il Partito Popolare potrebbe allearsi con Ciudadanos, che, con i suoi 32 deputati (8 in meno rispetto alle scorse elezioni) si conferma come il quarto partito di Spagna. Il programma economico di Ciudadanos, riformatore liberale, è compatibile con quello di Rajoy. Ma il problema principale è personale: anche Albert Rivera, il leader del nuovo partito, non ha alcuna intenzione di partecipare a un esecutivo guidato da Rajoy, accusandolo di essere al centro dei recenti scandali di corruzione e di cattiva gestione della crisi economica. A questo punto, Rajoy potrebbe farsi da parte e cedere lo scettro a un altro premier. Ma questa ipotesi è considerata poco probabile dalla stampa spagnola, che sottolinea il “rapporto d’amore” fra il leader popolare e il potere. La terza ipotesi potrebbe essere, allora, quella di un governo monocolore di minoranza. Ancor più fragile ed esposto ai voti di sfiducia rispetto a una coalizione (sempre minoritaria) Pp-Ciudadanos.
A sinistra, lo scenario è ancora più incerto. Se Iglesias avesse effettuato il sorpasso su Sanchez, a quel punto avrebbe potuto trattare per un governo di coalizione da una posizione di forza. Adesso, invece, dovrebbe sottostare ai diktat dei socialisti. E per di più si tratterebbe di una coalizione fra due partiti perdenti. La somma dei loro seggi fa 157 seggi, insufficienti a raggiungere la maggioranza assoluta. Per formare una coalizione che isoli del tutto il Pp, relegandolo all’opposizione, occorrerebbe un’alleanza innaturale fra i liberali di Ciudadanos, i socialisti del Psoe e i massimalisti di sinistra di Podemos: fantapolitica allo stato puro (anche se la Spagna non finisce mai di sorprenderci).
L’unico esito prevedibile di queste elezioni parlamentari, dunque, è un governo popolare di Mariano Rajoy, o di un leader popolare da lui scelto. Si tratterebbe, in ogni caso, di un governo molto fragile, dipendente dal voto ricattatorio dei socialisti. I popolari avrebbero grandi difficoltà a promuovere nuove riforme economiche, soprattutto se riguardano tagli alla spesa pubblica, il mercato del lavoro o le liberalizzazioni, misure necessarie per far uscire il paese dalla crisi. Le opposizioni socialiste e di Podemos, poi, metterebbero i bastoni fra le ruote ad ogni legge riguardante la vita e la famiglia, temi fondamentali per il cattolico Partito Popolare.
I sondaggi pre-elettorali e gli exit polls dimostrano come la sinistra più massimalista fosse determinata a prendere il controllo del paese, mentre gli elettori di centrodestra sono rimasti in silenzio. Per poi determinare l’esito con il loro voto segreto nelle urne. Anche in Spagna, dunque, ha vinto quella maggioranza silenziosa che gli inglesi chiamano “shy tory” (il conservatore timido), che ha vinto il referendum sulla Brexit contro tutte le previsioni. Questa maggioranza relativa di spagnoli ha confermato la sua fiducia a Rajoy, fautore di riforme economiche dolorose ma necessarie, che stanno lentamente producendo i loro risultati. Hanno votato per uscire, almeno in parte, dallo stallo degli ultimi sei mesi, che ha già provocato ampi danni sia politici che economici. Ma senza conferire una maggioranza assoluta, di governo, al vincitore. Come se gli avessero bisbigliato “Adelante, con juicio” (vai avanti, ma con prudenza).