Rai, una riforma modello BBC
Il servizio pubblico è un nodo cruciale per la democrazia dell'informazione. In Italia la qualità della tv pubblica è scarsa, eppure, diversamente da come accade in Inghilterra per la BBC, la soddisfazione dell'utenza non è percepita come decisiva per la gestione della Rai.
Quando si parla di libertà d’informazione e di concentrazioni nel settore mediatico, inevitabili sono i riferimenti al duopolio Rai-Mediaset che, secondo i più, limiterebbe la libera concorrenza tra gli operatori, soprattutto sul mercato della pubblicità. Fermo restando che la crescente tecnologizzazione delle trasmissioni e l’avvento prepotente della Rete stanno mettendo profondamente in discussione quello schema duopolistico e stanno lasciando emergere posizioni dominanti ben più perniciose, possiamo asserire che il futuro del servizio pubblico televisivo resta un nodo cruciale per la democrazia dell’informazione e chiama in causa il concetto stesso di informazione come bene pubblico essenziale per l’esercizio dei diritti di cittadinanza. Un cittadino consapevole dei suoi diritti e doveri e correttamente informato dai media è in grado di declinare in modo più maturo il suo status di cittadino.
Ogni volta che si parla di riforma della Rai, il dibattito tra gli addetti ai lavori e nell’opinione pubblica scivola lungo la china della “depoliticizzazione” o “departitizzazione” della governance Rai, intesa come necessaria emancipazione della tv pubblica dalle logiche spartitorie che da decenni la dominano. La Rai riceve gli indirizzi dalla Commissione parlamentare bicamerale di vigilanza, che, al pari del consiglio d’amministrazione e del direttore generale, è espressione degli schieramenti politici. Il Ministero del Tesoro è azionista Rai al 99% e quindi risulta alquanto illusorio, stante l’attuale modello di governance, immaginare un arretramento dei condizionamenti partitici sulla tv pubblica.
Il neo presidente della Commissione, il grillino Fico, nelle classiche interviste di insediamento, ha auspicato un maggiore impegno nella lotta all’evasione del canone e ha assicurato impegno nella vigilanza sulla correttezza gestionale e di programmazione Rai. Ma si è trattato di dichiarazioni generiche di qualcuno che non conosce l’ambiente Rai e probabilmente rischia di rimanerne travolto. Gli esempi d’oltreconfine evidenziano l’inadeguatezza del servizio pubblico televisivo italiano, impoverito dai cospicui tagli di bilancio, che hanno sottratto ingenti risorse agli investimenti su prodotto e contenuti.
Il modello di riferimento per una riforma del servizio pubblico radiotelevisivo resta la Bbc, la più grande azienda radiotelevisiva del mondo. La politica non interferisce in alcun modo con le scelte di governance della tv pubblica inglese, che ha organi decisionali non di nomina governativa. Nel Bbc trust, che vigila sull’imparzialità delle trasmissioni, entrano 12 membri nominati dalla Regina, che però può farsi consigliare dal Parlamento. La tv pubblica non ospita spot e si alimenta quasi esclusivamente con il canone. Sul versante dei costi, perché non prendere esempio dall’Inghilterra? Il governo londinese ha minacciato la Bbc di tagliare i fondi ad essa destinati, se non verranno ridotti i compensi alle star (conduttori, show-girl, ecc.) che vi lavorano. Nel “guinness” delle retribuzioni, si registrano compensi record e assolutamente fuori mercato. In Italia c’è una situazione analoga. Perchè allora non ripartire da qui? Timidi segnali ci sono stati, ma occorre forse fare di più.
La qualità della nostra tv pubblica è scarsa. Lo pensa la maggioranza dei cittadini (tutti i sondaggi dicono questo, anche l’ultimo Rapporto Censis sull’informazione). Sul modello di altre nazioni, il servizio pubblico radiotelevisivo (public service broadcasting) dev’essere sempre più orientato alla soddisfazione dell’utenza (customer orientation). Anche su questo versante, la direzione verso cui tendere è quella inglese. Ad ogni inizio di stagione radiotelevisiva, la Bbc redige il “Rapporto delle promesse agli utenti”, che contiene i programmi da trasmettere, gli standard editoriali adottati, le modalità di consultazione e di risposta agli utenti, i parametri di qualità. Tali parametri riguardano l’effettiva universalità del servizio (concetto di democrazia dell’informazione, rivolta a tutti e nell’interesse di tutti), il rispetto degli standard di qualità (equità, imparzialità, puntualità, esattezza e correttezza delle informazioni e dei contenuti trasmessi), l’uso efficiente delle risorse economiche derivanti dal canone, il miglioramento dell’accesso ai servizi radiotelevisivi per i soggetti deboli e per i portatori di handicap, l’effettivo funzionamento dei meccanismi di recepimento dei commenti, dei suggerimenti e delle valutazioni date dagli utenti.
In altre parole, in Inghilterra, la capacità dell’azienda di fornire risposte pronte ed esaurienti alle lamentele dell’utenza e la sua duttilità nel migliorare il servizio in funzione delle aspettative dell’opinione pubblica diventa la cartina al tornasole della qualità del servizio pubblico radiotelevisivo. In questo modo, peraltro, l’utente può diventare il primo controllore dell’operato di una tv che lui stesso concorre a finanziare. Sistemi analoghi di consultazione del gradimento dell’utenza funzionano anche in Irlanda e Norvegia. In Italia, i meccanismi di customer satisfaction non vengono percepiti come decisivi per la gestione Rai e questo genera disaffezione verso la tv pubblica. Bisogna prima rivedere questi meccanismi.
*Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano