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Rai, nasce il sindacato di destra ma il pluralismo è altro

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Il tentativo di smarcarsi dal sinistro monopolio dell’Usigrai non risolve il problema a monte: non spetta ai giornalisti assumere posizioni politiche.

Politica 25_11_2023
Foto: Sergio D’Afflitto - Wikipedia (Creative Commons)

Da troppo tempo nel nostro Paese, in particolare sul pianeta Rai, domina una concezione fuorviante del pluralismo informativo, declinato sotto forma di lottizzazione partitica. Dopo ogni elezione politica i vincitori si adoperano in maniera chirurgica per rimuovere le pedine sgradite e inserire i propri fedelissimi. È un rito che non salta mai un turno e si riproduce in maniera pedissequa ad ogni cambio di maggioranza. Nessuno si oppone, va bene a tutti, anche se alcune iniziative di facciata servono per confondere le acque. Vanno lette in questo modo le numerose proposte di legge presentate da leader politici di tutti gli schieramenti che a parole dicono di voler liberare la Rai dall’abbraccio mortale della politica, salvo poi continuare a beneficiare dell’attuale meccanismo clientelare e lottizzatorio per sistemare amici e parenti.

La Rai dovrebbe essere di tutti, non dei partiti politici. Gli stessi dipendenti camaleonticamente si riciclano ogni volta che cambia il vento perché gli scossoni indotti dalla politica incidono sulla governance ma anche sulla gestione ordinaria delle attività. Ma un servizio che si definisce pubblico è chiamato ad aprirsi a tutti i settori della società e a dare voce a tutte le realtà, senza il filtro delle ideologie e degli interessi della politica.

I dipendenti si radunano storicamente sotto le insegne dell’Usigrai, considerato la falange armata della sinistra più ideologica e militante. Non a caso c’è una crescente insofferenza nei confronti del monopolio sindacale di quella sigla. La Rai targata Meloni è ovviamente distante in modo netto dalle iniziative dell’Usigrai e infatti la prossima settimana verrà tenuto a battesimo un nuovo sindacato che si chiamerà Unirai e sarà vicino al centrodestra.

Sorge spontanea la domanda sull’opportunità di dar vita ad una guerra sindacale anche nella tv pubblica, che dovrebbe rappresentare tutti i cittadini. Le persone che non votano né a destra né a sinistra e che hanno visioni della società decisamente distanti da tutte le opzioni politiche come dovrebbero reagire visto che contribuiscono anch’esse con il canone alla sopravvivenza della Rai?

Senza ombra di dubbio, il 2023 verrà ricordato da tutta la Rai come un periodo di grandi cambiamenti. Nel momento in cui Viale Mazzini è sempre più concentrato sul progetto di trasformazione dell’azienda da un broadcast a una più moderna digital media company, progetto che procede molto lentamente, si sono inseriti tanti altri tasselli che hanno scombussolato le fondamenta di casa Rai. Dal problema degli ascolti al taglio del canone, passando per la definizione di un nuovo testo di contratto di servizio per il quinquennio 2023-2028.

Non sarebbe la prima volta che qualcuno cerca di creare un sindacato di destra contrapposto all’Usigrai. Negli anni Novanta fu attivo e parecchio contrastato il SingRai (Sindacato nuovo dei giornalisti Rai), animato da uno spirito culturale e politico vicino al centrodestra. La situazione di oggi è la medesima, con la differenza che l’Unirai può avvalersi dei vantaggi derivanti dallo spoils system meloniano.

Come c’era da aspettarsi, la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) ha preso subito posizione sull’argomento, dichiarando apertamente la sua contrarietà. Sarà solo gelosia e paura di perdere iscritti? Ufficialmente la Fnsi ritiene che «la creazione di una nuova rappresentanza finirebbe solo per eliminare il bene di un sindacato unitario, di un sindacato che sintetizzi le differenze di pensiero e di valutazione sui fatti».

Ma i promotori di Unirai pare stiano facendo molti proseliti (alcune centinaia di giornalisti della tv pubblica) e siano pronti al battesimo della nuova iniziativa fissato per giovedì 30 novembre. Online è già stata diffusa una locandina che pubblicizza i dettagli dell’evento, che si terrà a Roma, all’auditorium “Due Pini”, nei pressi di Piazza Giuochi Delfici. È stato anche aperto un gruppo su WhatsApp, che conta già quasi 300 membri, pare anche membri dell’Usigrai e giornalisti di testate schierate a sinistra, tra cui direttori e vice-direttori.

Ancora silenzio e anonimato per quanto riguarda i leader dell’Unirai, ma le figure che hanno espresso interesse verso la nuova associazione sono molteplici: si va da Giampaolo Rossi, direttore generale della Rai, che studia da mesi per sé un futuro da amministratore delegato, passando per Paolo Corsini, direttore dell’approfondimento Rai, Nicola Rao, direttore del Tg2 e la neo vice-direttore del Tg1 Incoronata Boccia. Oggi i giornalisti Rai considerati vicini alla destra guidano una corrente minoritaria, Pluralismo e Libertà.

Unirai può essere quindi inteso come un primo tassello per la costruzione di una maggiore indipendenza della destra nella rappresentanza dei giornalisti Rai. Nel futuro si progetta di farla diventare una costola distaccata, col compito di contrastare Usigrai e imprimere una svolta nel mondo sindacale. Ma la Fnsi non sembra intenzionata ad autorizzare il nuovo sindacato, che ha comunque bisogno del suo imprimatur per strutturarsi.

Rimane da fare una considerazione amara. Contrapporre sindacato a sindacato significa prendere atto che esiste una naturale propensione degli stessi giornalisti a indossare l’elmetto e ad assumere posizioni politiche. Nulla di più distante dallo statuto della professione giornalistica, fondato sull’autonomia del giornalista, e dalle leggi istitutive della Rai, che stabiliscono l’indipendenza della tv pubblica. Il centrodestra farebbe più bella figura a tentare di cambiare davvero il sistema (avrebbe i numeri in Parlamento per farlo) anziché comportarsi esattamente come tutti gli altri, vale a dire occupando e gestendo la Rai come un luogo di straordinario potere mediatico.
 



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