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RUSSIA

Ragioni politiche dietro la nuova moschea di Mosca

La più grande moschea d'Europa è stata inaugurata a Mosca. Perché proprio nella capitale della Russia, patria del cristianesimo ortodosso? Perché l'islam è la seconda religione del paese ed è in continua espansione. E perché il Cremlino vuole mantenere buoni rapporti con gli Stati islamici, finché non danno fastidio. 

Libertà religiosa 25_09_2015
La nuova moschea di Mosca

La più grande moschea d’Europa è stata inaugurata il 23 settembre a Mosca. Può sembrare strano che sia a Mosca, la capitale di un paese che è associato solo alla religione ortodossa russa, per di più governato da un presidente che non ha affatto posizioni tenere con l’islam politico. Ma, come sempre, la realtà è un po’ più complessa di quel che appare.

Prima di tutto, un po’ di dati. Non è la prima, bensì l’ottava moschea nella capitale russa. Ce ne sono altre sette sunnite e una sciita, per una popolazione musulmana che conta 1,5 milioni (secondo alcune stime, fino a 2 milioni) di moscoviti, su un totale di 12,5 milioni di abitanti. Mosca, molto più che Londra, Parigi, Oslo e Bruxelles, è la capitale con la più vasta presenza musulmana in tutta Europa. Il nuovo edificio di culto, occupa 19mila metri quadrati e può ospitare fino a 10mila fedeli. L'edificio è alto come un palazzo di sei piani ed è costruito con granito bianco e verde proveniente dal Canada e marmo dalla Turchia. La cupola dorata ha un diametro di 46 metri ed è più alta della cupola di San Pietro. Il costo della costruzione è di 170 milioni di dollari, tutti frutto di donazioni.

In tutta la Federazione Russa sono presenti 14,5 milioni di cittadini musulmani (censimento del 2005), dunque il 15% del totale. Se a questi si aggiungono gli immigrati dai Paesi dell’Asia Centrale, si arriva ad una popolazione islamica di 20 milioni di abitanti (secondo le stime della Chiesa ortodossa). Le etnie tradizionalmente musulmane sono concentrate soprattutto nel Caucaso settentrionale (circassi, balcari, ceceni, ingusci, kabardini, karachay e daghestani) e lungo il Volga (tatari e bashkiri). A questa popolazione va aggiunta anche la massa di immigrati provenienti soprattutto dalle nazioni più povere dell’Asia Centrale, su cui non esistono statistiche dettagliate, aggiornate e affidabili, ma che è misurabile nell’ordine dei milioni: Uzbekistan (3 milioni di emigranti, soprattutto in Russia, stimati nel periodo 2004-2008), Kirghizistan (800mila nello stesso periodo) e Tajikistan (1,5 milioni). Come avviene in tutta Europa, la popolazione musulmana ha i più alti tassi di fertilità nel paese, dunque peserà in modo sempre maggiore nella società russa dell’immediato futuro. L’islam è già una delle quattro religioni riconosciute dallo Stato e insegnata nelle scuole della Federazione, assieme al cristianesimo ortodosso, al buddismo e all’ebraismo.

La costruzione della moschea di Mosca è dunque un atto politico volto a far fronte a questa prospettiva: una Russia sempre più musulmana. E non esente dalla penetrazione ideologica dell’islam radicale, che fa proseliti dai tempi della prima Guerra Cecena (1993-1996), ma soprattutto in questi ultimi anni, da quando è nato lo Stato Islamico. Presiedendo la cerimonia di inaugurazione della grande moschea di Mosca, Putin ha lanciato una dura invettiva contro gli islamici radicali dell’Isis, che “compromettono la religione mondiale dell'islam” e fondano la loro dottrina “sulle sole menzogne”. Al fianco del presidente russo c’erano, oltre al Gran Muftì della Russia, anche due figure di spicco del mondo politico musulmano. C’era il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, la cui politica nei confronti dell’Isis è quantomeno ambigua. E c’era anche il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, quasi un contraltare alla recente e pubblicizzatissima visita di Benjamin Netanyahu a Mosca.

Abu Mazen, Erdogan e Putin

Il rapporto fra la Russia e l’islam politico si è sempre fondato su questo tipo di equilibrio: amici finché non si creano problemi militari. L’esempio più lampante è quello ceceno: dopo ben due guerre contro un’insurrezione che è sia indipendentista che islamica, la regione è ora presieduta da Ramzan Kadyrov, egli stesso un islamico radicale, promotore della più grande manifestazione al mondo contro le vignette su Maometto e sostenitore della legge coranica nella sua terra, ma alleato personale di Putin. Con il vicino Iran, uno Stato islamico, la Russia ha sempre mantenuto ottimi rapporti ed è il maggior sponsor del suo programma nucleare. Anche in questo caso: la natura ideologica del regime di Teheran importa meno, a Mosca, della sua importanza strategica nel Golfo, quale contraltare agli alleati arabi degli Usa sulla sponda opposta. Può sembrare assurdo, in tempi di riavvicinamento fra Gerusalemme e Mosca, ma soprattutto la Duma russa ha ospitato più volte esponenti di Hamas ed Hezbollah, organizzazioni sulle liste nere del terrorismo, non solo in Israele. Con la Turchia, il rapporto è più tormentato. Ankara, infatti, è il maggiore sponsor dell'Azerbaigian, che è potenzialmente il maggior rivale della Russia nel Caucaso, quello militarmente più potente ed economicamente più ricco. La Turchia è anche membro della Nato e la sua stessa posizione geografica sbarrerebbe la porta del Mar Nero alla flotta russa. L'azione russa a favore di Assad parrebbe dividere ulteriormente il Cremlino dal governo islamico. Eppure, i rapporti fra Putin ed Erdogan non sono mai stati così cordiali come in questo ultimo anno, segnati da incontri e accordi energetici. Nonostante tutte le difficoltà, dunque, Mosca mira a consolidare il rapporto con il suo potente vicino meridionale, se non altro per essere tranquilla su quel fronte.

Difficile prevedere come proseguirà il rapporto fra Russia e islam politico nel futuro. Negli anni a cavallo dei ’90 e 2000, fra le due guerre cecene, la tendenza pareva inevitabilmente destinata ad arrivare al conflitto fra ortodossi e islamici. Non mancano elementi per dire che questa tendenza continui: non solo sono sempre di più i cittadini russi che si arruolano nell’Isis, ma non si è mai neppure del tutto placata la guerriglia nel Caucaso settentrionale. E, dall’altra parte, la xenofobia delle estreme destre russe si rivolge soprattutto contro immigrati centro-asiatici di religione musulmana. In questo contesto, la moschea di Mosca e la sua solenne inaugurazione paiono come un modo per ritardare un conflitto destinato a scoppiare, nel lungo periodo. La tendenza opposta è invece quella di una sinergia fra le religioni “orientali”. L’ideologo contemporaneo dell’eurasismo, Aleksandr Dugin, lo va predicando da un ventennio: “Le confessioni euroasiatiche (islam, buddismo, cristianesimo ortodosso, taoismo, induismo, confucianesimo, ndr), varie dal punto di vista dogmatico ed irriducibili ad uno schema comune, possiedono un insieme di tratti che le avvicinano – scriveva nel suo  Manifesto del Movimento Eurasista (2001) – Ciò riguarda non tanto il lato dogmatico, quanto il tipo psicologico della religiosità orientale, più contemplativo che attivo, più paradossale che razionalistico, più legato all’aspetto eterno delle cose che ai processi storici”. Il problema, però, è che questa concezione apparentemente armoniosa delle religioni orientali, porta alla contrapposizione con il cristianesimo occidentale. Scrive sempre Dugin: “Alla degenerazione dell’elemento religioso in Occidente, al livello del materialismo ateo pratico, culti artificiali e stravaganti e modelli razzisti di fondamentalismo cattolico-protestante fondate sull’odio aperto verso le religioni euroasiatiche, l’Eurasia deve opporre una nuova forma di tradizionalismo, un universale e solidale ritorno alle radici religiose”. E’ una visione messianica del ruolo della Russia nel mondo, sempre esistita dai tempi dello Zar, che potrebbe avere risvolti pericolosi. Non a caso, nella concezione geopolitica degli eurasiatisti, la Russia dovrebbe allearsi con la Turchia (ed Erdogan era ospite a Mosca), non per entrare assieme in Europa, ma in funzione anti-europea.