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UN CONTRAPPUNTO

Ragione e tradizione, quel che Fernandez ignora sulla Rivelazione

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Ancora sull'intervista di Fernandez a Spadaro. Secondo il prefetto della DDF chi determina la corretta interpretazione della Rivelazione lo fa sulla base di una forma mentis soggettiva e per smania di potere. Ma in realtà Ragione, Scrittura, Tradizione e Magistero pontificio - solo quando è infallibile - sono in grado di comunicare l'autentico significato della Parola. 

Ecclesia 19_09_2023

Tra i molti argomenti affrontati dal nuovo prefetto del Dicastero per la Dottrina della fede, Víctor Fernández, nell'intervista concessa al direttore uscente de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro di cui ci siamo occupati QUI, c'è anche una domanda sul rapporto tra fede e ragione. 

Riportiamo quasi per intero la risposta di Mons. Fernández: «Attenzione, perché talvolta si colloca al centro della Chiesa “una” certa ragione, una serie di princìpi che reggono tutto, anche se si tratta in definitiva di una forma mentis, più filosofica che teologica, alla quale tutto il resto deve sottomettersi, e che alla fine prende il posto della Rivelazione! Pertanto, coloro che determinano la corretta interpretazione della Rivelazione e della verità sarebbero coloro che possiedono questa forma mentis, questo modo di ragionare, questa unica struttura possibile di princìpi razionali. Soltanto loro sarebbero “seri”, “intelligenti”, “fedeli”. Ciò spiega il potere che si arrogano alcuni ecclesiastici, arrivando a stabilire ciò che il Papa può o non può dire, e presentandosi come garanti della legittimità e dell’unità della fede. In fondo, la forma mentis di cui essi si considerano guardiani assoluti è una fonte di potere che si vuole salvaguardare contro tutto. Non è la ragione, è il potere».

 

In breve il neo prefetto punta il dito contro gli indiedristi, quelli che sono tutto dottrina zero carità, i dogmatici rigidi. Tutte figure, chissà perché, escluse a priori dal dialogo, dal camminare insieme, dal confronto arricchente e scartate perché assetate da potere, uno dei tanti mali del clericalismo che colpisce pure i laici.

Ma al netto di queste pennellate di carattere sociologico, la critica di fondo di Fernandéz è quella di un soggettivismo di alcune censure che colpiscono l’attuale magistero, censure che quindi sarebbero di parte. Esiste invece la possibilità di verificare oggettivamente se una certa affermazione o decisione, anche di alti prelati, sia corretta o meno? Sì. Infatti esistono in definitiva due paradigmi veritativi per distinguere, in una certa disputa dentro la Chiesa, chi è in errore da chi ha ragione (e con tale giudizio confermiamo la nostra appartenenza tra gli indietristi). Il primo paradigma è la ragione, facoltà che entra in gioco, in primis, nel campo della morale naturale. La ragione è uno strumento che, per sua natura, funziona in tutti allo stesso modo. Sta qui la verificabilità universale di qualsiasi affermazione. Questo è il metro che chiunque può usare per misurare ogni giudizio.

Sospettiamo che dietro la critica del neo Prefetto riguardo ad una certa forma mentis presente nei dibattiti intra Ecclesiam si celi il rifiuto di usare la ragione in quanto tale, dal momento che questa potenza dell’anima agisce in modo rigoroso perché logico. Tale approccio molto razionale apparirebbe freddo, distaccato, troppo preciso e dunque selettivo per evitare di escludere condotte morali che invece oggi si vogliono far entrare dal portone principale della Chiesa, modificando così non tanto la dottrina scritta, ma la dottrina vissuta. La critica ad una certa forma mentis appare quindi una critica alla ragione di per sé, perché riottosa nell’adottare criteri di giudizi evanescenti ed ambigui come “discernimento”, “prossimità”, “spirito del Vangelo”, “avviare processi”, “camminare insieme”, parole o espressioni talismano che sono un passepartout per aprire anche quelle porte che la Chiesa ha sempre voluto tenere ben chiuse, proprio perché al di là di quelle porte avremmo trovato mostri nemici della ragione.

Il secondo paradigma deve essere usato nel campo della fede ed è rappresentato dalla Scrittura e dalla Tradizione. Vi sono materie che la ragione può comprendere, seppur non perfettamente, solo grazie alla Rivelazione illuminata dalla luce della fede, quindi solo se le viene in aiuto la Parola di Dio e la grazia di Dio che comunica l’autentico significato di quella Parola, grazia che quindi le permette di conoscere verità che non potrebbe mai conoscere solo ricorrendo alle sue forze naturali.

Va da sé che la ragione può errare e che l’interpretazione della Scrittura e della Tradizione può essere anch’essa ingannevole. Ecco perché Cristo ha promesso l’infallibilità, a certe condizioni e su certe materie, al Papa. Ecco perché c’è il Magistero infallibile che guida noi credenti con certezza. Dunque il vero paradigma, perché oggettivo e non soggettivo, con cui Mons. Fernandez e i suoi interlocutori si devono confrontare sono i responsi di ragione e di fede contenuti nel Magistero infallibile. Ed è proprio facendo appello al tale Magistero – e dunque alla recta ratio e alla vera fede cattolica – che molti criticano affermazioni e decisioni di uomini di Chiesa.

In breve, si confrontano queste affermazioni e decisioni con il paradigma ufficiale della Chiesa, ossia con pronunciamenti dogmatici, e si determina chi ha ragione e chi ha torto. Ma per il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ne siamo persuasi, questo è sicuramente un sistema troppo rigido ed arrogante da usarsi.