Ragazze rapite, coincidenze e fatti che non tornano
Cosa ci facevano in Siria Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, come sono arrivate ad Aleppo e dove si trovavano quando sono state rapite dai ribelli anti Assad? A porre queste nuove domande al nostro governo è Siryapax, l'organizzazione che ha lo scopo di informare su quanto sta succedendo in Siria.
Vediamo la foto, circolante sul web, di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli sorridenti con in mano un drappo scritto in arabo e inneggiante al jihad (chissà se sapevano cosa stavano reggendo). Il 9 agosto Il Giornale raccontava del capo della loro associazione umanitaria, un italiano, e delle sue posizioni ardentemente anti-israeliane. E il 10 agosto Syriapax, il Coordinamento nazionale per la pace in Siria, ha chiesto esplicitamente al nostro ministro degli Esteri di rispondere ad alcune domande sull’intera vicenda.
Il Syriapax ha come presidente il giornalista siriano Naman Tarcha. Questi, intervistato da Benedetta Frigerio del settimanale Tempi il 23 luglio, ha spiegato che il Coordinamento si incarica, tra l’altro, di «informare correttamente le persone su quanto sta davvero succedendo nel Paese, attraverso l’istituzione di un osservatorio che rintracci e verifichi tutte le notizie». Infatti, il problema delle guerre (ma anche dei rapimenti), oggi, è il bombardamento mediatico con la disinformazione che ne segue. Nelle democrazie l’opinione pubblica può costringere i rispettivi governi a prendere posizione a favore dell’una o dell’altra fazione specialmente quando si tratta di conflitti lontani. E le democrazie sono tutte occidentali.
Prosegue Tarcha: «La gente, giustamente, è confusa da ciò che legge e si domanda come mai se quattro anni fa si parlava di rivolta popolare e di liberazione ora siamo arrivati al Califfato islamico». La guerra mediatica in Siria si svolge, per esempio, così: «l’attacco a una chiesa cattolica vicino a casa mia: l’edificio è stato colpito dalle bombole a gas dei terroristi, ma è stato “venduto” come un raid aereo del governo». Ed eccoci al tema dei cooperanti: «Ci sono tanti gruppi o associazioni nati per raccogliere gli aiuti umanitari sulla pelle dei siriani: tantissimi soldi versati alle grandi organizzazioni internazionali finiscono nelle mani dei terroristi. E non lo dico solo io, ma un giornale come l’Independent, non proprio filogovernativo». Ora, Syriapax vorrebbe che il ministro chiarisse all’opinione pubblica italiana alcune cose.
Le due ragazze rapite nel villaggio di Al Abzemo risulta che siano entrate in Siria dalla Turchia senza un regolare visto e attraverso un confine «presidiato da gruppi armati e bande criminali». Poi hanno raggiunto una zona tra le più pericolose e controllata da jihadisti «responsabili di numerose atrocità e crimini contro l’umanità». Per giunta, pare che fossero «protette» da uomini del Fronte islamico, «fazione radicale attiva nell’area». Da qui le domande di Syriapax: a) perché le due cooperanti erano con questa gente? b) come esattamente sono entrate in Siria e chi le ha accompagnate a destinazione? c) «è vero che la sede del loro progetto umanitario era l’abitazione del capo dei cosiddetti ribelli della zona dalla quale sono state prelevate?».
Il comunicato di Syriapax fa presente che c’è differenza tra cooperazione-volontariato e fiancheggiamento di fazioni belligeranti. Perciò, affinché l’eventuale riscatto delle due italiane non finisca per finanziare «i commercianti di guerra e i mercenari», chiede che «qualunque richiesta di riscatto che dovesse pervenire dalle bande criminali che tengono in ostaggio le due ragazze, sia rispedita al mittente. Quei soldi, com’è noto, non sarebbero destinati al bene del popolo siriano, ma alla sua sofferenza». Infine, Syriapax invita il ministero a servirsi, per la cooperazione, di «soggetti affidabili». Il comunicato è duro ed esplicito, ma è pur vero che due ventenni improvvisatesi cooperanti stanno creando problemi grossi come montagne, e sarà già tanto se a pagare sarà solo il contribuente e non qualche servitore dello Stato come Calipari.