Radicalizzazione in carcere, Bonafede non può ignorarla
Il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha aggiornato cifre e statistiche relative al fenomeno della radicalizzazione islamica nelle carceri italiane. Il problema, che è una minaccia alla sicurezza nazionale, non può più essere affrontato con le vecchie formule. Il sistema di "vigilanza dinamica" delle prigioni non è una soluzione.
Radicalizzazione in carcere. Il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha aggiornato cifre e statistiche relative al fenomeno durante un incontro del Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen. I detenuti a rischio jihadismo ammontano a 459, sottoposti ai vari livelli del regime di Alta Sicurezza. Di questi, 37 si trovano in prigione per reati riconducibili all’immigrazione clandestina e 196 per traffico di essere umani, confermando il nesso tra illegalità, insicurezza, estremismo e crisi migratoria, sulla scia di Anis Amri, il tunisino sbarcato in Sicilia e divenuto terrorista nelle sue varie esperienze carcerarie sull’isola, poi macchiatosi della strage natalizia di Berlino, una delle più gravi mai accadute in Europa.
Sul totale della popolazione carceraria di 60.865 detenuti, un terzo, ovvero 20.292, è composta da stranieri, di cui di 3.211 comunitari e i restanti provenienti principalmente da Marocco, Albania, Tunisia, Nigeria, Egitto, Algeria, Pakistan, Bosnia, Afghanistan, Kosovo: tutti i paesi notoriamente afflitti da fenomeni terroristici interni o da cui i gruppi jihadisti traggono militanti da schierare in Europa, Italia compresa. In particolare, il Ministro Bonafede ha manifestato grande preoccupazione per la crescita esponenziale della “mafia” nigeriana e per i suoi legami con organizzazioni terroristiche come Boko Haram.
Il Ministro Bonafede ha così promesso “un tavolo”, l’ennesimo, con i ministeri dell’Interno e degli Esteri “per accelerare le procedure di rimpatrio dei detenuti stranieri”. Dalle parole passerà ai fatti? Nell’audizione, tuttavia, il Ministro Bonafede non ha toccato uno dei nei più macroscopici del sistema penitenziario italiano: la “vigilanza dinamica” e il “regime penitenziario aperto”, che hanno portato alla riduzione del numero di sentinelle sui muri di cinta delle carceri e all’effettuazione solo sporadica e occasionale di controlli sui detenuti, malgrado siano autorizzati a passare fuori dalla cella tra le 8 e le 10 ore giornaliere. Come ripetutamente denunciato dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (SAPPE), tali “innovazioni” metodologiche, adottate appunto dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) del Ministero della Giustizia, hanno reso le prigioni italiane luoghi sempre più favorevoli alla radicalizzazione, con un incremento esponenziale degli “episodi critici”.
Il SAPPE ha fornito le seguenti cifre riguardanti il primo semestre del 2019: 5.205 atti di autolesionismo, 683 tentati suicidi, 4.389 colluttazioni, 569 ferimenti, 22 suicidi, 2 tentati omicidi, più diversi casi di evasione (5 da istituto, 23 da permessi premio, 6 da lavoro all’esterno, 10 da semilibertà, 18 da licenze concesse a internati). Tra gli “episodi critici” registrati, anche quelli causati da detenuti estremisti, con il ferimento di agenti, la distruzione di celle, atti d’intemperanza e tentativi di rivolte.
I casi riportati dalla cronaca giornalistica forniscono uno spaccato a dir poco allarmante della realtà dei penitenziari dove sono reclusi condannati per reati connessi all’estremismo e al terrorismo jihadista. Nel carcere di Pisa, un detenuto ha devastato la sua cella incendiandola e, dopo aver compiuto atti di autolesionismo, ha cercato di aizzare i compagni in nome dell’ISIS e del Califfato. Al Califfato inneggiavano durante una rissa alcuni detenuti del carcere di Padova, dove imam fai-da-te si sono spinti fino alla celebrazione di mujaheddin e talebani, gli stessi che hanno provocato l’esultanza di un gruppo di detenuti nella casa circondariale di Macomer, Sardegna, in occasione di un attacco terroristico in Afghanistan costata la vita a soldati italiani. A Macomer, detenuti hanno richiesto espressamente di essere curati da infermiere con il velo, mentre gli agenti di guardia sono stato bollati come “fascisti, razzisti o servi degli americani”, in linea con l’orientamento di Raphael Gendron, un convertito francese arrestato a Bari che è stato per anni l’imam fai-da-te della prigione prima di morire in Siria in seguito al suo rilascio.
In varie carceri italiane, i detenuti hanno protestato alla vista di guardie con la croce cristiana al collo e non hanno permesso agli agenti di toccare il Corano per controllare se tra le pagine ci fossero nascosti dei messaggi, istruzioni o oggetti potenzialmente pericolosi. Gli agenti non intendevano mancare di rispetto alla religione islamica, ma il loro obiettivo era di evitare quanto accaduto in Spagna, dov’è stata smantellata una rete jihadista estesa in ben 15 centri di detenzione. La rete era composta da 25 detenuti, alcuni dei quali radicalizzatisi in cella, che utilizzavano “pizzini” per comunicare.
Tra i casi di italiani convertiti e radicalizzati in carcere, un centinaio finora, il più eclatante è stato finora quello di Domenico Quaranta, passato nelle file del jihad nel penitenziario di Trapani e arrestato nuovamente per la preparazione di attacchi terroristici ad Agrigento e nella metropolitana di Milano. Quaranta si è poi affermato come imam fai-da-te all'Ucciardone di Palermo. Nella Casa Circondariale "Giovanni Bachiddu" di Bancali, provincia di Sassari, dove il marocchino Nabil Benamir, arrestato alla fine del 2017 con l’accusa di appartenere all’ISIS, è stata la guida di un paio di rivolte in nome del Califfato, la situazione di emergenza è giunta a un punto tale da indurre gli agenti aderenti al SAPPE a non partecipare per protesta alla Cerimonia celebrativa dell’Annuale del Corpo, svoltasi lo scorso 1° agosto.
Da anni, il SAPPE richiede la sospensione della “vigilanza dinamica” e del “regime penitenziario aperto”. Il Ministro Bonafede si dimostrerà più sensibile a questo richiamo rispetto ai suoi predecessori nonché a se stesso, poiché Guardasigilli anche nel primo governo Conte? Inoltre, il Ministro Bonafede intende finalmente affidare a esperti davvero moderati e indipendenti i programmi di prevenzione, deradicalizzazione e assistenza al personale della Polizia Penitenziaria? La scelta effettuata dal DAP di affidarsi a rappresentanti di organizzazioni con malcelati addentellati con il fondamentalismo dei Fratelli Musulmani, risulta a dir poco autolesionistica e paradossale. Ma neppure di ciò Bonafede ha fatto menzione davanti al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen.
La radicalizzazione in carcere e la gestione di detenuti estremisti o a rischio è una questione che investe pienamente la sicurezza nazionale e che richiede un nuovo approccio e ulteriori studi per superare le carenze sin qui manifestate, tenendo conto della grande complessità della problematica: de-radicalizzare un jihadista è infatti un'impresa quasi impossibile, così come integrare o re-integrare soggetti radicalizzati e fondamentalisti. L'obiettivo deve comunque essere quello di porre rimedio allo smantellamento delle politiche di sicurezza carceraria avvenuto nell’ultimo decennio, sebbene l'approccio del nuovo esecutivo sui temi della sicurezza non preluda a nulla di buono.