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L'EDITORIALE

Questa Ue è senza futuro Prendiamone atto e ricominciamo

La pessima gestione dell'emergenza profughi è solo l'ennesimo segnale di una Europa incapace di confrontarsi con la realtà. C'è bisogno di rinegoziare l'Unione partendo dalla propria identità culturale.

Editoriali 13_04_2011

La polemica reazione del ministro Maroni alla mancata solidarietà degli altri paesi dell’Unione Europea sull’emergenza profughi pare rientrata. L’11 aprile Maroni aveva detto senza mezzi termini che “a questo punto è meglio uscire dalla Ue”. Il giorno successivo è stato il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, a stemperare la polemica parlando di “rabbia” passeggera, dopo un intervento (a quale titolo?) del presidente della Repubblica Napolitano che invitava a non esasperare le tensioni tra Italia e Ue.

Eppure la “provocazione” di Maroni andrebbe quanto meno presa sul serio. Non perché sia giusta una rappresaglia per il mancato aiuto sulla questione profughi, ma perché la “profonda delusione” in materia denunciata ieri anche dal segretario di Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, è la spia di qualcosa che nell’Unione Europea chiaramente non funziona. E non si tratta di questo o quel meccanismo istituzionale, ma il motivo stesso per cui una tale Unione deve esistere.

Non può non risaltare infatti l’evidente sproporzione tra la massiccia invadenza delle istituzioni comunitarie in materie – come la famiglia e la vita – che peraltro sono di pertinenza esclusiva dei singoli stati e la preoccupante e imbarazzante assenza in questioni politicamente decisive. Da una parte troviamo una ossessiva pretesa di intervenire nelle legislazioni nazionali in fatto di aborto, unioni gay, e diritti umani vari; dall’altra un’incapacità di leggere gli avvenimenti epocali e di prospettare un indirizzo al di fuori degli angusti confini comunitari.

In questi giorni è stata più volte lamentata la mancanza di solidarietà degli altri Paesi Ue verso l’Italia, ma come ha scritto nei giorni scorsi Robi Ronza, la questione del Trattato di Schengen e dei permessi temporanei è molto discutibile; e se qualche paese si gira dall’altra parte è anche vero che l’Italia cerca di giocare con furbizia.

Dove sta allora il problema? Nell’immediato sta nel fatto che l’Unione Europea non sente neanche la necessità di individuare dei criteri e di adottare meccanismi istituzionali comunitari per fare fronte a situazioni d’emergenza, come quella rappresentata ad esempio dall’immigrazione: è chiaro che non basta dare dei soldi ai paesi di confine, e poi se la sbrighino loro. Serviva forse una struttura elefantiaca come la Ue per fare una cosa che si potrebbe tranquillamente decidere anche senza?

Ma in un orizzonte geografico e temporale più ampio il problema sta nel fatto che questa Europa è incapace di vedere, comprendere e confrontarsi con la realtà che la circonda. Un clamoroso esempio è stato offerto dalle crisi dei paesi nordafricani e del Medio Oriente che durano ormai da mesi, ma sulle quali la Ue non ha mai avuto nulla da dire: né un piano di aiuto, né una lettura profonda degli avvenimenti, né un indirizzo politico che, ad esempio, contribuisca a fare evolvere le crisi verso soluzioni maggiormente rispettose della dignità umana. Il nulla, e sì che stiamo parlando di paesi che sono ai nostri confini. L’emergenza profughi è soltanto una conseguenza di questa cecità. L’avventurismo militare franco-britannico in Libia un’altra.

Del resto una visione politica nasce da un patrimonio di valori ed esperienze figlio di una identità culturale ben definita. E qui sta il nocciolo del problema europeo: una volta che si è rifiutato di guardare e prendere sul serio le proprie radici storiche e culturali, non c’è nulla su cui poggiare per guardare al futuro. Resta soltanto la faticosa negoziazione giorno per giorno, problema per problema, con decisioni anche contraddittorie suggerite da interessi immediati e transitori. E resta l’arroganza e invadenza di burocrati e tecnocrati che da Bruxelles, in questo vuoto, pretendono di dettare i comportamenti quotidiani dei cittadini europei.

Una Unione Europea è necessaria e auspicabile. Ma questa Europa, è evidente, non ha futuro; c’è bisogno di ricominciare partendo proprio da quelle domande che si sono volute fin qui censurare: cos’è che ci fa Europa? Quali sono le radici della nostra civiltà e qual è la nostra vocazione? L'Italia, invece di minacciare l'uscita dalla Ue, dovrebbe cominciare a porre con chiarezza queste domande.