Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giosafat Kuncewycz a cura di Ermes Dovico
GIORNATA DELLA BUSSOLA 2022

«Quello che abbiamo di più caro è Cristo»

«Oggi l’invito di Gesù ci stimola anzitutto a rinnovare la nostra adesione a Lui, persona veramente vivente e veramente cara, e a non confonderlo con un qualunque progetto di ideologia o di società cristiana (…). Solo contemplando l’amore del Padre per suo Figlio impariamo, anche noi, ad amare Gesù Cristo». Pubblichiamo la meditazione del cardinale Robert Sarah alla Giornata della Bussola 2022 (qui il video integrale), svoltasi il 29 ottobre a Palazzolo sull’Oglio con la partecipazione di circa 1000 persone.

Documenti 31_10_2022 English Español

«Quello che abbiamo di più caro è Cristo». Quest’affermazione è la professione di fede più profonda che il cuore di un cristiano possa esternare. Come notiamo nel Vangelo, dalla sua prima apparizione, una grande folla segue Gesù. La sua parola ha sempre qualcosa di affascinante e ognuno può trovare in essa qualcosa che gli faccia comodo e che lo giudichi di fronte a sé stesso o agli altri. Ieri, oggi, sempre una grande folla ha cercato, cerca e cercherà di impossessarsi del Signore per quello che le fa comodo. Gesù, invece, che conosce il cuore dell’uomo, dice subito che per coloro che lo seguono non si tratta di scegliere una sua verità, ma di scegliere Lui, una Persona viva, reale, presente che vuole essere scelta e seguita solo per amore.

L’AMORE DI CRISTO
L’amore, e soltanto l’amore, può giustificare una radicalità che diversamente potrebbe sembrare anormale o impossibile ma che, nella totalità che ogni amore comporta, l’amore verso di Lui esige un modo così globale perché nessuno e nulla può essere al di sopra di Lui. Chi ama il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli e le sorelle, perfino la propria vita più di me, dice Gesù, non è degno di me. È proprio vero che quello che abbiamo di più caro è Cristo. Il cristiano non è colui che ama a metà o non ama il mondo, ma colui che ama con tale pienezza che il mondo è solo uno dei tanti momenti di questo amore, ma non si esaurisce in esso. 

Niente per me è così riduttivo della pienezza dell’amore di Cristo quanto il parlare di celibato che è un concetto negativo, perché indica una non realizzazione. Bisogna parlare invece di verginità che, se per i coniugi non è fisica, per tutti, coniugi e non coniugi, deve essere interiore, liberante, segno di una scelta di fede che trova in Gesù il suo unico Signore, il suo più preciso tesoro. Certo non bisogna presumere di sé; bisogna avere l’umiltà quotidiana di misurare le proprie forze, di far fruttificare i talenti, di stimolare i carismi, per non iniziare una costruzione che poi difficilmente si riuscirebbe a portare a termine.

Amare Cristo e pregare per avere la sapienza del cuore non basta. La vita deve essere il segno di questi nuovi rapporti, di questa “novità” che sconvolge il quieto perbenismo dell’uomo. Se si ama Cristo più di ogni altra realtà si devono amare più di tutti coloro con cui Cristo si è identificato: i piccoli, i poveri, gli ultimi. San Paolo ci dà un esempio concreto di questa capacità rivoluzionaria di Cristo che non solo vince tutte le barriere sociali, ma fa sì che concretamente l’ultimo, lo schiavo fuggiasco, sia prediletto al di là di ogni previsione. Così scrive a Filèmone: “Io Paolo, vecchio, e ora anche prigioniero a causa di Gesù Cristo. Ti chiedo un favore per Onèsimo. Qui in prigione egli è diventato mio figlio. È quell’Onèsimo, che un tempo non ti è servito a nulla; ora invece può essere molto utile sia a te che a me.  Egli è come una parte di me stesso: io te lo rimando. Sarei stato contento di poterlo tenere con me, ora che sono un prigioniero per avere annunziato Cristo. Avrebbe potuto aiutarmi al posto tuo. Ma non voglio obbligarti a questo favore: preferisco che tu agisca spontaneamente. Perciò ho deciso di non far nulla senza che tu sia d’accordo. Forse Onèsimo è stato separato da te per qualche tempo, perché tu possa riaverlo per sempre. Egli è molto più di uno schiavo: è per te un caro fratello. È carissimo a me, tanto più deve esserlo a te, sia come uomo sia come credente. Dunque, se mi consideri tuo amico, accogli Onèsimo come accoglieresti me. E se egli ti ha offeso o se deve restituirti qualcosa, metti tutto sul mio conto. Ecco la garanzia scritta di mia mano: io, Paolo, pagherò per lui” (Fm 1,9-19).

GESÙ NON È IDEOLOGIA
Oggi l’invito di Gesù ci stimola anzitutto a rinnovare la nostra adesione a Lui, persona veramente vivente e veramente cara, e a non confonderlo con un qualunque progetto di ideologia o di società cristiana, mentre ci pone in prima linea nella difesa di ogni persona umana, soprattutto dei più piccoli e dei più deboli, dal figlio che si vorrebbe abortire al vecchio che si emargina, anzi che si vuole far morire “degnamente” tramite l’eutanasia; dallo studente la cui intelligenza è manipolata o inquinata dall’ideologia del genere al prete che si sente frustrato e distrutto perché falsamente accusato di abusi sessuali su minori, a tutti quegli uomini e donne che vivono oggi nella dittatura del relativismo e del pensiero unico, e nella confusione dottrinale e morale, sballottati dalle onde di una società decadente e anticristiana, e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, anche di alta responsabilità nella Chiesa, con quella astuzia che tende a trarre nell’errore.

Oggi molti uomini e donne, poiché hanno abbandonato Gesù Cristo, la Luce del mondo, sono ormai accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore. Diventati così insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta di impurità (cf. Ef 4,14-19). I “piccoli” non sono una categoria sociale: spesso sono anonimi, ma chi ama Gesù più del padre, della madre, in una parola, più di sé stesso, riesce a vedere quei volti perché coglie in essi i segni di una Croce che ha abbracciato e i tratti di un Volto che chiama. E contemplando il Padre e imparando da Lui a vedere e ad amare le persone come Lui le vede e le ama, Gesù diventa la Persona più cara al nostro cuore.

GESÙ, LA PERSONA PIÙ CARA AL NOSTRO CUORE
“In verità, in verità vi dico: il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati” (Gv 5,19). Solo contemplando l’amore del Padre per suo Figlio impariamo, anche noi, ad amare Gesù Cristo. Ascoltiamo ciò che dicono i Vangeli.

L’Evangelista San Giovanni ci dice che Dio ha tanto amato il mondo da mandare il proprio Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Gv 3,16). Nel Vangelo di Giovanni incontriamo l’espressione “il Figlio unigenito che è nel seno del Padre” e Matteo aggiunge: “Questi è il Figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto” (Mt 3,17). E ad ogni passo Gesù stesso afferma la sua comunione profonda con il Padre: “Io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,11); “affinché siano una cosa sola come Tu, Padre, sei in me ed io in te” (Gv 17,21). Ciò significa che Dio Padre ci ha donato il tesoro più prezioso: Gesù Cristo, e cioè Dio stesso si è donato a noi per condividere la vita divina con noi. Cristo è il tesoro dell’umanità e il Maestro che ci insegna a ad amare in modo totale. È Lui lo Splendore divino che illumina il mondo e il cuore dell’uomo.

DAL 2000 VIVIAMO IL POST-CRISTIANESIMO
Dall’anno 2000 un nuovo secolo, un nuovo millennio si sono aperti nella luce di Cristo. Ma sfortunatamente non tutti vedono questa Luce. Anzi la oscurano, la vogliono spegnere. Per molti, anche all’interno della Chiesa, questo tesoro che è Gesù Cristo non ha più nessuna importanza. Il cristianesimo è posto allo stesso livello delle altre religioni. Non sembra più esistere nessuna differenza tra Gesù Cristo, Maometto e Buddha. Non abbiamo più bisogno di Dottrina né di insegnamento morale ispirato da Dio tramite la Sacra Scrittura, la Sacra Tradizione e il Magistero della Chiesa. Come vedete, il peccato e l’apostasia silenziosa delle antiche società occidentali hanno oscurato la mente delle persone più che mai. Molti hanno accolto come verità idee orrende, come per esempio scegliere o cambiare il proprio genere, e persino scegliere di identificarsi con un animale, l’aborto fino al nono mese e l’eutanasia dei bambini. C’è anche il rifiuto del Dio Creatore dell’uomo e il tentativo di creare “transumani” che saranno fisicamente più potenti e nella mente più intelligenti degli esseri umani, e capaci di vivere per sempre. L’uomo mortale vuole creare un uomo immortale. Dio è cancellato dalle società postcristiane.

CON GESÙ UNA RELAZIONE PERSONALE
Però noi abbiamo il compito stupendo ed esigente di esserne il “riflesso”. È il mysterium lunae molto caro alla contemplazione dei Padri della Chiesa. È un compito, questo, che ci fa trepidare se guardiamo alla debolezza che ci rende tanto spesso opachi e pieni di ombre. Ma è un compito possibile se, esponendoci alla luce di Cristo, sappiamo aprirci alla grazia che ci rende uomini nuovi. Il fatto di essere battezzati, cristiani, e dunque di sentirsi chiamati per nome a collaborare con Cristo nella causa del Regno, spinge a riprendere, nella propria vita, un cammino non soltanto di preparazione che porti a saperne di più su Gesù, ma di esperienza di preghiera e contemplazione di vita e di conversione che permetta di parlare agli uomini di Colui che si è incontrato.

Non possiamo e non dobbiamo parlare di Gesù Cristo se non abbiamo una esperienza personale con Lui, se non siamo capaci di dire come San Giovanni nella sua Prima Lettera: “Ciò che era fin dal principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato, e che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (perché la Vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza, e vi annunziamo la Vita eterna, che era presso il Padre e che si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (1 Gv 1,1-3).

CRISTO SENSO E FINE ULTIMO
La vita cristiana, e a maggior ragione, quella del sacerdote, deve essere un riflesso della luce di Cristo, affinché il suo messaggio non sia un controsenso di parole vuote. È illuminante ciò che Papa Giovanni Paolo II affermò nella sua Lettera Apostolica Nuovo Millennio Ineunte: “La nostra testimonianza sarebbe insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto. E la contemplazione del volto di Cristo non può che ispirarsi a quanto di Lui ci dice la Sacra Scrittura, che è, da capo a fondo, attraversata dal suo mistero, oscuramente additato nell'Antico Testamento, pienamente rivelato nel Nuovo, al punto che san Girolamo sentenzia con vigore: «L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo stesso». Restando ancorati alla Scrittura, ci apriamo all'azione dello Spirito (cfr Gv 15,26), che è all'origine di quegli scritti, e insieme alla testimonianza degli Apostoli (cfr ibid., 27), che hanno fatto esperienza viva di Cristo, il Verbo della vita, lo hanno visto con i loro occhi, udito con le loro orecchie, toccato con le loro mani (cfr 1 Gv 1,1). Quella che ci giunge per loro tramite è una visione di fede, suffragata da una precisa testimonianza storica: una testimonianza veritiera, che i Vangeli, pur nella loro complessa redazione e con un'intenzionalità primariamente catechetica, ci consegnano in modo pienamente attendibile” (NMI, nn.16-17).

Vivere tutto il mistero di Cristo, dall’Incarnazione alla Passione-Morte e Risurrezione e Ascensione gloriosa, così come è presentato dai Vangeli, è un’esigenza forte per la vita di ogni cristiano; è cioè camminare con lo sguardo fisso nel Signore, nel volto incarnato di Cristo che è il fondamento e il centro della storia, ne è il senso e la meta ultima. È per mezzo di Lui, infatti, Verbo ed immagine del Padre, che tutto è stato fatto (Gv 1,3; Col 1,15). È Cristo nella sua vita nascosta con Maria e Giuseppe nel piccolo villaggio di Nazareth, nel suo ministero vissuto insieme ai suoi discepoli, nella sua opera salvifica conclusa nella croce, nella Risurrezione e nel dono dello Spirito Santo. Un mistero da meditare e da approfondire sempre più, e un messaggio da assumere nella propria vita. Mossi da questa forza evangelica e trasformati da questo incontro come i discepoli che, dopo aver visto e udito, non potevano tacere e si sentivano spinti ad annunciare Cristo al mondo intero, così anche gli apostoli odierni, radicati nella contemplazione silenziosa e nella preghiera, meditando il mistero di Cristo, fondamento assoluto e meta unica di ogni vita cristiana, cercheranno di essere, prima di fare, di contemplare e di amare prima di annunciare con forza e con gioia Cristo e il suo Vangelo.

MA SOLO CON LA FEDE LO SI VEDE
Nell’incontro contemplativo, silenzioso e orante con Cristo, si sviluppa e matura il dono della fede che porta alla conoscenza più vera, aderente e coerente del mistero del Verbo fatto carne per abitare in mezzo al suo popolo. Solo mediante la fede, come dice Papa Giovanni Paolo II, si può arrivare a Gesù e contemplare il suo volto, amarLo, aderire al suo mistero per partecipare della sua stessa vita. È l’amore il fondamento in cui si radicano la chiamata alla santità e l’opera evangelizzatrice del mondo.

Ma l’amore non può crescere se non è sostenuto dalla forza della fede, un dono che porta il discepolo alla fiducia, all’abbandono in Dio e alla rinuncia personale. Mosso dalla fede, l’apostolo impara a non fidarsi di sé stesso e docilmente si lascia guidare dallo Spirito Santo, dalla Parola di Dio che ha ascoltato e meditato, dalla Provvidenza divina. La fede si fa sorgente che alimenta e sostiene la chiamata alla santità e l’evangelizzazione, allarga la dimensione della missione nel desiderio di abbracciare il mondo intero, esclude preferenze di persone, porta alle opere, specialmente alla carità e all’impegno missionario.

Ma “il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Una domanda cruciale e tragica! Purtroppo, è facile per noi cadere nella sfiducia, nell’incredulità, lasciarsi travolgere dalle cose materiali di questo mondo, dalle nostre ansie, dalle nostre sicurezze e dimenticare Dio, la preghiera, che è la manifestazione sicura della nostra fede. La fede, dono del Padre, gratitudine dell’uomo, deve però continuare a crescere, irrobustirsi, diventare come un albero ben radicato che non teme le tempeste della vita. Per attuare tutto ciò, essa deve nutrirsi di parole, di amore e di preghiere, anzi, per dirla con Bonhoeffer, “la lettura della Parola ci spinge alla preghiera”. E la preghiera fa crescere in noi la fede e l’amore per quello che abbiamo di più caro: Gesù Cristo.

* CARDINALE, PREFETTO EMERITO DEL CULTO DIVINO