«Quelle clarisse pregano troppo». Cacciate dal monastero
L'incredibile storia di suor Maria Giuliana e altre 5 monache del Monastero di Porto Viro, provincia di Rovigo e diocesi di Chioggia, che due anni fa hanno vista distrutta la loro comunità, commissariata dal Vaticano su richiesta del vescovo di Chioggia e del ministro delle provincia francescana: la madre accusata pubblicamente di plagio delle suore e di scandali economici, ma le radici del problema sono nella lunga resistenza ingaggiata da suor Maria Giuliana al tentativo di stravolgere la vita contemplativa e la regola di Santa Chiara. Tra i capi d'accusa: la presenza in convento di statue di san Michele Arcangelo.
«Dica la verità, le sembro matta?». No, direi proprio di no: addolorata certo, amareggiata per l’ingiustizia subita, testarda nel volere ristabilita la verità; ma matta certamente no. Eppure Suor Maria Giuliana dell’Eucaristia, al secolo Maria Giuliana Ravagnan, si è sentita più volte accusata di essere “matta” dai suoi superiori e forzata a ricoverarsi in una casa di cura. Destino a cui è riuscita a sfuggire chiedendo di uscire dall’ordine, e oggi vive con altre 5 consorelle in una piccola palazzina alle porte di Rovigo, dove abbiamo potuto incontrarla.
La croce e alcune statue sacre nel giardino lasciano capire che questa villetta a due piani ha qualcosa di diverso dalle altre che la circondano. All’interno infatti tutto è stato riadattato per ricreare l’ambiente del monastero: il piccolo ingresso funge da parlatorio, la sala è stata trasformata in cappella, e al piano superiore c’è la clausura. Suor Maria Giuliana e le altre hanno ricreato una comunità monastica fondata sulla regola di Santa Chiara, ma per la Congregazione per gli istituti di Vita consacrata queste sei donne non sono più religiose. Il loro delitto? Non essersi piegate al commissariamento della comunità “Cuore Immacolato di Maria” delle monache Clarisse di Porto Viro, di cui suor Maria Giuliana, la “madre”, è stata badessa per 23 anni, fino al 12 agosto 2017.
In quell’estate del 2017, infatti, a Porto Viro - provincia di Rovigo ma diocesi di Chioggia - è piombata la Commissaria suor Ivana Assolini, decisa a cambiare indirizzo al monastero delle Clarisse e a sospendere suor Maria Giuliana. In precedenza, nel settembre 2016, c’era stata una visita apostolica, sollecitata dal vescovo di Chioggia, Adriano Tessarollo, e dal ministro per le province francescane del Nord Italia Mario Favretto, che – ci dice suor Giuliana – si era conclusa con i complimenti delle visitatrici apostoliche per la vita della comunità, che aveva fatto rifiorire il monastero di Porto Viro, con una intensa vita di preghiera e grande opera di carità per i poveri della zona e le missioni. Le visitatrici avevano lasciato il convento «assicurandoci che tutto era regolare e che anzi io dovevo ringraziare il Signore perché mi avevano liberata dalle false accuse», dice suor Maria Giuliana.
Quali accuse? Probabilmente quelle che torneranno qualche mese dopo a giustificare il decreto di commissariamento: essenzialmente plagio delle suore da parte della madre, e giro di importanti somme di denaro gestite in modo autonomo dalla madre all’insaputa delle monache. Tutte accuse che le suore hanno respinto e provato false, anche in una delle tante lettere a papa Francesco rimaste senza risposta alcuna.
Ma appare abbastanza chiaro che si tratta di pretesti per porre fine all’esperienza di un monastero di clarisse un po’ diverso dalle altre, semplicemente perché voleva restare fedele alla regola di Santa Chiara, con una clausura stretta e una vita intensa di preghiera. Cose che evidentemente non vanno più di moda. Si capisce da un passaggio del decreto vaticano del 5 dicembre 2017 con cui si conferma l’allontanamento di suor Maria Giuliana dal monastero di Porto Viro.
Come prova del plagio e del condizionamento esercitato sulle monache, si legge che «il Monastero è pieno di immagini sacre. Una statua che ricorre pressoché in ogni ambiente è quella di san Michele Arcangelo, “protettore dal nemico e da tutti i possibili nemici”, secondo la spiegazione delle monache». Curioso: si è arrivati al punto che in Vaticano fa scandalo la presenza di immagini sacre in un convento, e in particolare di San Michele Arcangelo, di cui evidentemente si ignora identità e missione se si deve citare la spiegazione delle suore, prendendone le dovute distanze.
Ma poi si scopre che la vicenda ha radici molto più lontane nel tempo e ha a che fare con la volontà di stravolgere senso e modalità della vita religiosa. Suor Maria Giuliana era inizialmente entrata nel monastero di Montegrotto (PD) nel 1982 e quasi subito si era trovata a dover combattere contro i tentativi di modernizzazione della vita claustrale: «A causa di alcuni frati, penetrarono nel Monastero ideologie errate, meditazione trascendentale, psicologia freudiana e altro; e io, sapendo che erano gravi errori mi opposi». Al punto che ben presto dovette cambiare monastero, scegliendo quello di Porto Viro. Diventata abbadessa, si ritrovò ben presto nella stessa battaglia: facendo parte di una federazione di monasteri, quello di Porto Viro rappresentava l’unica forma di resistenza all’annacquamento della regola di Santa Chiara, l’unico a difendere l’autonomia dei monasteri e la vita contemplativa.
Allora però suor Maria Giuliana e il monastero di Porto Viro potevano contare sull’ascolto e sul sostegno della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata: il prefetto, cardinale Eduardo Martinez Somalo, e il sotto-segretario padre Jesus Torres, hanno più volte appoggiato esplicitamente la battaglia del monastero di Porto Viro fino a decretare la separazione del Monastero dalla Federazione Veneto-Emilia Romagna nel settembre 2000.
Questo però è stato solo l’inizio di un nuovo capitolo nella guerra dichiarata contro la “mosca bianca” Porto Viro; e con il cambio di clima in Vaticano i nemici di suor Maria Giuliana sembrano aver avuto buon gioco: inutili infatti le decine di lettere inviate ai nuovi capi della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata, il prefetto cardinale Joao Braz de Aviz, e il segretario monsignor José Rodriguez Carballo, con la richiesta di potersi difendere dalle accuse. Mai una risposta, neanche alle lettere di supplica e di incontro inviate a papa Francesco. Così suor Maria Giuliana e le sue suore sono state lasciate in balìa della Commissaria e del ministro della provincia francescana.
«La Commissaria – dice suor Maria Giuliana – mi accusava di condizionare le suore ancora dopo il suo arrivo, ma è assurdo; in realtà mi ha segregata per 5 mesi nella mia cella, togliendomi qualsiasi comunicazione con le sorelle». E le altre suore confermano il clima pesante creato all’interno del monastero, con offese gravi alla madre, anche da parte del ministro francescano padre Favretto, riferiscono anche di strattonamenti e insulti gravi alle resistenze di suor Giuliana alla decisione di trasferirla in altro luogo. «Mi davano della matta e avevano già preparato il mio trasferimento alla Casa Raffael di Genova», che in effetti è una casa di cura per religiose in crisi spirituale o con disagi psichici.
L’affermazione di suor Maria Giuliana trova in effetti conferma nel decreto del 25 ottobre 2017 firmato dal cardinale Braz de Aviz, che dà potere alla Commissaria di provvedere al trasferimento presso questa struttura «per un tempo indefinito». Il ricorso di Suor Maria Giuliana le ha permesso di guadagnare tempo, ma ha anche reso ancora più aggressivi i suoi nemici; e, come già detto, un capitolo di questa storia si è chiuso con la richiesta di esclaustrazione di almeno un anno da parte di suor Maria Giuliana, «per ristabilirmi in salute e ritrovare pace nel mio animo»; e con la risposta vaticana (14 febbraio 2018) che le impone la deposizione dell’abito religioso e la separazione definitiva dal Monastero.
Nel frattempo altre 5 suore hanno chiesto l’esclaustrazione: «Non perché volessimo rinunciare all’abito religioso – ci dice una di loro – ma perché non avevamo altra via di uscita: in convento la vita era cambiata, non si pregava più, la vita spirituale era ridotta al minimo ed eravamo costantemente controllate; la nostra posta era aperta dalla Commissaria e dalla nuova maestra delle novizie, così non potevamo inviare lettere per spiegare la situazione. L’unica via di uscita era chiedere l’esclaustrazione».
Trovata questa villetta grazie a dei benefattori e all’aiuto di una fidata collaboratrice del monastero che tuttora le assiste, queste suore vi si sono trasferite: «L’uscita dal monastero è stata umiliante, senza nulla: niente soldi, niente cibo, neanche i vestiti: c’è un video (clicca qui) che le mostra salire su un’ambulanza e arrivare in questa villetta con vestaglie e avvolte in coperte». Un altro esempio di Chiesa della misericordia.
Ma nelle parole e nello sguardo di suor Maria Giuliana non c’è risentimento verso chi le ha fatto così tanto male: «Li ringrazio perché ho potuto capire cos’è la persecuzione. Però voglio verità e giustizia: questa è la mia vocazione, sono una suora e deve essere ristabilita la verità sul monastero di Porto Viro».
Che nel frattempo ha iniziato un nuovo capitolo: oggi sono rimaste in quattro con la Commissaria, essendo che tre suore nel frattempo sono morte. Ma niente paura, i posti saranno presto riempiti: le clarisse di Porto Viro sono infatti tra le firmatarie della lettera al presidente della Repubblica Mattarella e al presidente del Consiglio Conte dello scorso 13 luglio in cui chiedono una politica di accoglienza verso gli immigrati, di aprire i porti e si candidano a ospitare gli immigrati nelle proprie strutture. La nuova Chiesa non ha più bisogno di vita contemplativa, si passa finalmente all’azione.