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PAPA IN USA

Quell'abbraccio ai giovani senza "risentimento"

Ne ha dette tante Papa Francesco, di parole, semplici e nette come l’acqua, impegnative e frizzanti come il buon vino, fragranti come il pane al mattino. Fra tutte, quelle pronunciate davanti ai vescovi radunati a Philadelphia per l’incontro mondiale delle famiglie.

Ecclesia 02_10_2015
I giovani salutano Papa Francesco a Philadelphia

Dentro un mondo vuoto e arido come il deserto del Sahara, accadono cose strane. Un semplice tam-tam tra insegnanti che si invitano l’un l’altro ad andare insieme a Messa nel primo giorno di scuola, diventa un piccolo fiume che invade una grande chiesa. La proposta di una cena tra amici si allarga fino a riempire una grande sala, con giovani studenti che fanno da camerieri. Si potrebbe continuare. Guardando attorno si nota un sommovimento del terreno, un risveglio d’anime non appiattite nella marea delle lamentele. È a questo livello che vengono a sorprenderci alcune parole del Papa nel viaggio in America. Ne ha dette tante Papa Francesco, di parole, semplici e nette come l’acqua, impegnative e frizzanti come il buon vino, fragranti come il pane al mattino. Fra tutte, quelle pronunciate davanti ai vescovi radunati per l’incontro mondiale delle famiglie. Come fosse uno che fa la spesa dalle nostre parti, il Papa ha paragonato la bottega di quartiere, così fornita e comunicativa, con il consumistico e anonimo centro commerciale, che abolisce la voglia di rapporto e di vita.

Soprattutto non sono da perdere le parole del Papa riferite ai giovani, spesso bellamente squalificati sull’onda dello sconforto generale: «Dobbiamo condannare i nostri giovani per essere cresciuti in questa società? Dobbiamo scomunicarli perché vivono in questo mondo? Essi devono sentirsi dire dai loro pastori frasi come: “una volta era meglio”; “il mondo è un disastro e, se continua così, non sappiamo dove andremo a finire”? ». Questo mi suona come un tango argentino! E aggiunge: «I giovani di questo tempo sono forse diventati irrimediabilmente tutti pavidi, deboli, inconsistenti? Non cadiamo nella trappola». Poiché «usando infinita pazienza, e senza risentimento, verso i solchi storti in cui dobbiamo seminarli (gli affetti di Dio), anche una donna samaritana con cinque “non-mariti” si scoprirà capace di testimonianza».

Occorre un atteggiamento diverso: «Noi pastori, sulle orme del Pastore, siamo invitati a cercare, accompagnare, sollevare, curare le ferite del nostro tempo”».  Noi, che a volte rinunciamo ad ogni proposta e iniziativa; preventivamente già sconfitti, lasciamo andare la barca alla deriva. Ma dove attinge un pastore, un genitore, una comunità questo sguardo nuovo sulla realtà, dove ricava un richiamo positivo e rigenerativo? Occorre uno sguardo nuovo che si posa su di noi, pastori o genitori o educatori, come lo sguardo di Gesù su Matteo. Lo rilevava ancora il Papa, nella straordinaria omelia del giorno di San Matteo a Cuba: «Gesù lo guardò. Che forza di amore ha avuto lo sguardo di Gesù per smuovere Matteo come ha fatto! Che forza devono avere avuto quegli occhi per farlo alzare!». «Poi il Signore disse a Matteo: “Seguimi”. E Matteo si alzò e lo seguì. Dopo lo sguardo, la parola. Dopo l’amore, la missione. Matteo non è più lo stesso; è cambiato interiormente. L'incontro con Gesù, con il suo amore misericordioso, lo ha trasformato. E in quel momento si lasciò alle spalle il banco delle imposte, il denaro, la sua esclusione. Prima aspettava seduto per riscuotere, per prendere dagli altri; ora con Gesù deve alzarsi per dare, per offrire, per offrirsi agli altri. Gesù lo ha guardato e Matteo ha trovato la gioia nel servizio». 

Solo una coscienza ridestata accetta di aprirsi alla vita e di correre nella missione, affrontando e proponendo. Racconta un insegnante di religione: «Ai miei alunni di quinta superiore sto presentando i quattro personaggi descritti dal Papa al Congresso americano: Abraham Lincoln, Martin Luther King, Dorothy Day e Thomas Merton. Ma sono gli ultimi due a colpire».  In questi giorni sto leggendo un romanzo in qualche modo provocatorio, Il Regno di Emmnuel Carrère. Come hanno fatto i primi cristiani a cambiare il mondo?  «Compivano gesti che lasciavano a bocca aperta , gesti che contraddicevano i normali comportamenti degli uomini». Volevano bene anche ai nemici, preferivano essere deboli anziché forti, poveri anziché ricchi, piccoli anziché grandi. La novità di Cristo è un fatto che attraversa il mondo. «Come sarebbe bello se fossimo in dodici», dice don Giussani. Quei dodici! Deboli e persino traditori ma tutti – fuorché il figlio della perdizione –appassionatamente decisi nel seguire e annunciare l’Uomo di Nazaret.