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LIBERTÀ RELIGIOSA

Quella primavera già appassita della Tunisia

Dopo la "Rivoluzione dei gelsomini" di un anno fa i cristiani stanno meglio?  Sembrerebbe di no.

Cultura 03_03_2012
Tunisia

 

La Tunisia è il Paese che ha dato inizio al movimento delle manifestazioni, proteste e rivoluzioni che si è poi esteso, durante il 2011, a tutta l’Africa Settentrionale e al Medioriente.

Secondo l’International Crisis Group, la Tunisia «dovrà compensare il forte bisogno di un radicale cambiamento politico contro il bisogno di stabilità; integrare l'islamismo nel nuovo panorama; e, con l'aiuto internazionale, affrontare i pesanti problemi socio-economici». Dietro la rivoluzione cosiddetta dei “Gelsomini” del 18 dicembre 2010 - sottolinea il rapporto dell’Associazione evangelicale Porte Aperte - che portò all'allontanamento del presidente Ben Ali e del primo ministro Ghannouchi, c'è stata un'ampia coalizione di disoccupati, avvocati, intellettuali, operai della classe borghese e sindacati che chiedeva cambiamenti politici radicali.

Una rivoluzione che ha anche lasciato i suoi segni, come sostiene Amnesty International, che lo scorso 14 febbraio, in una dichiarazione, ha sollecitato le autorità tunisine «ad assicurare che le vittime di violazioni dei diritti umani, i loro familiari, i testimoni e gli avvocati coinvolti nei processi nei confronti di imputati del deposto regime siano protetti da minacce e intimidazioni».

Il processo iniziato il 28 novembre 2011, presso la corte marziale di Kef, nei confronti di 23 pubblici ufficiali accusati di uccisioni avvenute durante le rivolte di Thala e Kasserine, è stato segnato da una serie di minacce rivolte direttamente o attraverso dichiarazioni in televisione e sui giornali. Amnesty International ha deplorato il fatto che parecchi degli imputati, nonostante siano accusati di aver ucciso manifestanti, non siano stati sospesi dall'incarico e continuino a svolgere il loro lavoro. Ciò alimenta il timore delle famiglie delle vittime che i responsabili di queste violazioni dei diritti umani non saranno chiamati a rispondere del loro operato.

A oltre un anno di distanza dalla rivolta in cui 300 persone vennero uccise e almeno 700 ferite prima che l'ex presidente Zine El Abidine Ben Ali lasciasse la Tunisia, le famiglie delle vittime sono ancora in attesa della verità e della giustizia e, nell'attesa, ricevono minacce. La Commissione d'inchiesta sugli abusi commessi nell'ultimo periodo, istituita nel febbraio 2011, deve ancora rendere pubbliche le sue conclusioni.

Nell'ottobre del 2011 si sono tenute le prime elezioni per l’Assemblea Costituente, che sono state vinte dal partito islamico Ennahda, guidato da Rashid Gannouchi, il quale si è aggiudicato oltre il 40% dei consensi. Ennahda ha già annunciato - afferma Porte Aperte - la sua intenzione di applicare la sharia e di trasformare la Tunisia in uno stato islamico, anche se è ancora poco chiaro quanti dei punti dell'agenda islamica verranno messi in pratica.

Alle preoccupazioni dei membri delle comunità cristiana ed ebraica si sono aggiunte quelle della componente laica della popolazione. Numerose sono state le dichiarazioni di Gannouchi e di Hamadi Jebali (segretario generale di Ennahda e oggi Primo Ministro) volte a rassicurare la popolazione in merito alla compatibilità tra Islam e democrazia e all’importanza dei legami di fratellanza tra cittadini musulmani, ebrei e cristiani.

Porte Aperte sostiene che musulmani radicali, la maggior parte dei quali in esilio in Francia, stanno tornando in Tunisia e stanno diffondendo un islam di matrice fondamentalista, oltre ad organizzare «violente manifestazioni che i già deboli servizi di sicurezza pubblica fanno fatica a contenere».
Chiaro segnale della crescente violenza religiosa nel paese, afferma il rapporto di Porte Aperte, è stato il violento omicidio di Padre Marek Rybinski, prete polacco e missionario salesiano, avvenuto nel febbraio del 2011. Trentatre anni, il sacerdote è stato trovato senza vita in un locale della scuola salesiana di Manouba. Secondo la ricostruzione del Vescovo di Tunisi, era uscito dalla casa lasciando la sua automobile alla missione. Il giorno dopo, nella sua camera è stato trovato il computer acceso. Si pensa quindi che qualcuno lo abbia fatto chiamare con una scusa, per farlo uscire, lo avrebbe rapito per poi ucciderlo il giorno successivo.

Un altro esempio di violenza religiosa è il caso di un leader di una Chiesa locale, il quale ha dovuto lasciare il paese a causa di pesanti minacce contro la sua vita e quella dei suoi familiari.
Sebbene la costituzione della Tunisia rispetti la libertà di religione e la conversione dall'islam non sia proibita, rappresentanti del governo spesso agiscono diversamente. I residenti cristiani (stranieri) stanno sperimentando maggiori controlli e sospettano inoltre che le loro telefonate vengano intercettate. I pastori di chiese espatriate vengono monitorati e l'importazione di libri cristiani in lingua araba viene boicottata. Le Chiese nazionali non si possono registrare - dall'indipendenza (1956) a nessuna nuova Chiesa è stata concessa una registrazione ufficiale - e i cristiani autoctoni vengono interrogati e picchiati quando rendono ufficiale la loro conversione, denuncia Porte Aperte, che sottolinea come «le cronache locali indicano che la pressione sui cristiani, da parte sia delle autorità che delle famiglie di credenti ex musulmani, è aumentata dopo la Rivoluzione dei ‘Gelsomini’. In questo contesto, bisogna vedere se il passaggio alla democrazia porterà dei miglioramenti alla piccola comunità cristiana presente nel paese».