Quella guerra che la Serbia scatenò
La recente sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sulle cause per genocidio intentate rispettivamente dalla Croazia contro la Serbia, e da quest’ultima contro la Croazia, è stata generalmente interpretata dai media internazionali come un’assoluzione per entrambi i contendenti. Ma le cose non stanno così, ecco perché...
La recente sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sulle cause per genocidio intentate rispettivamente dalla Croazia contro la Serbia, e da quest’ultima contro la Croazia, è stata generalmente interpretata dai media internazionali come un’assoluzione per entrambi i contendenti, come se le violenze perpetrate durante la guerra degli anni Novanta del secolo scorso non fossero mai avvenute.
In realtà, la sentenza è stata assolutoria solo nei confronti della Croazia. La Serbia, al contrario se l’è cavata solo grazie a cavilli giuridici. Nel dispositivo, letto in occasione della pronuncia della sentenza, si afferma infatti che è stato rilevato l'«actus reus», vale a dire l'atto di genocidio, «in un grande numero di assassinii che la JNA [l'esercito jugoslavo, N.d.R.] e le milizie serbe hanno commesso in una serie di località della Slavonia orientale, Banovina, Kordun, Lika e Dalmazia». L'atto di genocidio è stato inoltre rilevato in una serie di casi «di maltrattamenti, torture, violenza sessuale e stupro» commessi nelle medesime località; inoltre, l'avere inferto lesioni fisiche e mentali è stato tale «da provocare la distruzione fisica e biologica di gruppi etnici protetti» - cioè dei croati. E' stato inoltre ribadito dal Tribunale che su tutto il territorio croato è avvenuta una lunga serie di crimini contro l'umanità e che essi sono stati compiuti dall'esercito jugoslavo e dalle milizie territoriali serbe, il tutto guidato e organizzato dalla Serbia allo scopo di creare una ‘Grande Serbia’.
Pur avendo accertato questi fatti, il Tribunale ha respinto la causa intentata dalla Croazia poiché non ha intravisto in questi fatti l'intenzione di liquidare il popolo croato nella sua interezza, e poiché la Serbia ha iniziato a esistere solamente nel 1992, cioè successivamente ai fatti oggetto del presente processo.
Al di là dei cavilli giuridici la Serbia è stata riconosciuta quale iniziatrice della guerra, aggressore di un Stato sovrano e mandante di distruzioni, violenze, stupri e uccisioni di massa. Il conflitto che insanguinò la Croazia fu quindi una guerra di aggressione e di conquista territoriale dove vi fu un aggressore, la Jugoslavia ovvero la Serbia, e una vittima di questa aggressione, la Croazia.
È necessario ricordare che l’indipendenza della Repubblica di Croazia rappresentò il frutto di un sentimento nazionale fortemente radicato in quel popolo, ancora di più dopo cinquant’anni di dittatura jugoslavo-comunista, nella quale l’etnia predominante, quella serba, aveva cercato di schiacciare il popolo croato dal punto di vista nazionale, culturale e religioso. Inoltre, il processo d’indipendenza avvenne in modo del tutto legale e legittimo, sia secondo il diritto internazionale sia di quello interno, giacché la Costituzione jugoslava concedeva il diritto di secessione alle singole repubbliche che ne facevano parte. La proposta d’indipendenza poi passò attraverso un referendum, che fu approvato a stragrande maggioranza.
I serbi residenti in Croazia, al pari di qualunque altro cittadino contrario all’indipendenza, avrebbero potuto far valere le proprie ragioni in modo democratico, e una volta approvata l’indipendenza, avrebbero dovuto accettare la decisione della maggioranza. Invece essi organizzarono una resistenza armata, con tutte le conseguenze che ne derivarono.
Le regioni che, durante la guerra, diventarono parte del territorio della cosiddetta Repubblica Serba di Krajina (Republika Srpska Krajina), non erano a maggioranza serba. Dati del censimento del 1981 alla mano, probabilmente non mutati in misura rilevante dieci anni dopo, ad eccezione di alcune cittadine e villaggi, la maggioranza della popolazione residente era croata. La ribellione dei serbi ebbe inizio già nel 1990, quindi quasi un anno prima della dichiarazione d’indipendenza del 25 giugno 1991. Il 31 marzo 1991, domenica di Pasqua, presso i Laghi di Plitvice vi fu il primo scontro a fuoco con la polizia croata, nel corso del quale rimase ucciso un poliziotto. Intervenne allora l’esercito jugoslavo, che con il pretesto di mantenere l’ordine, occupò la zona della Lika che poi divenne il centro della ribellione serba. Partendo dalla cittadina di Knin, che nell’alto medioevo era stata la capitale del Regno croato, e con l’aiuto dell’esercito jugoslavo, questo Stato fantoccio si estese lungo tutto il confine con la Bosnia, si spinse a nord fino a circa 30 km da Zagabria, a est occupò Vukovar, parte della Slavonia orientale e occidentale, giunse a ovest fino al mare e alle porte di Zara, e a sud quasi fino a Ragusa di Dalmazia (Dubrovnik). La cosiddetta Krajina fu quindi un territorio occupato manu militari e ‘ripulito’, con la forza, della componente maggioritaria, quella croata.
Con l’operazione militare Oluja (Tempesta), nell’agosto 1995 l'esercito croato liberò in quattro giorni circa 10.000 kmq di territorio.Una riconquista e una vittoria così spedite non sarebbero state possibili se l’esercito della Krajina non fosse fuggito quasi senza combattere, trascinando con sé quasi tutta la popolazione serba ivi residente. Come confermato da uno dei principali dirigenti serbi della Krajina, Milan Babić, la fuga in massa della popolazione serba avvenne a seguito di un esplicito ordine emanato in tal senso da Milan Martić, presidente della Krajina, e dal comando generale di quell’esercito, e fu attuata a livello locale anche prima dell'arrivo dell'esercito croato. A riprova di questo fatto vi sono, tra l'altro, le immagini dei notiziari della televisione della Krajina, caricate su Youtube, che mostrano delle esercitazioni di evacuazione di persone, di masserizie caricate su trattori e perfino di animali, svolte in questo territorio verso la fine di luglio 1995, quando l'attacco croato veniva ritenuto ormai imminente; vi sono inoltre testimonianze degli stessi profughi serbi, anch'esse presenti su Youtube, nelle quali si afferma: «Ci hanno detto: scappate, perché arrivano gli ustascia».
La liberazione dell’entroterra dalmata e della Lika spezzò l’assedio, che durava ormai da mesi, alla città musulmano-bosniaca di Bihać, situata nel nord-ovest della Bosnia nei pressi del confine con la Croazia, e le forze musulmane ebbero di nuovo la forza di attaccare l’esercito serbo-bosniaco ormai allo sbando, e di riguadagnare territorio anche grazie al massiccio intervento aereo della NATO. Quindi, senza l’operazione ‘Tempesta’, la guerra in Bosnia sarebbe durata ancora a lungo e forse avrebbe avuto un esito diverso.
Non mancarono violenze anche da parte croata - ad esse si fa riferimento anche nella sentenza della Corte internazionale di giustizia, che in questo caso effettivamente ha assolto la Croazia, perché non sono in nessun caso ascrivibili a un progetto di genocidio - ma esse furono casi isolati e non possono essere paragonate a quelle sistematiche commesse dai serbi. Del resto, nella storia dell'umanità non esiste guerra che non abbia visto crudeltà e violenze commesse anche da chi si difendeva da un'aggressione armata o combatteva per una causa giusta. È una cosa triste e non giustifica certo le violenze commesse, tuttavia la realtà è questa.
La guerra avviata dalla Serbia e dai ribelli serbi della Krajina portò all’occupazione di 14.000 kmq, pari a un terzo dell’intero territorio della Repubblica di Croazia, mentre il 54% del territorio dello Stato fu coinvolto nella guerra; essa causò tra 20.000 e 25.000 morti, di cui quasi 16.000 militari difensori croati, mentre circa 37.000 persone rimasero ferite. Delle vittime civili, il 44% furono donne e il 5% bambini; vi furono circa 800.000 profughi, un quinto dell’intera popolazione della Croazia; furono distrutte o danneggiate circa 217.000 abitazioni e 800 chiese ed edifici sacri cattolici - nei territori occupati non rimase in piedi una sola chiesa cattolica; i campi minati lasciati dai ribelli serbi hanno provocato a oggi 503 morti e 308 feriti, e al 1° gennaio 2014, dopo quasi vent'anni di lavoro di sminamento, sono considerati a rischio ancora 613,6 kmq.
Per tutti questi danni, la Serbia non ha pagato un solo centesimo di riparazioni. Nonostante tutto questo, la neonata Repubblica di Croazia concesse ai serbi l’assoluta uguaglianza di diritti e di doveri che godono tutti gli altri cittadini di questo Paese. Al giorno d’oggi, la minoranza serba in Croazia è tutt’altro che priva di diritti. Suoi rappresentanti occupano posti di primo piano nel governo, nell’amministrazione dello Stato e del sistema dei media, soprattutto nell’ente televisivo pubblico, la HRT.
Sebbene nel popolo croato vi sia un forte desiderio di riconciliazione, la mancanza di giustizia ha fatto in modo che le ferite causate dalla guerra non si siano mai chiuse, e c’è poco da meravigliarsi se, tra i croati, è ancora forte il timore che i fatti di vent’anni fa, prima o poi, possano ripetersi. Per farsi un’idea in tal senso basta leggere il settimanale della minoranza serba in Croazia, Novosti. Ad esempio, in un articolo dello scorso settembre dedicato alla chiesa di recente costruzione dei martiri croati di Udbina, nella Lika, Novosti l’ha definita una «discarica di rifiuti nazionalistica», il «palcoscenico centrale del clerofascismo croato», un «goffo ammasso di spazzatura cementizia», un luogo costruito allo scopo di «eccitare sentimenti di vendetta, odio e collera». Parole e toni che non promettono nulla di buono per il futuro.