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MULLAH OMAR

Quella fuga in moto è già nella leggenda

Vera o falsa che sia la notizia della morte del mullah Omar, Il leader spirituale del movimento dei Talebani e vice di Bin Laden, resterà sempre nella nostra memoria la scena (vera o falsa che sia) del il barbuto mullah che se la svigna in una nuvola di polvere a bordo di un scassata motocicletta.

Esteri 30_07_2015
L'unica foto esistente del mullah Omar

«Ma tutto a un tratto un umore assai strano/ Non è un carro armato e neanche un aeroplano!/ In fuga sulla moto verso l’ignoto!/ Lontano qualcuno scappa in tutta fretta/ È il Mullah Omar con la sua motocicletta». Così ai tempi cantavano i Sambu Brothers, band del punk rock che pigliava per i fondelli marines e top gun mandati da Bush in Afghanistan a stanare i combattenti islamisti asserragliati nelle caverne di Tora Bora. Vera o falsa che sia la notizia della morte del mullah Omar, Il leader spirituale del movimento dei Talebani e vice di Bin Laden, resterà sempre nella nostra memoria la scena (vera o falsa che sia) del il barbuto mullah che se la svigna in una nuvola di polvere a bordo di un scassata motocicletta. Seduto sul sellino posteriore e (ma questa è solo cattivissima fantasia) con il dito medio puntato verso il cielo, a cippirimerlare gli F15 della Us Air Force. 

«Sgusciato via», scortato da quattro guardie del corpo, raccontarono (era il gennaio del 2002) gli inviati di guerra e le autorità di Kabul. Il capo spirituale talebano avrebbe beffato l'accerchiamento delle centinaia di mujahiddin e di marines appostati attorno a Baghram, certi ormai di essere vicinissimi alla sua cattura. Invece… «Slipped», confermarono sconsolati gli alti ufficiali del comando americano. Già, sgusciato chissà dove. Forse a Sud, nella mitica Kandahar, dove aveva da sempre la sua madrasa, comunque in posto segreto al sicuro da dove avrebbe continuato a dirigere la guerra all’invasore yankee. Deciso a fare piazza pulita dei talebani in Afghanistan, dopo l’attacco al cuore dell’imperio americano, le Twin Towers di New York, abbattute in un attentato senza precedenti.

Quella fuga incredibile e rocambolesca al limite del comico, contribuì ancora di più a rafforzare il mistero di un uomo già avvolto nella leggenda. Del mullah Mohammed Omar, infatti, esiste soltanto una foto sfocata, scattata prima dell'attacco finale dei talebani a Kabul occupata dai sovietici e che li portò ad essere i nuovi padroni dell'Afghanistan. Era il settembre del 1996. Lui sta in mezzo ad una folla di uomini vestititi di bianco, indossa il mantello che sarebbe appartenuto allo stesso Profeta Maometto. Un fotografo della Bbc riuscì a carpire questa immagine di nascosto, rischiando la vita. Il mullah Omar è stato sempre un uomo invisibile per gli occidentali. Non esistono suoi ritratti ufficiali e gli unici non musulmani ad averlo visto sono stati l'inviato Onu in missione speciale, nell'ottobre 1998, e l'ambasciatore cinese in Pakistan Lu Shulin.

Nella guerra alle truppe dell’Armata Rossa, Omar viene ferito da una granata ad un occhio. La leggenda vuole che, sentendo il sangue colare sulla guancia, si sia strappato l'occhio e l'abbia gettato via per riprendere a combattere. Dopo la cacciata dei sovietici e la conquista del potere, il mullah stringe rapporti sempre più stretti con il leader integralista saudita Osama Bin Laden, che in Afghanistan trova ospitalità, impiantandovi le basi operative e i campi di addestramento di Al-Qaeda. Omar suggella la sua alleanza con Bin Laden sposandone la figlia tredicenne. Le due famiglie vivono in due case contigue a Kandahar, dotate di rifugi antiaerei e tunnel sotterranei.

Dopo quella fuga in moto, del mullah non se n’è saputo più nulla. Più volte è rimbalzata la notizia di una sua cattura, probabile che stavolta sia quella buona. Eppure, più che alle sue azioni militari e valorose imprese sui campi di guerra, la sua fama resta irrimediabilmente inchiodata a quella fuga a bordo della motocicletta, forse solo immaginaria o inventata dalla propaganda talebana. Perché, come dice la canzoncina punk, «lui non voleva finire i suoi giorni in galera/ Così è fuggito con il suo Gilera!/ Honda e Suzuki lo vogliono trovare / È un abile pilota, lo vogliono ingaggiare/ Ma nessuno sa dove andar a cercar/ Verso l’ignoto Omar se ne sta andando/ E fra cinquemila chilometri farà alla moto il tagliando!».