Quel nazista applaudito in Canada. È ignoranza sulle "terre di sangue"
Un veterano delle SS applaudito da Zelensky, Trudeau e da tutta la Camera dei Comuni del Canada. Parrebbe una scena imbastita dalla propaganda russa, ma è tutto vero. È un errore causato dall'ignoranza della storia delle "terre di sangue" occupate da Hitler e Stalin.
Un veterano delle SS applaudito da Zelensky, Trudeau e da tutta la Camera dei Comuni del Canada. Parrebbe un video della propaganda russa, non passerebbe mai l’esame dei fact checkers. Invece è tutto vero, un grottesco errore commesso dal presidente della Camera, Anthony Rota, deputato dei Liberali (lo stesso partito del premier). L’episodio dimostra quanta ignoranza e superficialità restino, a tutti i livelli, sulla tragica storia delle “terre di sangue”, i territori che nella Seconda Guerra Mondiale subirono l’occupazione sia dei sovietici che dei nazisti. Anthony Rota ha rassegnato le dimissioni, ma restano gli strascichi politici e diplomatici, soprattutto con la Polonia.
Nel corso della visita del presidente ucraino Volodymyr Zelensky in Canada, all’indomani del suo intervento all’Assemblea Generale dell’Onu, il presidente della Camera dei Comuni ha indicato un signore anziano, presente nelle tribune del pubblico: “un veterano di guerra ucraino-canadese della Seconda Guerra Mondiale, che ha combattuto per l’indipendenza ucraina contro i russi”. Lo ha presentato come: “un eroe ucraino e canadese”. La Camera al completo si è alzata in piedi per applaudirlo con calore. L’anziano, 98 anni, commosso, ha ringraziato tanto amore fino a quel momento mai ricevuto dalle massime autorità dello Stato che lo ha ospitato dal 1951. La verità scomoda è che quel veterano, Jaroslav Hunka, ha combattuto veramente contro i sovietici, ma dalla parte dei nazisti. Il Centro Wiesenthal ha subito commentato l’omissione del presidente della Camera dei Comuni: “il fatto orribile che Hunka ha servito nella 14^ Divisione Waffen Grenadier delle SS, un’unità militare nazista i cui crimini contro l’umanità durante l'Olocausto sono ben documentati”.
Alla protesta si è subito unita anche la Russia. Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha chiesto una condanna formale del nazismo da parte del Parlamento canadese e ha suggerito che Hunka venga processato. Nonostante la tarda età, infatti, i crimini del nazismo non cadono in prescrizione, come dimostra, in Italia, il processo a Priebke. Mosca non chiedeva di meglio. Nella sua narrazione ufficiale ha sempre dipinto il governo ucraino come “neo-nazista”, nonostante Zelensky sia ebreo. E Putin, stando al suo stesso discorso alla nazione del 24 febbraio 2022, ha lanciato l’invasione (ufficialmente “operazione militare speciale”) per “denazificare” il Paese vicino. La figuraccia rimediata dai canadesi è un successo insperato per la macchina della propaganda russa. Ma a chiedere l’estradizione è anche un acerrimo nemico della Russia: la Polonia. Il ministro dell’Istruzione, Przemysław Czarnek, ha dichiarato che il suo governo sta valutando la richiesta di estradizione per Hunka. Perché la divisione in cui prestava servizio è accusata da fonti polacche di crimini gravi, fra cui il massacro di Huta Pieniacka (fra i 500 e i 1200 morti a seconda delle stime, su una popolazione di 2mila persone). Non è ancora del tutto chiaro, tuttavia, se le unità ucraine che presero parte al massacro fossero effettivamente parte di quella divisione.
Anthony Rota si è scusato con la comunità ebraica, non con i russi o con i polacchi. Il premier Trudeau ha assicurato di non essere al corrente di nulla. Rota si è assunto tutta la responsabilità dell’incidente e il 26 settembre ha rassegnato le dimissioni.
Come è stato possibile un errore così grave? L’ignoranza sulla storia dell’Europa orientale è sicuramente parte della spiegazione. La stessa storia del soldato Hunka è parte di un capitolo della Seconda Guerra Mondiale sconosciuto ai più. È nato nel 1925 in Polonia orientale, nel villaggio di Urman. Nel 1939, quando aveva 14 anni, tutta la sua regione è stata annessa dai sovietici. Gli ucraini, fra cui la famiglia di Hunka, sono stati avvantaggiati, rispetto ai polacchi deportati in massa nei due anni di dura occupazione. Ma in ogni caso, tutti hanno assaggiato il sapore indigeribile della stalinizzazione: ateismo di Stato, collettivizzazione delle terre, nazionalizzazione di tutte le attività private.
Nel 1941 la stessa regione venne invasa dai tedeschi. Iniziarono altri massacri, contro altri bersagli: comunisti, commissari del popolo, ebrei, tutti coloro che erano considerati collaboratori dei sovietici. Soprattutto gli ebrei vennero sterminati in massa dalle Einsatzgruppen, forze speciali al seguito della polizia militare nazista. La battaglia di Stalingrado, persa all’inizio del 1943, pose fine a tutte le speranze tedesche di vincere in modo decisivo la guerra contro l’Urss. Gli occupanti cambiarono atteggiamento e promisero ai russi una Russia libera dal bolscevismo e ai popoli non russi assoggettati da Mosca (tra cui gli ucraini) l’indipendenza nazionale. Fu proprio nel 1943 che Jaroslav Hunka, appena maggiorenne, decise di arruolarsi nelle Waffen SS, nella 14^ divisione, nota anche come Prima Divisione della Galizia (la regione ucraina occidentale), attratto dalla promessa di una lotta per l’indipendenza da Mosca.
L’unità in cui prestò servizio Hunka partecipò a tutte le ultime fasi del conflitto: una ritirata combattente che, da Leopoli, la spinse fino a Graz, in Austria. Con la resa della Germania, la divisione venne disarmata dalle forze britanniche, i suoi uomini furono trasferiti nel campo di prigionia di Rimini. I più fortunati vennero liberati nel 1947 e trasferiti in Spagna, Francia e soprattutto Regno Unito.
Fra questi ultimi c’era anche Jaroslav Hunka, che presto sposò una donna inglese e con la sua nuova famiglia si trasferì a Toronto. Si rifece una vita, si diplomò, divenne tecnico aeronautico, ispettore per la Havilland (la stessa che produceva i bombardieri e ricognitori Mosquito, in tempo di guerra). Non rinnegò mai il suo passato. Anzi, continuò a raccontare le sue memorie di guerra (“il più bel periodo della mia vita”) in un blog in lingua ucraina, dedicato soprattutto ai veterani delle Waffen SS.
Se era tutto così pubblico, allora, perché commettere questo errore politico? Perché è sempre difficile capire che sul fronte orientale si affrontarono due totalitarismi, speculari e contrari, entrambi responsabili di decine di milioni di morti che si presentavano l’uno come il liberatore dalla tirannia dell’altro. In quelle circostanze è difficile che un veterano abbia combattuto per la libertà. Se Rota avesse ospitato un veterano ucraino dell’Armata Rossa, connazionale e coetaneo del suo nemico delle Waffen SS, avrebbe sollevato lo stesso problema morale. Perché anche il regime sovietico si macchiò di crimini di massa in Ucraina, durante la stessa guerra, fra cui la deportazione in massa dei Tatari della Crimea. L’importante non è scegliere il totalitarismo che, al momento, ci sembra più amico. L’importante è semmai dare voce alle vittime di entrambi i regimi. E le vittime, in Ucraina, furono e sono tuttora la maggioranza silenziosa.