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EDITORIALE

Quel faccia a faccia con il Crocifisso

La chiave di volta per comprendere l'attività di Palmaro sta in quel faccia a faccia con il Crocifisso a cui la malattia lo aveva costretto, ma che era in realtà il filo rosso della sua vita, del suo rapporto in famiglia e delle sue posizioni pubbliche.

Ecclesia 09_03_2015
Mario Palmaro

«Alle volte mi immagino la mia casa, il mio studio vuoto, e la vita che in essa continua anche se io non ci sono più. È una scena che fa male, ma estremamente realistica: mi fa capire che sono, e sono stato, un servo inutile, e che tutti i libri che ho scritto, le conferenze, gli articoli, non sono che paglia. Ma spero nella misericordia del Signore, e nel fatto che altri raccoglieranno parte delle mie aspirazioni e delle mie battaglie, per continuare l’antico duello». A un anno esatto dalla morte di Mario Palmaro, mi piace ricordare questa riflessione che scrisse nell’approssimarsi dell’ora e che abbiamo pubblicato all’indomani della morte (clicca qui).

Di Palmaro si sono dette e si diranno tante cose in questi giorni, sulle battaglie sostenute, sulle sue posizioni in bioetica e nella Chiesa, sull’eredità che ha lasciato. E anche noi, che lo abbiamo avuto come amico e collaboratore, lo facciamo con un bell'articolo di Tommaso Scandroglio. Ma ripercorrendo questa riflessione di Mario, si ha come l’impressione che tutto questo – per quanto giusto e doveroso – non colga l’essenza. Che invece sta in quel faccia a faccia con il Crocifisso a cui la malattia lo aveva costretto, ma che era in realtà il filo rosso della sua vita, del suo rapporto in famiglia e delle sue posizioni pubbliche.

Senza avere presente quel faccia a faccia, senza la fede non si capisce nulla di Palmaro: solo avendo vissuto la vita in questo modo si può arrivare al momento decisivo avvertendo «tutta l’amarezza di non averne fatto quel capolavoro di santità che Dio aveva desiderato», e provando «una profonda nostalgia per il bene che avresti potuto fare e per il male che avresti potuto evitare». E questo abisso tra ciò cui siamo chiamati e ciò che siamo è riempito dalla «speranza nella misericordia del Signore».

Pur con tutti i nostri limiti, l’amicizia e la stima con Mario proprio su questo si fondava.  Non è necessario essere d’accordo su tutto per essere uniti e amici; l’unità è qualcosa che viene prima, è qualcosa che ci è donato da Gesù. Non è l’esito di un nostro sforzo volontaristico, a noi sta solo il riconoscerla. Mario è arrivato prima di noi alla consapevolezza chiara e vissuta di questa verità. Oggi possiamo pregare perché anche a noi sia data quella grazia di riconoscere con chiarezza giorno dopo giorno, istante dopo istante, l’origine del nostro essere. E di affidarci alla Sua misericordia, così come è stato dato a Mario.