Quattro verità che la vicenda ucraina rivela
La strategia del presidente americano Trump nel conflitto russo-ucraino fa emergere alcuni fatti che finora sono stati nascosti dalla propaganda. Tra cui la constatazione che gli interessi nazionali vengono prima dei valori che si proclamano.

L’accelerazione impressa dal presidente statunitense Donald Trump alla questione ucraina è rivelatrice di alcune verità che in questi anni sono state sepolte da un mare di retorica e di propaganda, su tutti i fronti.
Anzitutto appare oggi evidente che i veri contendenti nel conflitto sono Russia e Stati Uniti. Trump ha sempre sostenuto che con lui presidente questa guerra non sarebbe scoppiata, e probabilmente aveva ragione. Le sue priorità, già nel 2020, erano altre e se non altro avrebbe cercato di trovare un qualche accomodamento preventivo con il presidente russo Vladimir Putin. L’amministrazione Biden ha invece puntato sulla resistenza dell’Ucraina per indebolire Mosca e renderla inoffensiva per molti anni a venire.
Per garantire la sicurezza dell’Europa? Si direbbe proprio di no, l’Europa è solo servita ad aiutare gli Usa in questa strategia, volta ad eliminare una minaccia che unita a quella della Cina avrebbe messo a rischio l’egemonia americana nel mondo.
Anche dal punto di vista economico l’amministrazione Biden ha di fatto preso due piccioni con una fava: rimpiazzando le forniture energetiche che la Russia garantiva all’Europa e allo stesso tempo indebolendo economicamente la stessa Europa costretta a costi molto più alti dell’energia. Per un periodo Washington ha accarezzato anche l’idea di un regime change a Mosca, ma è stata un’illusione. Quanto la Russia soffra effettivamente la lunghezza non preventivata della guerra, economicamente e politicamente, lo vedremo nel tempo, ma di fatto questa strategia ha legato ancor più la Russia alla Cina in chiave anti-americana e si è rivelata una via senza uscita.
Trump ha imboccato un’altra strada, preferisce avere buoni rapporti con la Russia, e concentrarsi sulla Cina, e quindi ha fretta di chiudere la partita ucraina: uno Zelensky che non rinuncia alla guerra è perciò diventato un ostacolo. Il presidente ucraino ha capito troppo tardi che la musica era cambiata e dopo il clamoroso scontro a Washington ora sta facendo rapidamente retromarcia, anche perché si è reso conto che l’Europa senza gli Stati Uniti non è in grado di garantire nulla (a parte i proclami). Appunto, sono Mosca e Washington a decidere le sorti della guerra. Considerazione triste, perché alla fine la popolazione ucraina sta pagando molto caro un conflitto voluto e gestito da altri.
Legato a questo c’è un secondo aspetto: malgrado la retorica europea e ucraina sulla guerra «fino alla vittoria finale», era realisticamente impossibile pensare che la pur eroica resistenza ucraina avesse la possibilità di respingere i russi fino a ripristinare i confini ante-2014. L’unica possibilità di una sconfitta russa era – ed è - l’intervento diretto della Nato, che avrebbe significato la Terza guerra mondiale e comunque il rischio dell’uso del nucleare. Un rischio che lo stesso Biden (o chi per lui) non intendeva veramente correre. Alla fine, nei calcoli più realistici non si metteva tanto in dubbio la vittoria della Russia quanto il tempo e i costi umani, militari e politici che Putin avrebbe dovuto pagare per ottenerla. Zelensky è sempre stato ben cosciente della situazione e infatti ha più volte tentato di coinvolgere la Nato; e per questo nel duro confronto dello scorso 28 febbraio Trump lo ha accusato di «giocare con la Terza guerra mondiale».
Una terza verità riguarda l’inconsistenza dell’Europa, totalmente spiazzata e disunita davanti ai rapidi cambiamenti in corso. Prona alla politica dell’amministrazione Biden fino all’autolesionismo – dimenticando che gli interessi europei non coincidono con quelli degli Stati Uniti -, continua contro Trump a fantasticare di una «vittoria totale» ucraina per cui bisognerebbe continuare a lottare.
La chiamata alle armi scattata dopo l’annunciato disimpegno americano ha messo ancora più in rilievo l’inadeguatezza dei leader europei, incapaci di leggere la realtà: piani di pace alternativi annunciati da uno e smentiti dall’altro, il presidente francese Macron e il premier britannico Starmer che si contendono la leadership continentale a suon di proclami, uno contraddetto dall’altro. E tutti e due alla fine ridicolizzati dalla retromarcia di Zelensky che preferisce tornare pentito da Trump piuttosto che confidare in queste mezze figure.
Con il discorso di ieri sera alla nazione francese, in cui si erge a massimo difensore dell’Europa contro il probabile attacco o invasione russa, Macron ha certamente pensato di essersi guadagnato un posto nella storia, ma è più probabile che verrà ricordato come il più grande bluff europeo, l’ennesima sparata di un leader che ha sempre meno credibilità nel suo stesso Paese.
C’è una quarta verità che va infine guardata in faccia: la divisione del mondo in buoni e cattivi, la retorica delle democrazie occidentali che combattono contro l’autoritarismo e la dittatura; e – al contrario – la Russia dei valori tradizionali e cristiani contro la corruzione dell’Occidente sono argomenti che servono a compattare l’opinione pubblica attorno alle decisioni dei loro governanti o per portare divisione nel campo avverso; ma non costituiscono le vere ragioni del conflitto. In altre parole, è propaganda. Le democrazie occidentali non hanno mai avuto remore a stringere alleanze con delle dittature, laddove è conveniente (vedi l’Arabia Saudita); così il “cristiano” Putin non si fa scrupoli nello sterminare altri cristiani, peraltro ortodossi come lui.
La realtà è che ogni Paese, e le grandi potenze a maggior ragione, si muove in base a interessi nazionali – politici, economici o anche ideologici – che difende a ogni costo e contro chiunque. Sono questi interessi che vanno compresi e affrontati. La pace – per quello che può essere concepita dagli uomini – passa dalla composizione di questi interessi, come è avvenuto nell’Europa occidentale dopo la Seconda guerra mondiale. In questo senso la “pace giusta” non è una pace ideale in cui si ripristina un presunto ordine primitivo – ogni Stato oggi è l’esito di tanti cambiamenti di confine avvenuti nei secoli – ma la pace possibile date le circostanze.
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