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LE CENERI

Quaresima, che sia una mortificazione

Nella Quaresima la Chiesa tira l’unica conseguenza etica della fede: che bisogna spalancare la vita al mistero di Cristo; bisogna che la vita non abbia altro fondamento del suo essere, del suo esistere, del suo muoversi se non la presenza di Cristo.

Editoriali 06_03_2019
Dante incontra Piccarda Donati (Paradiso canto Terzo)

Nella vita della Chiesa e nel cammino del cristiano quale è il senso della Quaresima? La Quaresima vive ogni giorno in profondità la certezza del Natale, cioè la certezza della Incarnazione del Signore, della sua permanenza nella storia, nel mistero della Chiesa e attraverso il mistero della Chiesa.

Nella Quaresima con tanto realismo e con tanta intelligenza umana la Chiesa tira l’unica conseguenza etica della fede: che bisogna spalancare la vita al mistero di Cristo; bisogna che la vita non abbia altro fondamento del suo essere, del suo esistere, del suo muoversi se non la presenza di Cristo.

«La vita cristiana è vivere guardando un altro», ci ricordava tanti anni fa monsignor Luigi Giussani. La vita del cristiano è la vita vissuta non guardando se stesso, non analizzando i propri interessi, le proprie dimensioni umane, non i propri progetti per quanto nobilissimi. La vita cristiana non è dell’uomo e per l’uomo, la vita cristiana è una vita che si accoglie come dono prezioso della presenza di Cristo che investe il nostro cuore, e - come ricordava spesso George Bernanos - occupa tutto il terreno del nostro cuore. Così che l’ethos cristiano è desiderare e pregare perché neanche un briciolo della nostra umanità, del nostro cuore non sia occupato dal Signore.

La Quaresima dà spazio al Signore che occupa la mia vita, chiede al Signore di occuparla sempre di più e questo detta la grande parola quaresimale: la mortificazione.
Non il desiderio di fare chissà che cosa per Dio, ma il desiderio che la vita non appartenga più a noi stessi, sia mortificata nella sua radice: noi dobbiamo riceverla ogni giorno da Lui come dono della sua grazia e sollecitazione della nostra libertà.

È dunque la Quaresima il momento della virtù. Della virtù cristiana per eccellenza che prosegue o in cui si esprime la mortificazione: l’obbedienza.
La vita nasce da Cristo, la riceviamo e noi la facciamo diventare nostra e la maturiamo soltanto se in ogni circostanza della vita noi obbediamo al Padre, cioè non affermiamo mai noi stessi, ma Lui che è venuto, è morto ed è risorto per noi.

È una parola grande la parola mortificazione, è una parola grande perché consegna la vita del cristiano a Colui che ce l’ha donata e che si aspetta che noi l’accettiamo, che Gli chiediamo di farci compagnia perché la vita si svolga secondo le grandi prospettive della fede.

Questa è la virtù cristiana per eccellenza. Questa è la virtù che nasce dalla mortificazione: l’obbedienza. Che la vita sia obbedire alla presenza e alla volontà di un altro. E questa presenza e questa volontà che esprimono la nostra grande libertà, la nostra responsabilità ha il volto dell’amore. Iacopone da Todi chiedeva al Signore la grazia e insieme la chiedeva per tutto il popolo cristiano: che potesse amare il Signore sopra ogni cosa. E aggiungeva: “E mai finissi”.

Questo dobbiamo desiderare in questa Quaresima. Che sia una mortificazione, cioè una consegna della nostra vita al Padre attraverso l’obbedienza, quella obbedienza che ci fa assumere la volontà di Dio come nostra secondo l’indimenticabile e insuperabile suggerimento di una giovanissima donna cristiana del medioevo, Piccarda Donati: «Nella sua voluntade è nostra pace».

*Arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio