Quanti paradossi rendono critico un negoziato in Ucraina
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L'ammissione di Zelensky rende evidente che la guerra sta andando malissimo per l'Ucraina, ma la rigidità dell'Europa a favorire un negoziato, gli ulteriori aiuti militari a Kiev e la confusione sulle forze di interposizione rendono irrealizzabile qualsiasi trattativa.
Nei recenti sviluppi del conflitto in Ucraina vi sono almeno tre elementi di corto circuito che rendono il dibattito in corso in Europa non solo sterile ma anche paradossale se non fuorviante. Inoltre, i tre aspetti al centro del di battito sembrano svilupparsi in modo del tutto avulso dall’unica cosa concreta che dovrebbe avere un senso considerare in un conflitto e cioè l’andamento delle operazioni sul campo di battaglia.
Giornali, TV e persino agenzie di stampa in Italia e in molte altre nazioni occidentali ne parlano poco e malvolentieri, ma la guerra per gli ucraini sta andando malissimo. Tutti i principali capisaldi in Donbass sono ormai per la maggior parte della loro estensione in mano russa (Chasov Uar, Toretsk, Kurakhovo) mentre i soldati di Mosca sono giunti alla periferia di Pokrovsk, settore in cui Kiev ha rimosso il comandante perché incapace di fermare il nemico. Tra le fila ucraine si moltiplicano le diserzioni e al fronte giungono sempre più spesso reclute prive di addestramento come riferiscono le stesse fonti ucraine.
Insomma, si stanno concretizzando gli scenari militari da oltre due anni previsti da alcuni osservatori, definiti sbrigativamente filorussi o putiniani da politici e media mainstream che ora si guardano bene dall’ammettere errori e arroganza. In questo contesto, il primo aspetto critico è legato alle iniziative di Trump e Orban per giungere a un negoziato di pace una volta cambiato l’inquilino della Casa Bianca continuano ad essere ostacolate dai tentativi di escalation militare provocati dall’Amministrazione Biden. L’ultimo in ordine di tempo ha visto il bombardamento con missili balistici ATACMS di una raffineria a Rostov a cui Mosca ha risposto colpendo il quartier generale dei servizi segreti a Kiev.
Che un negoziato sia inevitabile se si vuole evitare il tracollo dell’Ucraina lo ha intuito anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che sembra ne abbia parlato con Trump mentre Orban, ormai l’unico statista europeo in grado di esprimere posizioni autonome dagli Stati Uniti, lavora a una tregua di Natale con consistente scambio di prigionieri che possa fungere da facilitatore per colloqui più ampi, ma che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sembra intenzionato ad ostacolare.
Putin si dice disposto a discutere con Trump ma da qui a un mese, quando il nuovo presidente si insedierà alla Casa Bianca, molte cose potrebbero cambiare. Zelensky del resto continua ad apparire confuso. Il 18 dicembre ha affermato a Le Parisien che «de facto, Donbass e Crimea sono oggi controllati dai russi. Non abbiamo la forza di riconquistarli. Possiamo contare solo sulla pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin al tavolo dei negoziati».
Sembrava una svolta realista ma ieri invece ha sostenuto che l’Ucraina deve rafforzarsi nel 2025 per negoziare da una posizione di forza più tardi. Obiettivo ardito per una nazione che ha perso l’80 per cento della produzione energetica dove gli uomini si nascondono per non farsi arruolare.
Imbarazzante la posizione espressa dall’Unione Europea. «Qualsiasi spinta a negoziare presto è un cattivo affare per l'Ucraina», ha dichiarato l'Alta Rappresentante Kaja Kalla seguita dal presidente Ursula von der Leyen per la quale «sostenere Kiev in questo momento non è solo un obbligo morale. È anche un imperativo strategico. Il mondo ci guarda. I nostri amici, e ancor più i nostri nemici, osserveranno attentamente il modo in cui manteniamo il nostro sostegno all'Ucraina. Deve essere ferreo».
Alla Kallas andrebbe ricordato che non è presto per negoziare poiché gli ucraini perdono terreno fin dal novembre 2023, cioè da quando si concluse in una disfatta la loro fallimentare controffensiva. Più si attende e meno interesse i russi avranno a negoziare con un nemico in rotta. Alla von der Leyen invece sembra sfuggire che l’unico “ferreo aiuto” che può oggi aiutare l’Ucraina, impedendone forse il tracollo militare, è l’invio di 200 mila soldati europei sui fronti del Donbass. Qualcuno è disposto a metterli in campo?
Il secondo aspetto critico riguarda le continue richieste di armi che Zelensky ha rinnovato ieri chiedendo altre 19 batterie missilistiche da difesa aerea che nessuno in Europa e forse anche negli USA è in grado di fornire.
Peraltro Washington sta per varare l’ultimo pacchetto di aiuti dell’Amministrazione Biden (Trump per ora non ha mai parlato di aiuti militari a Kiev) per un valore di 1,2 miliardi di dollari in missili antiaerei e proiettili d’artiglieria mentre la richiesta di Zelensky sembrerebbe indicare che la gran parte delle difese aeree fornite finora all’Ucraina sono state distrutte dagli attacchi russi.
Dopo aver ricevuto finora da Europa e Stati Uniti 310 miliardi di euro di aiuti (dato reso noto ieri da Viktor Orban) senza conseguire nessun successo rilevante, Zelensky chiede ancora più armi mentre dal suo esercito disertano i militari arruolati a forza e i giovani che non vogliono farsi arruolare fuggono verso l’Europa come ha registrato anche l’ultimo rapporto di Frontex.
Il terzo elemento paradossale è il dibattito sull’invio di “truppe di pace” europee per presidiare una eventuale zona neutra che potrebbe separare i territori controllati da Kiev da quelli ceduti alla Russia. Una sorta di forza d’interposizione a cui alcune nazioni europee hanno già detto di essere pronte ad aderire anche se ieri Zelensky ha ammesso che «non ci sono decisioni» sull'eventuale invio di truppe in Ucraina con funzioni di peacekeeping. «Non posso discutere i dettagli pubblicamente», ma «c'è qualche volontà politica».
Del resto se non esiste un negoziato e non ci sono trattative, parlare di forze d’interposizione è certo prematuro ma in ogni caso dovrebbe apparire evidente che tali contingenti militari dovranno appartenere a nazioni neutrali, che non si sono schierate con Mosca né con Kiev, che non hanno imposto sanzioni alla Russia né armato l’Ucraina.
Come appare ovvio, di certo non potranno essere italiani, francesi o tedeschi come neppure bielorussi. Più facile possa trattarsi di militari turchi o ungheresi anche se una delle condizioni poste da Putin per negoziare è l’assenza di militari e armi della NATO dal territorio ucraino.