Quante cose Cingolani imparerebbe dalle guerre puniche
Il limite culturale del ministro Cingolani che snobba lo studio delle guerre puniche per una utopistica tecnica digitale. Sapere umanistico e tecnica non sono paragonabili, esaltare il digitale come conoscenza predominante su tutto il resto è ideologia che divide tra un prima e un post rivoluzione digitale. Se il ministro avesse una formazione globale e non settoriale avrebbe imparato con profitto tanta tecnica anche dalle guerre puniche. Di come ad esempio i Romani sconfissero i Cartaginesi senza conoscenze marittime.
Secondo il ministro della transizione digitale, a scuola ci vuole più tecnica: “A che serve studiare 3 o 4 volte le Guerre puniche?”. Forse servirebbe a farle imparare anche a lui, che pure ha un curriculum scolastico-accademico elevatissimo (professore di Fisica), dato che sembra non aver saputo cogliere l’attualità di tanti elementi che pure nella vita lo avrebbero aiutato.
La contrapposizione tra sapere umanistico e tecnico è uno dei cascami della scuola post-sessantottina, ma è una falsa contrapposizione. Si utilizza l’espressione tecnico in luogo di scientifico, ma la Scienza è ontologicamente più vasta della tecnica, dato che è un sapere, mentre la tecnica è solo un approccio e non un sapere: si impara, si applica ovunque e poi si supera col progresso. Prendiamo la tecnica fosbury per saltare in alto – tanto per non prenderci troppo sul serio -. Ve lo immaginate Tamberi saltare oggi a pancia in giù? Questo per dire che la tecnica è sempre destinata ad essere superata. Invece per la scienza si deve partire da un sapere umanistico di base, a patto che Cingolani non voglia negare, ad esempio, di non aver mai avuto bisogno nei suoi studi di Fisica del principio di non contraddizione elaborato dai filosofi come Parmenide e Aristotele.
Il fatto è che a causa di una forma mentis piuttosto limitata a cui non è estraneo neppure un ministro della Repubblica come Cingolani con esperienze di lavoro persino in Ferrari, si pensa che il sapere filosofico, letterario, storico siano diversi da quello scientifico e matematico perché si guarda solo alle sue applicazioni immediate. All’uomo d’oggi basta la tecnica. Ma la tecnica, per essere tale deve essere stata costruita attraverso un sapere. L’uomo medievale invece, nella sua infinita saggezza sapeva armonizzare le arti del Quadrivio, scientifiche, con quelle del Trivio, prettamente umanistiche.
Cingolani si incarta proprio qui, quando magnifica, utilizzando parole inglesi incomprensibili, il digitale su tutto il resto e il mito del digital manager. Per lui il mondo del sapere si divide tra un pre e post rivoluzione digitale. La sua è una visione ideologica. Da qui lo scivolone sulle guerre puniche che secondo lui vengono studiate troppo a scuola a scapito della tecnica. Perché a suo avviso lo studio della storia è solo un passatismo fine a sé stesso?
Perché Cingolani non riconosce che c’è, in realtà, solo una differenza di approccio. Dire ai ragazzi che c’è bisogno di tecnica è un inganno è una violenza, perché gli si dice sostanzialmente di non studiare, la vita darà a loro le istruzioni per cavarsela. Come un manuale di costruzione da seguire passo passo. Visione miope e cinese della conoscenza. Dalla quale non nascono però né le Pietà di Michelangelo né le Ferrari Scaglietti. Le quali possono essere disegnate anche da un archietetto che si è formato in un Istituto tecnico, a patto che nel corso del suoi studi abbia appreso la sostanziale differenza tra creare e eseguire.
Per aiutare i figli nella scelta della scuola superiore, bisognerebbe spiegare loro che potranno studiare giurisprudenza o medicina o ingegneria o economia sia frequentando un liceo, sia un istituto tecnico. Ma è l’approccio che muterà: prettamente tecnico nel secondo caso e umanistico nel primo. Prendiamo il diritto: al Liceo, studiando Cicerone e Quintiliano si impara il “perché” del diritto, a Ragioneria si impara il “come” del diritto. La differenza si sentirà quando ci si iscriverà a Giurisprudenza, ma questo non significa che per diventare un bravo avvocato si debba per forza aver fatto il Classico né che per essere un eccellente commercialista, niente batta in preparazione Ragioneria.
Possiamo davvero accontentarci che le nuove generazioni studino solo il “come” delle cose e non anche il “perché”? Che puntino tutti sul digitale ignorando che la rivoluzione informatica è in realtà un mezzo e non un fine? No, eppure spesso nelle scuole, soprattutto le Medie, si tende a cadere in questo tranello: scegliere la scuola non in vista del tipo di formazione, ma in vista del tipo di lavoro che si andrà a fare senza riconoscere che quest’ultima è prerogativa dell’Università e non delle Superiori. È un errore, un’utopia in cui cade anche Cingolani: pretendere che le Superiori preparino lavoratori di mestieri del futuro che oggi neanche esistono.
Se Cingolani avesse un sapere globale e non settoriale, come invece purtroppo ha dimostrato di avere, forse non avrebbe detto quella frase sulle guerre puniche, perché avrebbe dovuto riconoscere che nelle tre guerre tra Roma e Cartagine c’è tanta tecnica quanto basta per carpirne l’utilità nel suo studio.
I romani erano scarsi marinai, la loro forza era sulla terraferma. I Cartaginesi invece, discendenti dei fenici erano abili commercianti e con le triremi ci sapevano fare. Che fare? Semplice: portare la guerra sulla terraferma e fare combattere i fanti. Ma come si può al largo delle Egadi dove si svolse la battaglia decisiva? Semplice: montando sulla prua delle navi il “corvo”, una passerella che agganciasse le navi nemiche e potesse far sbarcare a bordo tanti fanti quanti ne servivano per vincere la battaglia.
Ecco, Cingolani: i romani fecero questo non perché abili tecnici marinai, ma perché da ingegneri quali erano, utilizzarono la ragione e il sapere a loro disposizione per elaborare una tecnica soddisfacente allo scopo. Non hanno organizzato master di tecnica navale assoldando il miglior nostromo naval manager del momento per insegnare a fanti probabilmente nati sugli Appennini e che non avevano mai visto il mare a diventare marinai in poche ore.
Il sapere è questo e lo si esercita in quel complesso di conoscenze che solo una formazione completa può dare.
Quante cose avrebbe potuto imparare il professor Ministro Cingolani dalla lezione delle Medie e delle Superiori sulle guerre puniche. Cose che forse gli sarebbero state utili anche nel suo lavoro.
Si disse che Scipione l’Emiliano, al termine della III Guerra punica pianse nel vedere la città di Cartagine bruciare. Polibio ci racconta il perché. Come Cartagine, che un tempo era stata fiorente nei commerci e temuta in guerra, stava crollando sotto il peso schiacciante di una nuova potenza, quella romana, così anche Roma, un giorno sarebbe caduta, saccheggiata e bruciata e avrebbe dovuto cedere il potere a qualcun altro. Nessun tecnico energetico gli aveva mai parlato dei Vandali e degli Eruli, ma già li prefigurava perché era un uomo del suo tempo, pratico e sapiente al tempo stesso.
Allo stesso modo, un giorno – speriamo presto – anche il governo dei migliori di cui Cingolani fa parte, dovrà cedere il passo e cadere sotto i colpi di un nuovo potere e venire superato dal corso della storia. Anche noi, come Scipione, quel giorno piangeremo. Ma di gioia.