Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
EDITORIALE

Quanta ipocrisia nei critici di Alda

Molti di quelli che hanno criticato la D'Eusanio per «l'insulto» a Max Tresoldi in diretta tv, pensano, esattamente come lei, che ci siano vite non degne.
- Max, sempre stato vivo, di Marianna Ninni

Editoriali 09_11_2013
Alda D Eusanio

Alda la Bella era la moglie del paladino Orlando; quella di cui ci occupiamo qui è un’altra Alda, non sappiamo se altrettanto bella. Si tratta di Alda D’Eusanio, ex presentatrice Rai e ospite del contenitore pomeridiano «La vita in diretta» lunedì 4 novembre u.s.. Un titolo del genere dovrebbe parlare, appunto, della vita, vita in tutte le sue sfaccettature, certo, ma sempre vita, e non morte. Ora, è accaduto che nella puntata in questione si doveva dire del giovane Max Tresoldi, risvegliatosi dal coma dopo dieci anni. Max è adesso in riabilitazione, lunga e complicata dopo dieci anni di immobilità assoluta e qualche danno cerebrale.

Amorevolmente assistito dalla madre, che con coraggio e ostinazione non ha mai voluto staccare la spina al figlio e, peggio, farlo espiantare (il suo cuore di mamma le diceva che suo figlio era vivo, vivissimo), Max stesso ha dichiarato, pur tra le difficoltà di farsi capire, di essere felice della riemersione, di amare la vita, di amarla, anzi, più di prima. Alla trasmissione era stato invitato –in collegamento- lui, in carrozzina, e sua madre. Perché c’era anche la D’Eusanio? Perché anche lei aveva avuto un grave incidente stradale e un’esperienza di coma, certo non pesante come quella di Max (infatti, l’ex presentatrice sta benissimo e non ha alcun postumo), ma il copione televisivo prevede sempre il “dibbattito”, sennò lo spettacolo va a farsi benedire.

Solo che, a un certo punto, l’Alda se ne è uscita con la seguente esclamazione: «Rivolgo un appello pubblico a mia madre, se dovesse accadermi quel che è accaduto a Max, non fare come sua mamma! Quella non è vita. Tornare in vita senza poter più essere libero, indipendente e soffrire, e avere quello sguardo vuoto... mi dispiace, no!». Naturalmente, i Tresoldi ci sono rimasti di stucco. I conduttori Paola Perego e Franco Di Mare hanno subito percepito che quello era un insulto bello e buono, perché era come dire sul muso a Max che ormai era un mostro e che era meglio che ci fosse rimasto secco. Così, hanno deciso su due piedi di modificare i tempi della scaletta e dare qualche secondo di replica a Lucrezia, madre di Max. La quale, offesa, ha ribadito che suo figlio era sempre stato vivo, sempre. Max, che aveva perfettamente capito le parole dell’Alda, era entrato in agitazione e c’erano voluti poi i medici per calmarlo.

La dirigenza Rai, non sapendo più come scusarsi, ha dopo pochi giorni reinvitato Lucrezia nella stessa trasmissione e qui la donna ha letto un brano del libro che ha scritto insieme al figlio: Max ribadisce che lui è arcicontento di essere vivo perché la vita è bella anche se, per il momento almeno, non può ballare o partecipare a un concorso ippico; meglio handicappato e vivo che morto.

Da tutta questa triste vicenda si cavano due riflessioni. La prima riguarda la D’Eusanio. Come tutti i sostenitori dell’eutanasia è con ogni evidenza atea. Infatti, crede che dopo la vita non ci sia niente. Solo il nulla, l’oblio, l’assenza di sofferenza. Lei e quelli come lei hanno un preciso concetto di vita-degna-di-essere-vissuta: poter andare in discoteca, guidare l’auto, passeggiare per vetrine, usare la playstation e via godendo. Poco importa se una vita «normale» comporta anche, per tutti, malattie, ricoveri, problemi sul lavoro, code agli sportelli, litigi, ansie continue da imprevisto, lotta per il posto al sole o la semplice sopravvivenza, vecchiaia (e i vecchi in salute sono uno su diecimila).

Anche se il loro concetto di «vita» non lo sputano in faccia ai meno fortunati, come nel caso della D’Eusanio, è chiaro che lo pensano. E, anche politicamente, costoro sono nella condizione di imporlo a quelli che, essendo in coma, non possono gridare la loro voglia di vita. La seconda riflessione è questa: i «tempi» televisivi e le «esigenze» dello show. Sono stato di recente invitato nel contenitore «UnoMattina». Ho potuto parlare solo due minuti per ogni domanda del conduttore, e le domande sono state due. Dovendo rispondere a bruciapelo, ho detto ogni volta la prima cosa che mi veniva in mente. Risultato, un dialogo tra sordi a cui lo stesso conduttore non ha fatto caso, preso com’era dal «palinsesto» e dalla tirannia dei «tempi».

Così, con un «bene, ringraziamo il nostro ospite; adesso parliamo di…», tutto è finito e mi sono ritrovato fuori. Pubblicità. The show must go on. In fondo, Max Tresoldi e sua madre sono stati più fortunati, perché è stato loro concesso diritto di replica in piena RaiUno. Certo, il loro caso era veramente da indignazione nazionale, ma anche la loro replica, per le solite esigenze di copione, era ristretta entro tempi televisivi striminziti. E meno male che non hanno dovuto sopportare il «dibbattito». Quando non c’era l’elettronica e la televisione l’uomo viveva meglio, questo è fuor di dubbio anche se si tratta di un’affermazione impopolare.

Ma c’è da chiedersi seriamente a che serva la diretta per certi programmi, nei quali è già tanto se non finisce in rissa e insulti. La diretta va bene per lo sport, la usino solo per quello.

Un’ultima notazione: quella dell’Alda pare proprio una «voce da sen fuggita». Infatti, se voleva far sapere a sua madre che non intendeva finire sulla carrozzina come Max non c’era bisogno di rivolgerle un «pubblico appello» in diretta. Proclamandolo coram populo non ha fatto altro che il megafono di tutti quelli che la pensano come lei. E sono tanti. Tanti e in possesso di visibilità mediatica e politica. Pochi, certo, rispetto alla massa della gente comune, rappresentata da Max e Lucrezia Tresoldi che amano la vita comunque essa sia.

Ma la dittatura delle minoranze accanite e ideologizzate non è una novità, visto che ormai da secoli riescono a imporre a tutti le loro idee. Perciò l’unanime esecrazione per le parole della D’Eusanio suona un po’ ipocrita, dal momento che tra gli indignados figurano anche personaggi che come lei la vedono. Quel che li ha scandalizzati, dunque, è l’offesa in diretta, non il principio. Staccare la spina a uno in coma che potrebbe più utilmente donare i suoi organi a un altro in grado di condurre una vita «degna» è cosa da farsi nel silenzio ovattato delle cliniche, lontano dagli occhi dei farisei e dei loro scribi. E che diamine, c’è modo e modo.

Casca a fagiolo la vecchia barzelletta postbellica sul camion nazista che investe il carro delle galline di un contadino italiano. Quest’ultimo perde le gambe e gli animali non stanno meglio. Il comandante tedesco estrae la pistola e, commosso, dice: «Ach! Io non potere vedere bestiole soffrire!». E fa fuori le galline. Poi si rivolge al contadino ormai monco e gli chiede come sta. E quello, trascinandosi lontano sulle mani: «Io? Benissimo, benissimo!».