Quando Papa e vescovi devono "immischiarsi"
Date le discussioni seguite alla conferenza stampa di Papa Francesco di ritorno dal Messico, proviamo ad esaminare il tema di quando si possa dire che il Papa o i vescovi si “immischiano” nella politica di un Paese e quando no. I Pastori sono tenuti a discernere correttamente davanti a questioni di fede e di morale.
Date le discussioni seguite alla conferenza stampa di Papa Francesco di ritorno dal Messico, proviamo ad esaminare il tema di quando si possa dire che il Papa o i Vescovi si immischiano nella politica di un Paese e quando no.
Come si sa, i Pastori sono tenuti a insegnare, per aiutare i fedeli prima di tutto e poi tutti gli uomini che cerchino la verità, a discernere correttamente davanti a questioni di fede e di morale. Perché anche di morale? Non solo perché dalla fede deriva anche una morale (il cristianesimo non è un’etica ma una religione, che però contiene anche un’etica), ma anche perché la Chiesa custodisce la legge morale naturale, la difende anche in pubblico e la promuove. Per questo, quando in un Paese si discute, sia in Parlamento che nella società civile, di aspetti fondamentali delle relazioni umane, aventi per ciò una rilevanza sia di morale che di fede, i Pastori non solo possono ma devono parlare.
In questi casi i Pastori insegnano la dottrina e non si immischiano in politica. Se, poniamo, i vescovi italiani fossero intervenuti pubblicamente per chiedere ad Angelino Alfano e ai suoi di mettere in crisi il governo per bloccare così il disegno di legge Cirinnà, allora si potrebbe a buon diritto parlare di ingerenza indebita. Ma se i Pastori ribadiscono la dottrina della fede cattolica e della morale naturale e, su queste basi, mettono in guardia gli uomini dagli esiti negativi che potrebbero derivare dalla sua negazione, non si immischiano affatto, anzi fanno il loro dovere. Lo stesso mondo laico e la stessa politica dovrebbero richiedere questo comportamento, anziché vituperarlo, perché senza di ciò non c’è presenza pubblica della Chiesa e la presenza pubblica della Chiesa è una ricchezza anche dal punto di vista autenticamente laico.
Ma deve intervenire il Papa o devono farlo le Conferenze episcopali? La responsabilità di insegnare è sia del Papa che dei vescovi. È vero che tanti insegnamenti in alcune materie sono già stati dati, ma questo non esime dal riaffermarli per renderli sempre presenti alle coscienze degli uomini. Non possono essere mai dati per scontati o acquisiti. L’insegnamento è un processo continuo.
Ogni legge che riguarda intimamente la dignità umana, come quelle relative ai punti fondamentali della legge morale naturale e divina, ha un significato universale, anche se in un certo momento essa viene discussa ed approvata in un certo Paese. Se il Papa ribadisce la verità sul quel tema, quindi, non scade a politicante di un contesto nazionale, ma rimane al suo livello di Pastore universale. Ogni ferita alla dignità umana è una ferità all’umanità intera e, quindi, un’offesa a Dio. Del resto, ogni singola ferita è sempre situata in un Paese e in un contesto e se il Papa fosse impedito a parlarne per non “immischiarsi” finirebbe per non insegnare più.
Di leggi decisamente offensive della dignità della persona devono occuparsi le Conferenze episcopali? Io direi: dovrebbero occuparsene i vescovi, nel loro ruolo di pastori. In che modo? Non entrando nel merito delle questioni tecniche del dettato della legge o, meno ancora, di quelle politiche di rapporti di forza o tattiche di schieramento, ma semplicemente insegnando la dottrina. I passi concreti li faranno i laici, ma all’insegnamento i Vescovi non possono sottrarsi.
Ma come singoli vescovi o come Conferenze episcopali? In occasione del disegno di legge Cirinnà abbiamo letto diversi documenti di Conferenze episcopali regionali e nessun documento della CEI. Le unioni civili omosessuali non erano un problema “regionale” ma nazionale (anzi, universale, come si diceva) però è accaduta la stranezza che il piano consono alla dimensione del problema, quello nazionale, non si è pronunciato, mentre si sono pronunciati piani non consoni al problema, come appunto quelli regionali. Inoltre le dichiarazioni delle Conferenze episcopali regionali erano tra loro molto diverse, e qualcuna non rispettava completamente l’insegnamento precedente senza spiegarne il perché. Forse è il caso di affrontare seriamente l’utilità di questi interventi: servono alla Chiesa e sono utili per orientare i fedeli? Inibiscono l’iniziativa magisteriale dei singoli vescovi? Dichiarazioni episcopali diverse tra loro non finiscono per confondere? E poi, queste dichiarazioni, che spesso devono mediare tra i diversi orientamenti dei singoli vescovi, non rischiano di non dire nulla?
Un altro motivo per cui si può sostenere che né il Papa né i Vescovi devono intervenire su questioni politiche è che a questo deve pensare la “coscienza formata” dei fedeli. Però è possibile una coscienza “formata” dei fedeli che non tenga conto degli insegnamenti del magistero? E se questi insegnamenti non vengono dati, come può il fedele crearsi una “coscienza formata”? E se vengono dati insegnamenti diversi da quelli dati fino a ieri, come è possibile che la coscienza si formi in modo autenticamente maturo? Tutti sanno che la formazione ha bisogno di continuità. Nel confronto con messaggi discontinui, la coscienza non può formarsi.
L’esercizio dell’autorità nella Chiesa ha per la coscienza del fedele un effetto “anamnesico”. L’anamnesi consiste nel ripercorrere il nostro passato, nell’inoltrarci dentro le nostre profondità per riscoprire e mantenere vivo tutto lo spessore di verità che ci costituisce. Quando i Pastori ci insegnano e reinsegnano la verità non si sovrappongono, soffocandola, alla nostra coscienza, ma la invitano a scendere dentro se stessa in profondità. Questa è una “coscienza ben formata”: ad essa i Pastori ricordano le verità di sempre, quelle che essa ha già conosciuto e che porta da sempre dentro di sé, ma che ha dimenticato o che è stata indotta a dimenticare. Così facendo, i pastori non si sostituiscono alla “coscienza ben formata” e non si “immischiano” in politica, ma svolgono il loro compito di aiutare le menti a fare luce sulla propria verità.