Quando Marx (il cardinale) criticava Marx
Bisogna tornare a rileggere Marx, autore di pagine piene di saggezza. Ovviamente il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e di Frisinga. Non fu sempre generoso con il suo omonimo. Nel 2008, giocando sul proprio cognome pubblicò Il capitale. Una critica cristiana alle ragioni del mercato.
Bisogna tornare a rileggere Marx, autore di pagine piene di saggezza. Ovviamente il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e di Frisinga: il cardinale Marx che nel 2008, giocando sul proprio cognome (tra il 2001 e il 2007 è stato pure vescovo di Treviri, la città dove nacque Karl Marx [1818-1883]), pubblicò un volume intitolato Das Kapital. Ein Plädoyer für den Menschen, tradotto in italiano come Il capitale. Una critica cristiana alle ragioni del mercato (Rizzoli, Milano 2009). Oggi il cardinale Marx afferma che senza l’altro Marx, il fondatore del comunismo, non ci sarebbe Dottrina sociale della Chiesa Cattolica, che Marx fu uno dei primi scienziati sociali seri e che il marxismo porta un “correttivo” indispensabile al capitalismo. Stefano Fontana ha mostrato l’inconsistenza di queste affermazioni, ma il primo a esserne convinto è proprio lo stesso cardinale Marx, che in quel suo mirabile libro del 2008 (2009 in italiano) scrive cose ben diverse, se non addirittura opposte.
Nel libro, il porporato mette sagacemente per esempio in guardia contro le caricature riduttivistiche (per lo più marxiste o marxisteggianti anche senza saperlo) del capitalismo, quelle che lo presentano come somma di “spietatezze”, invitando a fare ciò che dovrebbe stare alla base di ogni critica intelligente del mercato: leggere gli scritti economici di Adam Smith (1723-1790), che del pensiero capitalista moderno è uno dei padri riconosciuti, in funzione dei suoi scritti morali e non il contrario. Fare infatti il contrario (o non sapere nemmeno che Smith fu anzitutto un filosofo morale, docente nell’Università di Glasgow) finisce per ignorarne l’intento di «[...] creare un’economia che soddisfacesse le esigenze di efficienza dei tempi nuovi ma rispondesse nel contempo a un principio etico di responsabilità» (p. 70), producendo una immagine «[...] a prima vista immorale» (p. 71) ma distorta del suo pensiero.
Quindi, a proposito di Dottrina sociale della Chiesa, nel libro il cardinal Marx afferma che «[...] per l’intero Medioevo la Chiesa fu l’unica istituzione pubblica sensibile all’assistenza ai poveri e agli ammalati. Accanto alle chiese episcopali e ai conventi furono fondati ospedali e alloggi; interi ordini religiosi si dedicarono alla cura di poveri, orfani, anziani, pellegrini, ammalati e derelitti. La Chiesa non si limitò ad approntare e mantenere queste organizzazioni caritative, ma cercò anche di ottenere un reale miglioramento delle condizioni di vita degli indigenti» (p. 150). Dunque il pensiero cattolico - e la civiltà cattolica - ha avuto nell’affermazione e nella difesa dei «[...] diritti sociali fondamentali [...] un ruolo di precursore. In questo campo il liberalismo, nel corso della storia, arrancò zoppicante alle sue spalle» (pp. 152-153).
Quanto a Karl Marx e al marxismo, il cardinale nel libro sottolinea: «Con la Rivoluzione d’ottobre del 1917 su milioni di persone calò una notte che durò decenni. Una simile esperienza non si deve ripetere» (p. 233), aggiungendo che il principio di solidarietà della Dottrina sociale della Chiesa Cattolica è cosa ben diversa dalla «solidarietà di classe» (p. 285) interproletaria marxista. «Per questo non è dipeso da un tragico incidente della storia», scrive, «se nei Paesi del socialismo reale, ovvero nei Paesi comunisti, le condizioni effettive di oppressione politica ed economica hanno dato un significato perverso al concetto di solidarietà: si trattava di uno sviluppo intrinseco all’ideologia marxista» (ibidem). Pertanto, se tornasse «una rinnovata adesione ai falsi ideali di Karl Marx e dei suoi epigoni […] non c’è bisogno di dirlo, questo sarebbe tremendo» (p. 302).
Infatti, la giustizia sociale, intesa nel senso moderno e contemporaneo, nasce - spiega il cardinale nel libro - con un gigante del pensiero cattolico anti-socialista e anti-liberale, un vero campione dell’“anti-Risorgimento”, il padre gesuita torinese Luigi Taparelli d’Azeglio (1793-1862), autore almeno del monumentale Saggio teoretico di dritto naturale appoggiato sul fatto, pubblicato a Palermo in cinque volumi tra il 1840 e il 1843, e studiato persino da alcuni conservatori statunitensi, che in Il capitale. Una critica cristiana alle ragioni del mercato il porporato tedesco definisce «[...] il più importante precursore della dottrina sociale della Chiesa» (p. 152). Perché da Taparelli d’Azeglio si origina lo slancio che porta alle grandi encicliche sociali (Papa Leone XIII [1810-1903], sottolinea il cardinale Marx, ebbe, seppure brevemente, Taparelli d’Azeglio come insegnante, cfr. ibidem), al pensiero e nell’azione di un vescovo come il tedesco Wilhelm Emmanuel von Ketteler (1811-1877) - di cui lo stesso cardinale Marx è attento studioso e di cui Karl Marx era fiero avversario - fino al cardinale pure tedesco Joseph Höffner (1906-1987) e alla scuola economica del cosiddetto “ordoliberalismo” - in cui abbondano i cattolici -, nato per difendere l’economia di mercato dalle critiche marxiste, privilegiando l’opzione per i poveri. Una scuola - rileva il cardinale nel libro - che ha influito sul “miracolo” economico tedesco del secondo dopoguerra, che ha influenza il magistero sociale di Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005), il quale «[...] fu molto vicino a questa corrente di pensiero» (p. 94), e che significativamente dialogò con «[...] uno dei più importanti pensatori liberali del secolo scorso» (p. 52), Friedrich August von Hayek (1899-1992), Premio Nobel nel 1974 ed emblema tra i più famosi della Scuola austriaca di economia. Hayek, «[...] noto agnostico che tuttavia non ha mai abbandonato la Chiesa» (p. 53), viene sovente e malamente descritto come un estremista del mercato senza regole quando in realtà diceva che «[...] la libertà senza principi morali non ha mai funzionato» (ibidem).
Ancora, nel libro il cardinal Marx rifiuta correttamente l’idea secondo cui la Dottrina sociale della Chiesa Cattolica sarebbe una “terza via” fra capitalismo e socialismo, e questo perché - illustra - tutto dipende da come si definisce il capitalismo. Il suo punto di riferimento è qui l’enciclica Centesimus annus, promulgata da san Giovanni Paolo II nel 1991. Quindi - scrive e ripete il porporato in tutto il libro - sul diritto alla proprietà privata, anche dei mezzi di produzione, tra Karl Marx e l’economia di mercato, la Chiesa preferire la seconda, dicendosi egli personalmente, persino in tempi di crisi, «[...] a favore dei mercati aperti, anche in ambito finanziario» (p. 232). Il rilievo principe del cardinale è insomma che la libertà economica non solo non funziona se disgiunta dalla morale, ma senza di essa addirittura non può esistere, e questo è, precipuamente, il contributo che nei secoli la cultura cattolica ha dato al problema. E il punto è così nodale e vero che, cattolici o non cattolici (ma in realtà spesso cattolici o comunque filocattolici), l’inscindibilità fra economia e morale è il fulcro del pensiero dei più adamantini difensori del sistema di libertà del mercato che chiamiamo “capitalismo” (un’espressione che però si dovrebbe abbandonare, vista che nasce in ambito gauchiste e per disprezzo), addirittura fra i teorici del cosiddetto “anarco-capitalismo”: su tutti Murray N. Rothbard (1926-1995), che riscoprì le radici tomiste e prim’ancora francescane del capitalismo, criticando Adam Smith “da destra filo-cattolica”.
Un passo significativo nel libro del cardinal Marx spiega bene il concetto: quello in cui descrive la vita nelle fabbriche della Cina neopostcomunista come la situazione peggiore (era il 2008, ma quanto è cambiata?) poiché fusione di marxismo e meccanica di un capitalismo senza morale arruolato in un quadro statalista e collettivista. Gli operai iniziano alle 7,30 del mattino, con «[...] mezz’ora di tempo per mangiare e riposarci», come riferiva una cucitrice, e «[...] il giorno più bello era la domenica, quando dovevamo lavorare solo fino alle ventuno e trenta» giacché gli altri giorni si lavorava «[...] fino alle due o alle tre del mattino» (p. 256). Monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, dice invece che «in questo momento, quelli che realizzano meglio la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi». Forse non ha letto il libro del cardinal Marx, il libro che il cardinal Marx si è scordato di avere scritto.