Quando le parole del Papa si usano per dare la morte
Il giudice inglese che ha ordinato di staccare il ventilatore al piccolo Alfie si è fatto forte di un passaggio della lettera che il Papa ha scritto per il recente convegno in Vaticano sul fine vita. Un testo effettivamente ambiguo, ma si attende smentita dell'interpretazione data dai medici britannici.
Leggere che un giudice ha citato anche un documento del Papa per giustificare una sentenza di morte è qualcosa che sconcerta e addolora. Stiamo parlando della sentenza del giudice Anthony Hayden, che lo scorso 20 febbraio ha deciso che il ventilatore che tiene in vita il piccolo Alfie Evans deve essere staccato (clicca qui). Il documento in questione è invece la lettera che papa Francesco ha inviato a monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, in occasione di un convegno sul fine vita tenutosi in Vaticano lo scorso novembre (clicca qui per il testo della lettera).
Il giudice Hayden ha citato il passaggio in cui papa Francesco parla della sempre più «insidiosa (…) tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona»; e definisce «moralmente lecita» la rinuncia o la sospensione dell’applicazione di mezzi terapeutici «quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito “proporzionalità delle cure”».
Si deve anzitutto stigmatizzare l’uso strumentale che il giudice fa delle parole del Papa per dare una legittimazione etica alla sua decisione, anche in considerazione del fatto che i genitori di Alfie sono cattolici. In altre parole, ai genitori che non vogliono arrendersi davanti alla pretesa dei sanitari di Liverpool di far morire Alfie, il giudice dice: «Perché insistete? Anche il vostro Papa dice che in questi casi si deve staccare la spina». È un modo decisamente scorretto di intervenire - applicando indebitamente al caso in questione parole pronunciate dal Papa in altro contesto -, allo scopo di fiaccare la resistenza dei giovani genitori e far loro accettare la decisione dei medici.
Detto questo però, bisogna anche riconoscere che quel famoso messaggio inviato dal Papa ai partecipanti al Convegno in Vaticano, sul punto della definizione dell’accanimento terapeutico, è effettivamente problematico. Non per niente il giudice cita il passaggio che da subito la Nuova BQ aveva rilevato come fortemente ambiguo e, anzi, in alcune parti erroneo (clicca qui). Già allora qualcuno sostenne che il clamore suscitato da quel documento avesse spianato la strada alla legge italiana sulle Dat (Disposizioni anticipate di trattamento) che, di fatto, ha a sua volta aperto la strada all’eutanasia. Oggi infatti vediamo l’uso che se ne fa in un caso molto particolare come quello del piccolo Alfie.
Il tutto si situa poi in un contesto in cui anche i bioeticisti cattolici sono divisi. Lo abbiamo visto nei mesi scorsi a proposito del caso di Charlie Gard quando non pochi furono i medici cattolici a sostenere che mantenere in vita Charlie si configurasse come accanimento terapeutico. Anche qui dunque sarebbe doveroso un chiarimento per evitare un uso illecitamente ampio del concetto di accanimento terapeutico.
In ogni caso non può essere accettabile che un intervento del Papa venga usato in modo strumentale per supportare la scelta di un giudice civile. È perciò incomprensibile il silenzio osservato finora dalla Sala stampa vaticana, che in altre occasioni si è mostrata molto tempestiva. È un silenzio che scandalizza al punto che da ieri sta girando sui social un appello a papa Francesco «perché faccia sentire chiaramente la sua voce che per nessun bambino il migliore interesse è essere ucciso».
Il silenzio è tanto più grave in quanto accetta che il messaggio della Chiesa, invece che elevare un dibattito riportandolo alla sua verità originale sia svilito a strumento di contesa tra opposte fazioni.