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IL CASO

Quando i cattolici si danno la zappa sui piedi

Il flop inaudito nelle sale del film di Renzo Martinelli su Marco d’Aviano e l’assedio di Vienna del 1683 farà passare la voglia a qualunque regista di occuparsi di storia cattolica. Quali sono le cause? Insipienza e ignoranza, dei fedeli.

Cultura 24_05_2013
Martinelli

Il flop inaudito nelle sale del film di Renzo Martinelli su Marco d’Aviano e l’assedio di Vienna del 1683 farà passare la voglia a qualunque regista, anche il meglio intenzionato, di occuparsi di storia cattolica. Chi lo farà, dovrà per forza sollevare polemiche se vuole pubblicità. Dunque, dovrà mettere in scena lavori in cui i cattolici e la Chiesa fanno la parte dei cattivi, sperando che il Vaticano almeno protesti. Film onesti come 11 settembre 1683 o Cristiada non trovano alcun appoggio in casa cattolica.

Il popolo-bue cattolico semplicemente non sa nemmeno che esistono, e li fa fallire al botteghino. Complotti, retroscena, congiure antipapiste? No: insipienza e ignoranza. Dei cattolici. Infatti, non lo sanno ormai neanche i preti chi era Marco d’Aviano.
Quando fu beatificato questo cappuccino che salvò l’Europa, a un convegno nei suoi luoghi fui l’unico a ricordarne il ruolo politico, mentre i religiosi, teologi, preti e prelati presenti si dilungavano esclusivamente sulla di lui spiritualità, timorosi che parlare di storia avrebbe potuto urtare i «fratelli» musulmani. Silenzio, dunque.

Il beato Alberione fondò i Paolini proprio per la buona battaglia sulla stampa e nel cinema, mettendo addirittura mano personalmente al primo film a colori italiano, Mater Dei. E ancora nei primi anni Sessanta non c’era film che avesse speranza di riuscita se avesse trascurato il potente circuito delle sale parrocchiali.
Oggi, le pochissime parrocchie che hanno un cinema ci proiettano tutt’al più il cosiddetto film d’essai, che «fa discutere» e «suscita il dibattito», e pazienza se il devoto spettatore dovrà sorbirsi la solita scena erotica del tutto superflua, ma che i registi mettono lo stesso per la gioia della troupe. Così, l’aspirante regista cattolico è avvisato: faccia solo film su Francesco e Chiara (evitando giudiziosamente i miracoli), almeno andranno direttamente in dvd e qualche convento li comprerà.

Credete che negli altri settori vada meglio? Pensate alla fine che ha fatto un banchiere da messa quotidiana come Ettore Gotti Tedeschi, cacciato a pedate dallo Ior per beghe vaticane e al quale, come a segnale convenuto, tutte le porte ecclesiali si sono chiuse in faccia.
Ma torniamo alla cultura in senso più proprio. Sui media, i giornalisti cattolici si dividono in due categorie: quelli che lavorano per testate clericali e quelli che sono riusciti a farsi assumere in testate laiche. I primi non possono certo osare di contraddire chi paga loro lo stipendio, perciò sono fedelissimi alla «linea», qualunque essa sia. I secondi, si stimano fortunati ad avere un posto ambito, e solo a quello pensano (sì, certo, ci sono le eccezioni, ma sono in tutto due o al massimo tre), tenendo sempre presente il proverbio giapponese: «Al chiodo che sporge si picchia in testa».

Naturalmente, ad aiutare i fratelli nella fede a far carriera non ci pensano nemmeno, sia perché considerano precaria la loro, sia perché non sono certo massoni: questi ultimi, sì, che si spalleggiano l’un l’altro per infilare «fratelli» dovunque. Esiste anche, com’è noto, un «soccorso rosso», ma non uno «bianco» (eccezion fatta per i dossettiani, i quali non a caso occupano posti e cattedre che più prestigioso non si può, ma hanno nella Costituzione il loro Corano e sono «adulti», infatti militano nella sinistra laicista).

Sul versante dei libri la situazione è anche, se possibile, peggiore. La narrativa cattolica semplicemente non esiste, e non esiste perché nemmeno i cattolici la comprerebbero.
Esiste la saggistica, è vero, ma è una saggistica – mi si passi il termine – madonnara, oppure si tratta dell’ennesima riflessione-omelia di qualche prelato (il campione delle vendite italiane è ancora il defunto cardinale Martini). Parlo, naturalmente, dei libri che in classifica almeno ci vanno, anche se magari ci restano poco. Il resto, tutto il resto, è già tanto se copre le spese di edizione.

Voi mi direte, giustamente, che anch’io mi occupo ormai di Madonne. Il fatto è che gli editori non vogliono altro. E hanno ragione: se fate un giro nelle librerie «cattoliche» vedrete pile enormi di libri del cardinale Martini o sul nuovo Papa. Perché? Perché i cattolici comprano quelli, non altro. Dunque, l’editore investe su ciò che il mercato chiede.
Presentando in giro il mio libro su Medjugorje mi sono accorto che, nelle sale traboccanti, la gente voleva sentir parlare solo di miracoli del sole, guarigioni, conversioni clamorose. E basta. Il resto, semplicemente non interessa. Folle enormi vanno in Bosnia, vi si convertono, digiunano, pregano, ci portano i parenti e gli amici. Molti si trasformano in porta-gente a tempo pieno. Lodevolissimo. Ma che succede quando tutta questa gente scende dal Podbrdo? Dà luogo, lentamente, a una ricostruzione cristiana del mondo? No. Prega, digiuna, torna e ritorna a Medjugorje. Tutt’al più dà soldi e braccia all’ennesima casa di accoglienza per i drop-out della società contemporanea. Per il resto, ecco: adunate di preghiera, interminabili, con canti, rosari, messe, testimonianze.

Esattamente quel che i Padroni del Mondo vogliono dai cristiani: state in sacrestia a pregare, occupatevi dei «poveri» e non disturbate il Manovratore. E i cristiani, inquadrati dai loro pastori, eseguono. È vero, è un momentaccio per la Chiesa. Ma oggi, in Occidente, l’aggressione è culturale e amministrativa. Nell’Ottocento l’aggressione era, oltre che culturale e amministrativa, pure a mano armata e con tanto di cannoni a Porta Pia. Eppure, i cattolici di quel secolo reagivano non solo con la preghiera e i pellegrinaggi: fondavano banche, giornali, riviste, si costituivano in lobby per condizionare la politica. E senza trascurare i poveri e i drop-out.

Qual è la differenza tra allora e oggi? La differenza sta nel fatto che allora avevano alle spalle una Chiesa gerarchica compatta e fermissima nella dottrina, una Chiesa che non esitava un istante a espellere quei suoi membri che seminavano confusione. Naturalmente, l’espulso diventava un «martire del libero pensiero» e veniva portato sugli scudi dalla stampa laicista. Così come oggi. Ma il popolo cattolico era informato, e ufficialmente, che quello lì era passato al nemico.
Oggi la Chiesa gerarchica preferisce la misericordia, si dice, anche se permane l’impressione (per carità, solo un’impressione…) del “due pesi e due misure”.

Ma torniamo al nostro discorso sulla cultura cattolica. E al film di Martinelli. Nessuno si è preso la briga di far sapere (non dico di apologizzare, solo di far sapere) che esisteva un film che parlava bene della storia cristiana e della Chiesa. Perciò, scordatevi pure Cristiada, quantunque tratti un tema (papale) attualissimo: la libertà religiosa.
Se io fossi un regista, allora, ragionerei così: l’assedio di Vienna in costume costa una paccata di miliardi e non lo vede nessuno, un film con la Littizzetto costa pochissimo e incassa una paccata di miliardi. Perciò, scordatevi, cari cattolici, i film che parlano bene di voi e dei fatti vostri. Al massimo farò una fiction su papa Bergoglio, che è tanto simpatico e porta le scarpe nere. Su Ratzinger no, perché le portava rosse ed era troppo colto.

Una realtà benemerita che dovrebbe fare da cinghia di trasmissione verso la «base» sono i circoli culturali parrocchiali. I libri e gli autori cattolici che non trovano spazio sui grandi media spetta ad essi farli conoscere alla gente comune. Purtroppo (e parlo per lunga esperienza) c’è da farsi cadere la braccia. Infatti, tra le priorità della parrocchia la cultura o è l’ultima in lista o non c’è proprio.
Se ha bisogno dell’idraulico o dell’elettricista, sa bene che questi artigiani hanno un cachet e lo scuce senza fiatare. Così per l’avvocato o il medico o il muratore o l’ingegnere o il meccanico. Ma l’operatore culturale (chiamiamolo così) deve essere grato dell’invito e poi operare per puro «spirito di servizio».

Ci sono parrocchie provviste di chiese dotate di organi a canne colossali, per suonare i quali un tempo si stipendiavano organisti diplomati. Oggi gli organi tacciono, perché ci sono tanti ragazzini con la chitarra che suonano gratis e, anzi, volentieri.
Il risultato è che la musica liturgica è semplicemente sparita (e hanno voglia i papi attuali di insistere sulla «bellezza»…).
Morale: la cultura cattolica è morta per suicidio e bisogna farsene una ragione. I figli di questo mondo, come dice il Vangelo, sono stati più scaltri, e i figli di Maria sono stati pavidi e fessi. I primi sono sempre astuti come serpenti, i secondi ingenui come colombe. I primi hanno fatto bene il loro lavoro, i secondi no, perché Cristo aveva raccomandato a loro di essere sia astuti che candidi. Dunque, meritano quel che hanno, cioè niente.
Prenotiamoci, dunque, un posto nel prossimo pullman per Medjugorje. E facciamoci salire quei pochi che hanno ancora voglia di combattere, perché rischiano la fine dei soldati giapponesi nella jungla di Iwo Jima.