Quando gli italiani bombarderanno la Libia
L’impressione è che la decisione di aderire ai raid venga subita dal governo e non sia il frutto di un’analisi che evidenzia i benefici di un ruolo italiano più incisivo nel conflitto. E l'opinione pubblica sembra sempre meno propensa a credere alle rassicurazioni del 'non siamo in guerra'.
La decisione del governo italiano di bombardare con i jet gli obiettivi militari libici è giunta inaspettata anche per molti membri dell’esecutivo (di certo per i leghisti) ed è difficile da spiegare con le ragioni dell’opportunismo politico. Tutte le ragioni accampate da Silvio Berlusconi e dai ministri Ignazio La Russa e Franco Frattini erano del tutto valide anche nei giorni scorsi quando l’Italia però sosteneva di non voler ampliare la missione né impiegare aerei per gli attacchi al suolo.
La crisi umanitaria a Misurata, le richieste dei ribelli libici e degli alleati della Nato erano già pressanti quando Berlusconi dichiarò che “i nostri aerei non bombardano e non bombarderanno” e quando, appena una settimana or sono, La Russa andò al Pentagono per dire al segretario alla Difesa, Robert Gates, che non avremmo aumentato gli aerei assegnati all’operazione “Unified Protector” né lanciato bombe o missili sulle truppe del raìs.
Pare evidente che le pressioni di Washington abbiano avuto un forte ascendente su Berlusconi. Prima la visita di John Kerry, il presidente della commissione esteri della camera americana a Roma per colloqui col premier il Venerdì Santo, poi la telefonata di Obama a Pasquetta che hanno determinato quella sera stessa la decisione del premier. Non sappiamo quali argomenti abbia usato l’amministrazione statunitense per convincere Berlusconi a un così rapido cambiamento di linea sulla guerra libica, ma di certo sono stati convincenti.
Più difficile spiegare all’opinione pubblica che anche sganciando ordigni sulla Libia non faremo male a nessuno e non saremo in guerra. Un’impresa che sfida il ridicolo nella quale si sono impegnati con eguale impegno Berlusconi, La Russa e Frattini.
Il premier ha incassato “i rallegramenti” del presidente francese Nicolas Sarkozy per la decisione ma agli italiani ha spiegato che ''non si tratta di bombardamenti come invece sembrerebbe dalla lettura odierna della stampa italiana. Lo scopo che ci proponiamo è principalmente quello di difendere la popolazione civile e quindi sarebbe un controsenso se le nostre azioni militari portassero invece a compromettere la loro vita''. Colpa della stampa che ha travisato? Sembrerebbe proprio di no considerato che sganciare ordigni sulle forze di Gheddafi significa effettuare bombardamenti o, come dice il premier ''interventi con razzi di estrema precisione su singoli obiettivi militari, che non riguardano assolutamente insediamenti civili dove si potrebbero provocare vittime''.
Incursioni di questo tipo sono in atto da oltre un mese in Libia a cura dei jet statunitensi, britannici, francesi, canadesi e di altri Paesi e in alcuni casi hanno provoco vittime civili o caduti tra gli stessi ribelli. Errori facilitati dal fatto che gli uomini di Gheddafi si muovono su mezzi civili e nascondono mezzi corazzati e artiglierie nei centri urbani per rendere più difficili le incursioni alleate. Tattiche già usate con successo dai serbi in Kosovo e insegnate ai libici dai consiglieri militari di Belgrado.
In questa guerra, come in tutte le guerre, la garanzia di non uccidere civili semplicemente non esiste.
Il ministro della Difesa, La Russa ha spiegato che non ci saranno ''bombardamenti indiscriminati ma missioni con missili di precisione su obiettivi specifici'', caratteristiche comuni a tutti i raids compiuti in tutte le guerre recenti dove però non sono mancati i danni collaterali. Frattini, che aveva ricordato il passato coloniale dell’Italia per negare il via libera ai bombardamenti sulla Libia assicura oggi che la decisione di partecipare ai raids "non è affatto una marcia indietro”
Come chiamarla allora? I giochi di parole di queste ore sembrano poi preludere a un inasprimento della già ferrea censura sulle operazioni militari in Libia applicata dal ministero della Difesa dall’inizio di “Odyssey Dawn”.
L’impressione è che la decisione di aderire ai raid venga subita dal governo e non sia il frutto di un’analisi che evidenzia i benefici di un ruolo italiano più incisivo nel conflitto. Sul piano pratico l’Italia dovrà aumentare il numero dei velivoli impegnati, attualmente 12, e impiegare cacciabombardieri Tornado, Amx e Harrier equipaggiati con bombe a guida laser e gps, missili aria-suolo e da crociera Storm Shadow. L’incremento di velivoli e ore di volo e il consumo di munizioni così costose faranno crescere anche il conto di un’operazione militare che non è stata ancora finanziata né da un decreto ad hoc né da un’integrazione al finanziamento delle missioni oltremare. I costi vivi per ora ricadono sui già magri bilanci delle forze armate