Quale è la vera questione morale
«Messa da parte la giustizia, cosa sono i regimi politici se non dei grandi latrocini?». Lo diceva il grande Agostino, quasi 1600 anni fa. Ma la giustizia e la questione morale di cui parla è cosa ben diversa da quella invocata da Bersani & Co.
«Messa da parte la giustizia, cosa sono i regimi politici se non dei grandi latrocini?», così scrive il grande Agostino, quasi 1.600 anni fa. Non dovrebbe quindi meravigliare che i politici e i candidati al Parlamento facciano riferimento alla moralità, alla legalità e invochino la questione morale. Senza alcuna pretesa di essere esaustivo, ma solo a titolo di esempio cito alcuni candidati.
Bersani dice testualmente: «Abbiamo scelto di mettere due parole, moralità e lavoro, davanti alla legislatura e la legalità come priorità assoluta per il nostro Paese e ho chiesto a Pietro Grasso se era possibile darci una mano in questa riscossa».
Ingroia: «La questione morale è la questione centrale da cui far ripartire questo Paese. Noi siamo convinti che vada affrontata con misure straordinarie. Anche per contrastare il pensiero unico secondo cui gli investitori non vengono in Italia perché i lavoratori sono tutelati. Il problema è che sanno che oltre alle tasse già alte dovranno pagare il prezzo della corruzione e affidarsi a una giustizia lenta».
Anche Monti in occasione della sua candidatura il 4 gennaio dichiarò: «Mi rendo conto che la mia natura sta mutando, ma si è posta una questione morale». Così, davanti all’emergere periodico e quasi concertato di truffe e corruttele, di frodi e scandali i nostri candidati invocano una “nuova tangentopoli”, esigono da tutti moralità e indicono la “questione morale”. Ma c’è una grande differenza tra la constatazione impietosa e seria di Agostino e la questione morale invocata dai nostri candidati.
Agostino fa riferimento alla giustizia intesa come quella virtù che rende la volontà umana pronta e costante nel riconoscere ogni diritto dell’altro. Ogni diritto altrui a partire dal suo bene fondamentale, cioè l’esistenza fisica, poi il suo bene relazionale primario, cioè a vivere nella propria famiglia, quindi il suo bene intellettuale, che è l’aspirazione a conoscere il vero e a ricevere un’educazione adeguata.
I nostri candidati invocano la questione morale davanti a fenomeni di corruzione, abuso di potere, frodi o truffe – e fin qui ottimo – ma proprio qui la questione morale si ferma. Questi sono gli unici ambiti in cui la domanda di moralità ha senso ed è legittima, secondo la loro opinione.
La domanda di moralità non è invocata sempre e in ogni occasione, tanto meno davanti ai seguenti casi: quando un adulto ha il diritto di vita e di morte su chi adulto non è (è il caso dell’aborto o interruzione volontaria di gravidanza); quando un cittadino convivente con uno del suo stesso sesso pretende di avere gli stessi diritti del coniuge (è il caso delle unioni tra persone omosessuali, che aspirano all’equiparazione con i coniugi. Ma il principio di uguaglianza è: parità di trattamento a parità di condizioni e disparità di trattamento a disparità di condizioni. Ora, il diritto si occupa degli sposi non per assicurare loro la felicità, ma solo per garantire la successione ordinata delle generazioni umane. La condizione dei due conviventi dello stesso sesso è oggettivamente diversa dalla condizione di due sposi: i primi non possono generare, i secondi sono potenzialmente fertili. Perciò il diritto si occupa solo dei secondi in ragione delle generazioni future); oppure quando i genitori si vedono di fatto impossibilitati a esercitare il diritto di libertà di educazione a beneficio dei propri figli (è il caso della riduzione o cancellazione dei sussidi pubblici alle scuole private).
Limitando l’ambito della domanda morale, i nostri politici arrivano così a questo paradosso: gridano con veemenza la questione morale per sottrarre Caio dalla spirale di corruzione, ma in silenzio consentono che il figlio di Caio sia soppresso con l’aborto legale.
Eppure se andiamo ai classici della nostra cultura la domanda di moralità è tanto vasta quanto è ampio l’agire volontario dell’uomo.
Per Tommaso d’Aquino il bene o il male morale si estendono a tutte le azioni libere e volontarie dell’uomo: tutte, nessuna esclusa, è valutabile in termini di buona o cattiva, lodevole o biasimabile, ammissibile o inammissibile a seconda che sia conforme o meno alla dignità umana.
I nostri politici, chissà se per pigrizia mentale, miopia intellettuale o convenienza elettorale, riducono l’ambito delle esigenze di moralità alla sola giustizia sociale. Così facendo tralasciano molti aspetti della giustizia, che precedono e fondano la giustizia sociale, come i diritti umani fondamentali alla vita, alla libertà di pensiero e di educazione, e la relazione strutturale esistente tra giustizia e realtà, relazione che si chiama verità, e in particolare verità sull’uomo.
Perciò, parafrasando il grande Agostino, possiamo concludere: «Messa da parte la giustizia integrale e la verità sull’uomo, cosa sono i regimi politici se non una banda di ladri e briganti?».
Mi auguro e prego che questa campagna elettorale sia l’affermazione decisa e chiara di quattro principi non negoziabili: 1. la vita corporea di ogni uomo è un bene non disponibile; 2. il matrimonio monogamico tra un uomo e una donna è il fondamento della vita familiare e sociale; 3. i genitori sono i primi responsabili dell’educazione dei figli; 4. la vita associata e le sue istituzioni hanno senso se perseguono la ricerca e la realizzazione del bene comune di tutti i membri della società.