Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

LOTTA DI (PRIMA) CLASSE

Pugno chiuso e no tav: De Luca e i compagni a 5 stelle

Foto in maglietta nera e pugno chiuso per l'attore Elio Germano sbarcato a Venezia per il film su Leopardi. E poi lunga intervista Erri De Luca, lo scrittore in attesa di processo per istigazione alla violenza e sabotaggio dei cantieri dell'Alta Velocità. Cattivi maestri e comunisti da operetta tornano in prima pagina.

Politica 02_09_2014
Lo scrittore Erri De Luca

In piedi sul motoscafo con il pugno alzato, a memoria di come si salutavano i compagni d’antan, quelli del pueblo unido che jamàs serà vencido. Appena arrivato al Lido, Elio Germano, interprete del giovane Giacomo Leopardi nel film di Mario Martone, in concorso a Venezia 71, ha salutato così i fotografi che lo aspettavano davanti all’hotel. La star, indossava una maglietta nera di "Artisti 7607", la sigla dell'associazione di autodeterminazione dei cinematografari (roba pure questa da compagni). Il comunismo è morto da un pezzo, ma il tipo ancora non lo sa e agita sotto i flash il suo pugno-amuleto, come uno sciamano in delirio mistico. Occhio malocchio, prezzemolo e finocchio, e stella rossa la trionferà. E comunque per il finto Leopardi (un Kurt Cobain del tempo ha definito il regista il poeta di Recanati, ma dev’essere vero il contrario) la foto ricordo è solo una gag per paparazzi, prima di salire nella suite vista mare dell’Excelsior, da 3500 euro a notte, mance escluse. Comunismo a cinque stelle con falce e secchiello, quello del ghiaccio per lo champagne.

Venezia non è Hollywood e Piazza San Marco non somiglia a Park Avenue a Manhattan dove lady Felicia Bernstein, moglie del compositore e direttore d’orchestra Leonard (Lenny per gli amici) organizzava party nel suo attico da tredici stanze per raccogliere dollari a favore delle «Pantere nere», con i camerieri in livrea (bianchi per non innervosire gli ospiti afroamericani) che servivano sfiziosi bocconcini al Roquefort. Per quella bella gente, lo scrittore Tom Wolfe inventò la locuzione, diventata poi celebre, di “radical chic”. Il giorno dopo  cronaca del party era sulle prime pagine giornali, con grande scandalo dell’upper class newyorkese. D’accordo, lo scatto con il pugno chiuso di Germano, il Che Guevara della Laguna, non è finito in prima pagina, ma solo perché lo spazio era già occupato. Da un altro illustre esponente della gauche caviar, o più volgarmente, da un “comunista dalla pancia piena. Lui è la celebre a pop star della sinistra intellettuale e millenarista Erri De Luca, intervistato da Salvatore Merlo, penna d’oro de La Repubblica.

A differenza del ruspante Germano, il nostro salonkommunist Erri sfoggia l’allure emaciata del guru pensoso, dello scrittore da best seller che tuttavia ha espiato le sue colpa di classe infilandosi prima le tute dell’operaio, del muratore e del camionista. Erri de Luca, ex responsabile non pentito dei katanghesi (il servizio d’ordine) di Lotta Continua, oggi poeta, esegeta, romanziere, è un pezzo da novanta nella galleria dei compagni che hanno sbagliato e ancora insistono nell’errore. Come tutti i guru, ha scritto recentemente Aldo Grasso sul Corriere,  «anche De Luca «ha un folto seguito di groupies attempate.?È una vita che, pur leggendo ogni giorno la Bibbia, ci promette la verità sul delitto Calabresi, ma finora la reticenza l'ha frenato». La prima firma di Repubblica, Salvatore Merlo, lo intervista, a pochi mesi dal processo dove l’Erri, stavolta in tuta da No Tav, dovrà rispondere di istigazione alle violenza e al sabotaggio. 

Mesi fa De Luca ha teorizzato la liceità dell’assalto ai cantieri dell’Alta Velocità in Val di Susa, spiegando che i sabotaggi erano la sola risposta possibile per contrastare un'opera nociva e inutile come la Tav. Ammise anche di aver partecipato a un blocco in autostrada, prendendosi così una denuncia dalla società italofrancese che gestisce il cantiere di Chiomonte. L’outing del guerrigliero anti treno usciva mentre le autorità denunciano l’alto rischio terrorismo in Val di Susa, mentre gli antagonisti dei centri sociali torinesi, armati molotov, fionde, cesoie, chiodi a quattro punte e chiavette esplosive, impegnavano nottetempo in dura battaglia gli agenti di polizia a guardia dei cantieri. Azioni violente, pericolo di deriva terroristica? Menzogne, dice lui, tutta una montatura per fare della Val di Susa un territorio in guerra, in stile Medio Oriente: «Lì ci sono truppe che fanno come Afghanistan, occupano un territorio altrui». Con il sostegno delle banche e la complicità della stampa: «i giornalisti mentono per principio e si attengono alle veline della Questura». Giornalisti venduti? Tutti tutti forse no, dato che il “sabotatore” pare gradire molto l’interessamento di Repubblica e le gentili domande del suo intervistatore.

Cortesie ricambiate, l’incipit di Merlo è fulminante: «Dopo tanti anni in Italia», attacca il pezzo, «c'è di nuovo uno scrittore sotto processo. Il reato è d'opinione e, dunque, Erri De Luca va difeso a prescindere». A prescindere? Ecco un bell’esempio di difesa d’ufficio della casta degli scriba, Intoccabili e sacri anche quando delirano sullo Stato repressivo e si auto consegnano medaglie al valore per aver tirato pietre e molotov ai poliziotti. «Io traduco dall'ebraico», ci fa sapere Erri, «dallo yiddish e dal kiswahili, un dialetto che si parla in Tanzania». Insomma, caro giudice, lei non sa chi sono io. Uno così non si processa, a prescindere. Il terrorismo? Solo un’invenzione della Procura di Torino di Giancarlo Caselli. E gli scontri ai cantieri, le bombe carta, i bulloni, le molotov trovate nelle auto dei fermati? De Luca la butta sul ridere: è solo «materiale da ferramenta e le cesoie sono utili a tagliare le reti».

No Tav all'assalto di un cantiere in Val Susa

A un tipo che scambia un arsenale per un magazzino di ferramenta, ci si può aspettare di tutto. Anche «l’orgoglio di aver fatto parte dell’ultima generazione rivoluzionaria del Novecento» e la ridefinizione molto poetica degli anni di piombo in "anni di rame" «perché c'era come un filo di metallo conduttore attraverso cui si propagava ogni lotta, ogni impegno, ogni fierezza». Già, fossero state anche di rame le pallottole che in quegli anni formidabili colpivano politici, magistrati e sindacalisti, facevano comunque male. Quel “filo di rame” serviva a uccidere mica a fare pentole per la polenta. Servono un’incontenibile fantasia e una smisurata faccia tosta per cambiare così i metalli in tavola. E De Luca le possiede entrambe.

Ma non è finita qui. All’arrendevole Merlo, il maestro dei No Tav rifila altre panzane in bella forma. Violenti tra i Non Tav? Ma no, solo bravi ragazzi amanti delle scampagnate nei boschi e delle fiabe raccontate davanti al fuoco. «Loro mi sono solidali e basta, non mi domandano nulla, organizzano letture pubbliche dei miei libri, mi sono vicini come sempre, sono anni che manifesto con loro. Sono ribelli civili, certamente non terroristi». Ma certo, ribelli e non bombaroli e le biglie d’acciaio erano invece soffici libri, coriandoli e origami di carta per divertire i poliziotti a guardia dei cantieri.  A proposito di libri e a conclusione dell’intervista a Repubblica, lo scrittore “pecorella” rivela che prima del processo pubblicherà un pamphlet sul diritto di parola, perché «non ho intenzione di difendermi, ma di attaccare. Sono io la parte lesa. Ho rifiutato il rito abbreviato perché sarebbe stato a porte chiuse». Già, senza il pubblico, De Luca non esce dal camerino a recitare la parte. Pure la rivoluzione reclama buona visibilità e marketing adeguato.

«É ormai chiaro», è ancora Grasso a dirlo, «che non sono i valsusini ad aver bisogno dello scrittore, ma è il vecchio rivoluzionario che ha continuamente bisogno di una sua piazza Taksim, di una sua Striscia di Gaza, di un suo Zuccotti Park». A gennaio sarà un aula del Tribunale di Torino e il compagno Erri De Luca ci andrà a testa alta e a pungo chiuso. «Essere incriminati di resistenza», tacchineggia orgoglioso, «è una medaglia al valor civile, tutti dobbiamo essere incriminati di resistenza... Ogni volta che c'è un nuovo arresto, si allarga l'albo dei resistenti». Vien voglia di accontentarlo subito, a prescindere, come direbbe Merlo, e senza fargli il processo.