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LA PROPOSTA

Psicologo d'obbligo a scuola, l'ultimo danno ai giovani

L'emergenza sanitaria ha riportato in auge lo psicologo a scuola, ma ora si punta ad una obbligatorietà. È quanto chiede l'Ordine degli psicologi. Ma tutto ciò cela un sospetto: la medicalizzazione del rapporto educativo. Il disagio nel mondo giovanile dovrebbe essere affrontato all'interno di un approccio educativo e non come patologia, ma il mondo degli adulti rinuncia a educare dopo decenni di mentalità relativista e nichilista. Così delega agli psicologi. 

Educazione 20_10_2021

Gli italiani chiedono a gran voce lo psicologo obbligatorio a scuola. È quanto ha annunciato pochi giorni fa David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (Cnop), in apertura di un convegno organizzato a Roma in occasione della Giornata nazionale della psicologia.

Non è una novità assoluta: già alcuni mesi fa furono pubblicati i risultati di un sondaggio sulla popolazione italiana promosso dal Centro Studi del Cnop, tramite l'Istituto Piepoli, che mostrano come l'81% degli italiani chieda lo psicologo scolastico, percentuale che sale al 94% nella fascia d'età 15-18 anni. Secondo gli intervistati le attività più importanti sono ascolto e sostegno (54%), prevenzione del disagio (41%), supporto alle famiglie (29%), consulenza al sistema scuola nel suo complesso e supporto ai docenti (18%). Tra gli studenti (15-18 anni) sette su dieci scelgono la voce "ascolto e sostegno", evidenziando così il bisogno di comunicare.

Si tratta, tutto sommato, del rilancio di una vecchia proposta che in tempo di pandemia e di emergenza sanitaria è tornata di nuovo alla ribalta. Gli inizi della presenza dello psicologo a scuola risalgono agli anni '90 del secolo scorso, quando “Il legislatore, nell'ambito della lotta alle tossicodipendenze e della prevenzione dei comportamenti lesivi della salute" (Legge 26 giugno 1990, n. 162, riproposta in T.U. dal D.P.R. n. 309/1990) assegnò all'amministrazione della Pubblica Istruzione e alle scuole “compiti inderogabili relativi alle attività di educazione alla salute".

Da allora, si moltiplicarono gli sportelli di ascolto CIC (Centro Informazione e Consulenza) con relativa presenza dello psicologo, parallelamente al moltiplicarsi di progetti di “educazione alla salute” spesso inutili se non addirittura controproducenti, i cui esempi più deleteri sono oggi quelli relativi alla diffusione nelle scuole della dottrina gender...

Negli oltre trent'anni che intercorrono tra il varo della Legge 162 e l'oggi, molte cose sono cambiate, anche nell'identificazione di quelle che erano considerate le priorità per l'educazione alla salute; se inizialmente l'emergenza più avvertita era quella relativa alle tossicodipendenze, un po' alla volta il focus si è spostato verso il campo delle relazioni affettive e sessuali, andando fortemente a invadere ambiti e compiti propri delle responsabilità genitoriali.

Alla luce anche di quanto sta accadendo oggi, con la cosiddetta emergenza sanitaria, appare tuttavia sin dall'origine un fil rouge sospetto: la medicalizzazione del rapporto educativo e - in ultima analisi - dei rapporti sociali in generale. In quest'ottica, le manifestazioni di disagio che sono proprie nel mondo giovanile sono state sempre più frequentemente interpretate e affrontate nei termini di disturbi psicologici o, addirittura, neurologici. Abbiamo assistito per esempio, in questi anni, ad uno sconsiderato aumento di richieste di certificazione dei disturbi dell'apprendimento e del comportamento, identificati nella scuola come DSA (disturbi specifici dell'apprendimento) o come BES (bisogni educativi speciali).

Ipercontrollati e iperprotetti, oppure lasciati in balia della propria istintività (definita “spontaneità”...) e troppo  spesso giustificati, i giovani sono vittime di esagerate aspettative, oppure di situazioni familiari conflittuali, problematiche e complesse, in un'epoca di vero e proprio tracollo della famiglia. Queste e tante altre situazioni interne ed esterne possono indubbiamente incidere negativamente sull'apprendimento e sul loro comportamento. Non è opportuno, pertanto, che ci si ostini a cercare il problema attribuendo queste difficoltà alla genetica o alle neurodiversità, a lesioni o alterazioni cerebrali che non sono riscontrabili con esami clinici, scientifici, strumentali (TAC, risonanza, ecc..).

È altamente improbabile che disfunzioni del sistema nervoso centrale caratterizzino il 15/20% (richieste della scuola) della popolazione scolastica, quando, per di più, all'Accademia Mondiale sulle Difficoltà di Apprendimento, considerano la presenza di Dsa nei bambini non superiore al 2,5%. Quindi questo vuol dire che nel 17,5% (circa) dei bambini etichettati DSA non è presente nessuna patologia che possa condurre a una diagnosi di disturbi dell'apprendimento....

Tantissime manifestazioni di disagio, che sono endemicamente presenti nel mondo giovanile, potrebbero e dovrebbero essere affrontate all'interno di un approccio educativo e non come patologie, ma il mondo degli adulti non ne è più capace. Questo è il motivo per cui genitori e insegnanti cercano rifugio in dispositivi compensativi e misure dispensative o delegano agli psicologi di affrontare le difficoltà, la cui presenza è sempre più richiesta...

Alla luce dei risultati ottenuti in tutti questi anni di “educazione alla salute” in ambito scolastico, non si può certo dire, tuttavia, che questo approccio abbia pagato. La crescita e la maturazione dei nostri giovani hanno bisogno, innanzitutto, di un terreno compatto in famiglia e di una società capace di trasmettere e testimoniare valori autentici. Il problema educativo riguarda innanzitutto il mondo degli adulti, ormai incapaci di educare perché diseducati da decenni di mentalità relativista e nichilista.

Se non recuperano gli adulti, per primi, un rapporto equilibrato con la realtà, non sarà certo con un incremento di psicologi a scuola che la situazione potrà migliorare. Forse, però - volendo fare i complottisti...- tutto questo è stato una preparazione e fa parte del grande progetto di sterilizzazione dei rapporti umani che sta trovando oggi, nel tempo della pandemia, un formidabile fattore di accelerazione. Si capiscono ancora meglio, alla luce di queste considerazioni, le affermazioni sull'educazione alla salute del presidente Cnop, David Lazzari, per il quale «ora c'è bisogno di dare continuità a questa esperienza, sarebbe tragico se venisse interrotta, anche perché abbiamo necessità di "vaccini psicologici" per la psicopandemia, e la psicologia scolastica è un presidio fondamentale».