Prodi: quando gli spiriti non aiutano
M’immagino Romano Prodi, se dovesse leggere questo articolo, esclamare: «No, basta, ancora la vecchia storia delle sedute spiritiche». Ma certe storie sono proprio come gli spiriti. A volte ritornano.
M’immagino Romano Prodi, se dovesse leggere questo articolo, esclamare: «No, basta, ancora la vecchia storia delle sedute spiritiche». Ma certe storie sono proprio come gli spiriti. A volte ritornano. La maggioranza degli italiani sanno di che si tratta: della famosa seduta spiritica cui Prodi avrebbe partecipato nel 1978 nel corso della quale, nei giorni drammatici del sequestro di Aldo Moro (1916-1978) da parte delle Brigate Rosse, sarebbero stati evocati gli spiriti di don Luigi Sturzo (1871-1959) e (forse) del servo di Dio Giorgio La Pira (1904-1977), i quali avrebbero fornito l’indicazione «Gradoli» o «Gradoli 96». Un’indicazione che, riferita da Prodi alla polizia, la portò purtroppo a indagare nella cittadina di Gradoli, e non in Via Gradoli 96 a Roma, dove in effetti era prigioniero Moro.
La maggioranza di chi conosce questa storia pensa che sia una bufala. Prodi, uomo di notevoli relazioni internazionali, aveva avuto l’informazione dal KGB o dalla CIA e, non potendo svelare le sue fonti, aveva inventato la panzana della seduta spiritica. Già così si tratterebbe di una vicenda inquietante. Tuttavia, c’è anche un’altra possibile versione. Intervenendo nel 2006 nella trasmissione televisiva «Porta a porta» il professor Massimo Brutti, ordinario di diritto romano all’Università La Sapienza, per cinque volte senatore con il PD, quattro volte sottosegretario e grande amico di Prodi, ha dichiarato che da anni parla con lo stesso Prodi delle vicenda e che quest’ultimo continua a giurargli che la seduta spiritica ci fu davvero. Aggiungeva in quell’occasione Brutti che, poiché solo un irresponsabile inventerebbe di sana pianta una storia così assurda e manterrebbe la stessa versione per trent’anni, anche dopo che l’Unione Sovietica è caduta, il KGB non c’è più e la ragion di Stato è venuta meno, l’unica conclusione che se ne può trarre è che sia tutto vero.
Prodi lo affermò, a suo tempo, sotto giuramento e ammonito sulle gravi conseguenze di «dichiarazioni reticenti o false» alla Commissione Moro, dove fu audito il 10 giugno 1981. Ecco quello che raccontò allora, consegnato alla storia della Repubblica dai verbali – pubblici – della Commissione: «In un giorno di pioggia in campagna, con bambini e con le persone che penso vedrete successivamente, perché sono tutte qui, si faceva il cosiddetto “gioco del piattino” (…). Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Naturalmente, nessuno ci ha badato; poi, in un atlante, abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno ne sapeva qualcosa e, visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa» alla Polizia. Domanda: «Chi partecipò attivamente al gioco? Voi eravate tanti, però un ditino sul piattino chi lo metteva?». Risposta di Prodi: «A turno tutti: c’erano 5 bambini; era una cosa buffa. (…) Io le dico: tutti; anch’io ho messo il dito nel piattino». Il professor Alberto Clò, economista e futuro ministro dell’Industria, era il padrone di casa e fu sua l’idea della seduta. E Prodi ci tiene a dire che l’allegra comitiva spiritica non era composta da ignorantoni: c’erano «ilprofessor Gobbo, che ha la cattedra a Bologna di politica economica, il professor Clò, che ha l’incarico di economia applicata all’Università di Modena e che si interessa di energia, ma di petrolio, non di fluidi. Vi era anche suo fratello che è un biologo (non so di quale branca, anche se mi pare genetica) e vi era anche il professor Baldassarri che è economista, ha la cattedra di economia politica all’Università di Bologna. Tra le donne vi erano mia moglie, che fa l’economista, la moglie del professor Baldassarri, laureata in economia, ed altre che non so cosa facciano professionalmente».
Incurante delle perplessità che poteva suscitare l’idea davvero malsana di coinvolgere, come afferma, «cinque bambini al di sotto dei dieci anni» in esperimenti di questo genere, Prodi prosegue:«Le domande erano: dov’è? perché? Moro è vivo o morto? Del resto, persone che hanno fatto altre volte il “piattino” sanno di che cosa si tratta e possono darle spiegazioni più esaurienti». Dopo avere sentenziato che non poteva ricordare quante fossero le domande, perché «questo non ha niente a che fare con la tecnica del gioco», Prodi spiega che per illustrare come «venissero» le risposte «intervengono problemi tecnici sui quali potranno essere date spiegazioni più esaurienti delle mie; comunque, vi erano delle lettere su un foglio e il piattino, muovendosi, formava le parole e indicava sì o no». All’inizio lo spirito che si manifestava era ignoto, poi «c’è stato chi ha detto: interroghiamo Don Sturzo o La Pira» e «per quel che mi ricordo, Don Sturzo» si presentò davvero.
A questo punto, riferisce Prodi, vennero fuori diverse parole ma quella che colpì fu «Gradoli» perché era una località che nessuno conosceva. Al perplesso scrittore Leonardo Sciascia (1921-1989), che allora era deputato e faceva parte della Commissione Moro, il quale chiedeva come mai «ci si precipita ad informare la Polizia ed il Ministero dell’Interno» del risultato delle proprie sedute spiritiche, Prodi rispondeva così: «Ma è venuto fuori, onorevole, un nome che nessuno conosceva! Anche se ci siamo trovati in questa situazione ridicola, noi siamo esseri ragionevoli. Ci siamo chiesti tutti: Gradoli nessuno di voi sa se ci sia? Se soltanto qualcuno avesse detto di conoscere Gradoli, io mi sarei guardato bene dal dirlo. È apparso un nome che nessuno conosceva, allora per ragionevolezza ho pensato di dirlo». Sciascia: «Direi per irragionevolezza». Prodi: «La chiami come vuole. La motivazione reale è che con una parola sconosciuta, che poi trova riscontro nella carta geografica, a questo punto è apparso giusto per scrupolo…». Sciascia: ma non poteva essere una parola senza senso come tante che vengono fuori nelle sedute spiritiche? Prodi: «Però era scritto sulla carta del Touring». Dove gli spiriti sono ambigui, per fortuna il Touring fa chiarezza.
Dopo un dibattito sul tema del numero 96 che Prodi non ricorda ma che, secondo altri testimoni, venne fuori nella seduta insieme alla parola Gradoli – circostanza di rilievo, perché Moro era tenuto prigioniero al numero 96 di Via Gradoli a Roma –, finalmente, la Commissione chiede a Prodi se non abbia mai pensato che «qualcuno» – non lui, per carità – avesse manipolato la seduta per trasmettere informazioni provenienti da una fonte più terrena degli spiriti. Qui Prodi è in difficoltà: «È sempre la domanda che mi sono sempre posto anch’io». «All’interrogativo che si è posto, come ha risposto? Cioè se qualcuno poteva aver ispirato gli spiriti». «Lo escluderei assolutamente». «Quindi si è trattato di spiriti». «O del caso … Non so … Mi sembra che il senso della domanda (…) sia quello di chiedere se c’era qualcuno che voleva fare “il furbetto”, spingendo in un certo modo o rallentando. Questo no. D’altra parte... Uno dei problemi che si pone per una cosa del genere è proprio quello contenuto nella sua domanda. Crede che quando è uscito il nome di via Gradoli io non mi sia posto il problema di chiedermi se c’era qualcuno che faceva il furbo? Altrimenti non sarei qui in questa situazione in cui mi sento estremamente imbarazzato ed estremamente ridicolo».
La storia m’interessa, lo confesso, non solo come cittadino italiano ma anche come studioso di spiritismo. Certo, all’epoca del suo massimo fulgore – oggi, almeno nelle sue forme organizzate, è assai meno di moda –, lo spiritismo era un fenomeno decisamente schierato a sinistra. I padri dello spiritismo erano tutti laici, anticlericali e socialisti: in Italia il primo presidente nazionale della Società Spiritica fu Giuseppe Garibaldi (1807-1882), il che conferma – per dirla con lo scrittore cattolico inglese Gilbert K. Chesterton (1874-1936) – che quando si smette di credere in Dio non è vero che non si creda più a nulla: si crede a tutto. Lo stesso Leonid Breznev (1906-1982), il padrone dell’Unione Sovietica ai tempi del sequestro Moro, si dilettava di sedute spiritiche. Certo, lo spiritismo – vietato dalla Chiesa – era meno diffuso fra i democristiani, ma nel caso di Prodi si potrebbe dire che chi va con lo zoppo impara a zoppicare. E che i «cattolici adulti» di tanti divieti della Chiesa non hanno mai fatto troppo caso. Quelli valgono per i cattolici «bambini» fedeli al Magistero.
Tuttavia – e il punto è di qualche interesse – chi, come me, ha studiato i verbali di centinaia di sedute spiritiche sa che c’è una regola che è quasi una legge: gli spiriti non danno mai indicazioni troppo precise. Per questo i medium hanno avuto successo per decenni, anche se non hanno mai fornito notizie verificabili: si tratta sempre di un linguaggio oscuro, metaforico, aperto a più interpretazioni. Questo vale anche nei casi in cui si dice che «sensitivi» abbiano aiutato la polizia, peraltro in genere senza fare appello a spiriti di defunti. «Casa buia, città sul lago» sarebbe un tipico messaggio spiritista. «Gradoli 96» non lo è, perché è troppo preciso. Se gli spiriti dessero indicazioni così dettagliate, i medium si arricchirebbero semplicemente scommettendo sulle partite di calcio o scoprendo tesori nascosti: chi li conosce sa che le cose non stanno così. Dunque i casi sono due: o Prodi è un caso ignoto alla storia dello spiritismo, il più grande medium della storia umana – nel qual caso «metta il dito sul piattino» ancora una volta, e si faccia subito dare dallo spirito di don Sturzo la ricetta per uscire dalla crisi economica italiana – ovvero su un episodio essenziale della storia italiana non racconta la verità da trentacinque anni. Forse tra le due alternative non è poi tanto difficile decidere, ma lascio la scelta ai lettori.