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REFERENDUM

Prodi cambia idea e vota SI. Dietro pressioni forti?

Dopo aver lasciato intendere per mesi di voler votare NO al referendum, l'ex premier Romano Prodi fa coming out e dichiara di votare SI. Delusione e freddezza sul fronte anti-Renzi. Come mai ha cambiato idea? Lo spiega la sua stessa storia, fatta di contatti molto altolocati e controversi. Pressioni internazionali possono aver influito.

PERCHE' NO di Robi Ronza

Politica 02_12_2016
Romano Prodi

Giocando sulle parole ci si potrebbe chiedere: cui prodest l’endorsement di Prodi? I commentatori politici si interrogano sui possibili effetti ma anche sulle ragioni del sorprendente coming out dell’ex presidente del Consiglio, che, dopo aver sussurrato per mesi il suo “no” alla riforma Boschi, e dopo aver mandato avanti i suoi fedelissimi, ora cambia idea e si schiera con il “si”. Lo fa con tutta una serie di distinguo e di critiche alle modifiche della Costituzione oggetto del referendum del 4 dicembre, ma la sostanza è che voterà “si”, dopo aver lasciato intendere per mesi che avrebbe votato “no” e dopo essersi trincerato dietro frasi di circostanza (“Ormai sono un libero cittadino, non occorre che dichiari il mio voto”, “Mi occupo sempre più di politica estera e non di politica interna”).

Nel fronte del “no” le dichiarazioni di Prodi sono state accolte con freddezza e delusione. I bersaniani gli ricordano che a votare “si” domenica prossima saranno molti dei 101 franchi tiratori che lo impallinarono nella corsa al Quirinale. D’altra parte c’è anche da dire che lui è quasi sempre stato dall’altra parte della barricata rispetto a Berlusconi e D’Alema, entrambi alfieri del “no”.

Ma dietro questa svolta prodiana s’intravvedono nitidamente alcune ragioni tattiche e opportunistiche. Il richiamo delle cancellerie europee, con le quali Prodi intrattiene rapporti consolidati, potrebbe aver giocato un ruolo rilevante. L’influenza di amici come Arturo Parisi o Graziano Delrio potrebbe averlo indotto a rompere gli indugi. E poi, last but not least, l’ambizione del professore di risultare determinante nell’eventuale vittoria del “si” per poter giocare un ruolo da protagonista nel dopo-voto, magari sul fronte dei rapporti tra maggioranza e minoranza dem.

Pare che alcuni prodiani in privato si siano sfogati giudicando inopportuno l’endorsement del loro leader di riferimento. Il diretto interessato lo ha motivato con la necessità di condurre comunque in porto una riforma, sia pure perfettibile e debole, in coerenza con la sua storia personale.

Ma la verità è che la storia personale di Romano Prodi dice anche altro: ministro dell’industria già nel quarto governo Andreotti (1978), ha attraversato le fasi più incandescenti della storia della Prima Repubblica compiendo anche scelte chiacchierate e discutibili, soprattutto quando guidò l’Iri, il colosso delle partecipazioni statali. Senza dimenticare il suo coinvolgimento nel caso Cirio o nel caso delle consulenze Nomisma, o nella vicenda della seduta spiritica sul caso Moro, o, ancora, negli scandali Telekom Serbia o nelle voci di suoi presunti rapporti con il Kgb. Tutte vicende, sia ben chiaro, dalle quali Prodi è uscito senza condanne, ma che pure hanno gettato ombre sul suo operato di politico.

Ecco perché la sua conversione al “si” in vista del voto di domenica prossima non fa che consolidare l’idea che da quella parte si siano coagulati spezzoni di establishment (non si dimentichi il ruolo decisivo pro-Renzi da parte dell’ex Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, vera cerniera tra la prima e la seconda Repubblica), interessati a salvare l’attuale quadro politico per ragioni non sempre limpide e lineari.

Peraltro i sondaggisti non sono così sicuri che l’esternazione di Prodi possa giovare numericamente al fronte del “si”. L’ex premier è stato l’unico ad aver sconfitto per ben due volte il leader del centrodestra Silvio Berlusconi alle elezioni politiche del 1996 e del 2006 ed è visto come fumo negli occhi da gran parte dell’elettorato di centrodestra che ora potrebbe indirizzarsi più convintamente verso il “no”. Senza contare che la “ditta” bersaniana e le correnti antirenziane del Pd, per paura di essere liquidate da Renzi, moltiplicheranno i loro sforzi per bocciare la riforma Boschi e impedire che l’attuale inquilino di Palazzo Chigi si rafforzi nel suo doppio ruolo di Presidente del Consiglio e Segretario del partito.

Prodi ha condito il suo endorsement con prese di distanza da Renzi, al fine di non appiattirsi sull’attuale governo e di mantenere un profilo autonomo. Ma in questo modo potrebbe aver scompaginato il fronte del “si” e lacerato ancora di più il tessuto connettivo delle diverse anime della sinistra. I più maliziosi non escludono che possa essere proprio questo il vero subdolo movente di quell’endorsement prodiano. Se fosse così sarebbe davvero diabolico. Ma ormai manca pochissimo per avere conferme o smentite di queste supposizioni. Le urne sono vicinissime.

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