Primo dibattito repubblicano. Trump non si presenta: ha già vinto
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Mercoledì 23 agosto si terrà il primo dibattito televisivo fra i candidati del Partito Repubblicano, in vista dell'inizio delle elezioni primarie. Non si presenta Trump. Non perché ha incassato quattro incriminazioni, ma al contrario, perché ha troppo vantaggio sugli avversari.
Mercoledì 23 agosto (domani, per chi legge) inizierà ufficialmente la campagna elettorale americana, con il primo dibattito televisivo fra i candidati del Partito Repubblicano che si sfideranno nelle primarie. I Democratici, a parte “l’intruso” Kennedy, si presentano ancora con Biden che punta alla rielezione. Dunque, salvo imprevisti a sinistra, la campagna sarà solo fra Repubblicani. E fra di loro, già nel primo dibattito, si staglia una grande presenza assente che mette in ombra tutti gli altri: Donald Trump. Ieri ha annunciato che non parteciperà, perché è troppo grande il vantaggio che ha accumulato nei confronti dei suoi avversari.
Con quattro incriminazioni, dovrà competere nelle primarie ed eventualmente nella campagna presidenziale, fra un processo e l’altro. Per ultima, in ordine di tempo, Trump è accusato di aver cercato di sovvertire il risultato elettorale presidenziale nello Stato della Georgia. La prova principale dell’accusa è l’ormai celebre telefonata in cui chiede al locale segretario di Stato di “trovare” poco più di 11mila voti che mancavano alla sua vittoria. La conversazione è stata registrata. Si tratta comunque di una comunicazione che non è necessariamente la prova che l’allora presidente volesse truccare le elezioni: stava infatti chiedendo un altro riconteggio, convinto di aver vinto in uno Stato del Sud tradizionalmente repubblicano.
Ricapitolando: a New York è accusato di aver comprato il silenzio della pornostar Stormy Daniels (con cui avrebbe avuto una relazione) durante la campagna del 2016; in Florida di aver conservato illegalmente documenti riservati e segreti nella sua residenza a Mar-a-Lago, dopo la fine del suo mandato; a Washington DC lo accusano di aver mentito sull’esito delle elezioni e di aver (almeno indirettamente) sobillato l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021; infine in Georgia è accusato del tentativo di ricatto del segretario di Stato, sempre per ribaltare l’esito delle elezioni presidenziali del 2020. E proprio per questo… vola nei sondaggi.
Sembrano lontanissimi i tempi in cui tutti i candidati cercavano di evitare di scivolare sulle bucce di banana legali. Bastava il sospetto di un illecito, per far deragliare anche le campagne più promettenti. Non funziona più così: la politica americana è ormai polarizzata quanto quella italiana. Gli elettori sono fedeli al loro campione, più gli avversari provano a delegittimarlo, più fanno quadrato per difenderlo. Questo è evidente soprattutto per Trump, in una campagna che viene ben riassunta dall’ex senatore (ed ex candidato presidenziale a sua volta) Rick Santorum: “È veramente difficile competere con un martire”. Molti elettori vedono Trump esattamente così: un martire di una giustizia pilotata e politicizzata.
Nella media dei sondaggi nazionali di Real Clear Politics, se si votasse oggi, Trump batterebbe gli altri candidati repubblicani con il 56% delle preferenze, più dei voti che prenderebbero i suoi rivali messi assieme. Il secondo, infatti, è sempre Ron DeSantis, con un distantissimo 15%, poi c’è l’emergente imprenditore Vivek Ramaswamy con il 7% e infine l’ex vicepresidente Mike Pence con il 4,4%. Tutti gli altri candidati, compresa l’ex ambasciatrice all’Onu Nikki Haley (la prima a candidarsi ufficialmente) sono addirittura sotto il 4%. Le primarie, esattamente come le elezioni presidenziali, si tengono nei singoli Stati. Si inizia nell’Iowa e nel New Hampshire. In questi due piccoli Stati, Trump è in vantaggio con il 43,2% e il 44,3 rispettivamente. In entrambi, DeSantis è indietro di oltre venti punti. Parrebbe non esserci neppure competizione. Di qui la decisione di Trump di non presentarsi neppure al primo dibattito.
Lascerà che gli altri si combattano fra loro per presentarsi al pubblico, su scala nazionale, nel tentativo di distinguersi. Gli unici che finora hanno attaccato frontalmente l’ex presidente sono il suo vice Mike Pence e l’ex governatore del New Jersey Chris Christie. I sondaggi dimostrano che la loro strategia non ha pagato. Tutti gli altri candidati hanno difeso l’operato dell’ex presidente e soprattutto lo considerano vittima di una persecuzione giudiziaria. Ma in questo modo rischiano di condannarsi all’irrilevanza politica, in un’elezione primaria in cui un solo vincitore diventerà il candidato.
Al di là della competizione fra candidati interni al Partito Repubblicano, anche i sondaggi nazionali sulle prossime elezioni presidenziali dimostrano come Donald Trump sia ancora l’unico Repubblicano in grado di battere Joe Biden. Sempre secondo la media dei sondaggi, risulta quasi alla pari: 44% a 44,4%. Considerando come, sia nel 2016 che nel 2020, i sondaggi davano vantaggi irrealistici ai candidati democratici, è possibile che Trump sia addirittura avanti rispetto a Biden. DeSantis, invece, è indietro di 2,4 punti (42% a 44,4%).
Considerando le quattro incriminazioni, di cui due per reati contro il governo federale, quel 44% di americani che dichiara di voler votare comunque per Trump è un dato molto significativo, molto più importante delle precedenti elezioni. È una tacita ribellione contro il governo federale. E può essere l’effetto collaterale della politica di un’amministrazione che ha fatto di tutto per criminalizzare l’avversario, invece che rispettare il suo intento dichiarato di riunificare l’America.